E’ stato breve ed accorato il messaggio inviato da Papa Francesco al presidente della Cop 26 Alok Sharma, nella terza giornata della convention sull’ambiente, che è stato letto agli oltre 130 leader di tutto il mondo, riuniti a Glasgow, dal suo Segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin.
“Possiamo ottenere gli obbiettivi fissati dall’Accordo di Parigi soltanto se agiamo in modo coordinato e responsabile”, ha detto il cardinale Parolin, “Quegli obbiettivi sono ambiziosi e non possono più essere rimandati. Oggi tocca a voi prendere le decisioni necessarie. Stiamo affrontando un cambiamento epocale che richiede l’impegno di tutti, soprattutto dei Paesi più ricchi ai quali tocca un ruolo di guida”.
“Da parte sua la Santa Sede ha adottato una strategia di riduzione a zero delle emissioni nette operando a due livelli”, ha detto ancora il Segretario di Stato, “Prima di tutto l’impegno dello Stato della Città del Vaticano di raggiungere questo obbiettivo entro il 2050 e, poi, l’impegno a promuovere un’educazione all’ ecologia integrale per favorire un modello culturale di sviluppo sostenibile che si concentri sulla fraternità e sul patto tra gli esseri umani e l’ambiente naturale. Anche in questa prospettiva, lo scorso 4 ottobre, insieme ad altri leader religiosi e a scienziati, ho firmato un appello congiunto in vista della Cop 26”.
“Quello che è emerso è stata una notevole convergenza di tutti sull’urgente bisogno di un cambiamento di direzione. Una decisione di passare dalla “cultura dello scarto”, prevalente nella nostra società, a una “cultura della cura” della nostra casa comune e dei suoi abitanti, ora e nel futuro”, ha detto il cardinale Parolin, “Una cura speciale deve essere dimostrata per le popolazioni più vulnerabili, verso le quali è stato maturato un “debito ecologico”, connesso sia a squilibri commerciali sia all’ uso sproporzionato delle risorse naturali. Il debito ecologico solleva la questione del debito estero, la cui pressione ostacola spesso lo sviluppo dei popoli. Possiamo ripartire da tutti questi aspetti, collegati anche con l’avvio di attente procedure negoziate di condono del debito estero, associate a una strutturazione economica più sostenibile e giusta, volta a sostenere l’emergenza climatica. Purtroppo dobbiamo constatare amaramente quanto siamo lontani dal raggiungere gli obbiettivi desiderati per contrastare il cambiamento climatico. Non possiamo continuare così. Non c’è tempo da sprecare. Troppi dei nostri fratelli e delle nostre sorelle stanno soffrendo per colpa della crisi climatica. Adesso è il momento di agire con urgenza, coraggio e senso di responsabilità. Vi accompagno con la mia preghiera mentre prendete queste importanti decisioni. Grazie”.
Alla terza giornata della Cop il governo britannico ha presentato come un importante risultato la “Dichiarazione dei leader di Glasgow sulla foresta e l’uso del terreno” con la quale con oltre 100 paesi si sono impegnati di fermare la distruzione delle foreste e a rigenerare le parti che sono già state danneggiate entro il 2030. L’ importanza dell’accordo è dato dalle firme dei presidenti cinese e americano, Xi Jinping e Joe Biden e del presidente brasiliano Jair Bolsonaro, responsabili di migliaia di chilometri quadrati di alberi compresa la foresta amazzonica, la continua distruzione della quale è uno dei fattori di inquinamento più gravi del pianeta.
A mettere qualche punto di domanda sul nuovo accordo è Andy Atkins, 61 anni, presidente di “Climate Sunday”, una delle più importanti charities cristiane ambientaliste che raccoglie quasi 2000 chiese di 40 diverse denominazioni.
“Un impegno simile, che prevedeva l’interruzione della deforestazione entro il 2020, era stato firmato dai 193 paesi membri dell’Onu nel 2015. E’ lecito chiedersi quanto sia credibile la decisione di ritardare di dieci anni lo stop alla distruzione delle foreste e che cosa succederà nei prossimi nove anni, considerato che, mentre parliamo, centinaia di alberi continuano ad essere abbattuti”.
“Sembra che ci siano 19 milioni di dollari disponibili per rendere concreto questo nuovo impegno”, ha aggiunto ancora Andy Atkins, “ma la verità è che i leader politici non prendono la crisi ambientale con la stessa serietà con la quale hanno affrontato la crisi finanziaria del 2008 perché non li colpisce con la stessa urgenza. E’ lo stesso atteggiamento che hanno tenuto nei confronti della pandemia che gli scienziati avevano previsto senza che il loro allarme venisse ascoltato”.
Molto positivo è stato anche l’annuncio, da parte del premier indiano Narendra Modi, di un nuovo obiettivo di azzeramento delle emissioni di gas serra entro il 2070. E’ la prima volta che il terzo Paese inquinatore al mondo fissa una data per la neutralità climatica, dieci anni dopo la Cina e la Russia e venti anni dopo Usa e Ue.
Anche il Vietnam si è impegnato per la neutralità climatica entro il 2050. La sfida – secondo le associazioni ambientaliste - è rendere adesso questi obiettivi un fatto concreto.
Per la regina Elisabetta II, 95 anni, che si è collegata via video con la Cop 26 dal castello di Windsor, il summit sull’ambiente è stata l’occasione di ricordare che l’amatissimo marito Filippo, uno dei fondatori del WWF, è stato uno dei primi a lanciare l’allarme sulla morte del pianeta. “Il suo lavoro continua, oggi, con mio figlio Carlo e mio nipote William dei quali sono molto orgogliosa”, ha detto la sovrana. “Quello che i leader del mondo fanno per il presente si chiama capacità di comando e politica. Quello che fanno per il futuro si chiama vera arte di governare”.
Dalle parole ai fatti la strada è lunga. I capi di stato riuniti a Glasgow sono stati duramente criticati dagli ambientalisti per l’uso di 400 jet privati che hanno emesso 13000 tonnellate di anidride carbonica, equivalente alla quantità prodotta da oltre 1600 cittadini britannici in un anno.
Colpevoli sono stati un po’ tutti, dal presidente Joe Biden al principe Carlo, al premier britannico Boris Johnson al miliardario fondatore di Amazon Jeff Bezos anche se l’erede al trono britannico si è scusato dicendo di aver usato del combustibile verde.