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martedì 17 settembre 2024
 
 

Gli ebrei italiani nella Grande guerra: prima patrioti, poi discriminati

26/01/2015  Una mostra al Museo ebraico di Roma racconta la partecipazione al conflitto della comunità israelitica. Partirono per il fronte in 5.000, ma il loro patriottismo non li rese immuni dalle leggi razziali del 1938

Il bersagliere Gabriele Anticoli
Il bersagliere Gabriele Anticoli

Il vostro pensiero deve essere sempre rivolto al Buon Dio, alla Cara nostra Italia, alla famiglia. Sarò contento il giorno che saprò che avete fatto il vostro dovere verso la nostra Cara Patria (e di questo ne sono sicurissimo)”. Sono parole del giugno 1915 scritte da un padre al figlio impegnato al fronte durante la prima guerra mondiale. Lo scrivente è Prospero Anticoli. Il figlio Gabriele, classe 1889, era bersagliere nel 54° battaglione. Sono parole di affetto sincero per la patria. Nel 1916 Gabriele resterà anche gravemente stordito dallo scoppio di una granata, ma riuscirà a recuperare l'uso della parola e nel dopoguerra troverà un lavoro in Comune, a Roma. Eppure anche lui, combattente di guerra, cresciuto in un famiglia di sentimenti patriottici, non avrà sconti. In quanto ebreo, nel 1938 Gabriele Anticoli verrà cacciato dal posto di lavoro e nel 1943 riuscì a fuggire in Sudamerica, salvandosi così dalle persecuzioni razziali e forse anche dalla deportazione.

La sua storia, con foto, lettere e altri documenti d'epoca, è raccontata nella mostra Prima di tutto italiani ospitata fino al 16 marzo al Museo Ebraico di Roma. Così, nell'anno del centenario dell'ingresso dell'Italia nella prima guerra mondiale, il Museo rende omaggio agli ebrei italiani che parteciparono al conflitto. Fu una partecipazione convinta, ispirata da organi di stampa come il periodico Vessillo Israelitico, che nel maggio 1915 titolò a tutta pagina “GUERRA!” incitando gli ebrei a partecipare.

Allo scoppio della Grande Guerra la comunità ebraica italiana ammontava a circa 35.000 individui su una popolazione totale di circa 38 milioni di persone. Gli ebrei che parteciparono al conflitto furono 5.000, metà dei quali ricoprirono il grado di ufficiali. Un dato elevato, che si spiega con il fatto che gli ebrei avevano un grado di scolarizzazione più avanzato rispetto alla media nazionale.

I caduti ebrei durante il conflitto furono 420 e circa 700 vennero decorati. Nonostante questo servizio reso alla nazione, gran parte dei reduci (le eccezioni furono pochissime) subirono le leggi razziali promulgate dal Fascismo nel 1938. Gran parte dei 1.600 ufficiali ebrei viventi negli anni '40, morirono per le persecuzioni durante la seconda guerra mondiale.

Esemplare la storia di Mosè Di Segni, il padre di Riccardo, oggi rabbino capo della comunità ebraica romana. “Mio padre”, ricorda il rabbino Di Segni, “nel 1936 fu inviato in Spagna durante la guerra civile come medico militare, ma nel 1938, con le leggi razziste,egli fu radiato dall'esercito ”. Tornato in Italia, Mosè Di Segni riuscì a sfuggire alla deportazione del 1943 rifugiandosi con la famiglia a Serripola, nelle Marche. Lì si arruolò nelle brigate partigiane e nel 1948 fu anche insignito di una medaglia d'argento al valor militare.

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