Il bersagliere Gabriele Anticoli
“ Il vostro pensiero
deve essere sempre rivolto al Buon Dio, alla Cara nostra Italia, alla
famiglia. Sarò contento il giorno che saprò che avete fatto il
vostro dovere verso la nostra Cara Patria (e di questo ne sono
sicurissimo)”. Sono parole del giugno 1915 scritte da un padre al
figlio impegnato al fronte durante la prima guerra mondiale. Lo
scrivente è Prospero Anticoli. Il figlio Gabriele, classe 1889, era
bersagliere nel 54° battaglione. Sono parole di affetto sincero per
la patria. Nel 1916 Gabriele resterà anche gravemente stordito dallo
scoppio di una granata, ma riuscirà a recuperare l'uso della parola
e nel dopoguerra troverà un lavoro in Comune, a Roma. Eppure anche
lui, combattente di guerra, cresciuto in un famiglia di sentimenti
patriottici, non avrà sconti. In quanto ebreo, nel 1938 Gabriele
Anticoli verrà cacciato dal posto di lavoro e nel 1943 riuscì a
fuggire in Sudamerica, salvandosi così dalle persecuzioni razziali e
forse anche dalla deportazione.
La sua storia, con foto,
lettere e altri documenti d'epoca, è raccontata nella mostra Prima
di tutto italiani ospitata fino al 16 marzo al Museo Ebraico
di Roma. Così, nell'anno del centenario dell'ingresso
dell'Italia nella prima guerra mondiale, il Museo rende omaggio
agli ebrei italiani che parteciparono al conflitto. Fu una
partecipazione convinta, ispirata da organi di stampa come il
periodico Vessillo Israelitico, che nel maggio 1915
titolò a tutta pagina “GUERRA!” incitando gli ebrei a
partecipare.
Allo scoppio della Grande
Guerra la comunità ebraica italiana ammontava a circa 35.000
individui su una popolazione totale di circa 38 milioni di persone.
Gli ebrei che parteciparono al conflitto furono 5.000, metà dei
quali ricoprirono il grado di ufficiali. Un dato elevato, che si
spiega con il fatto che gli ebrei avevano un grado di scolarizzazione
più avanzato rispetto alla media nazionale.
I caduti ebrei durante il
conflitto furono 420 e circa 700 vennero decorati. Nonostante questo
servizio reso alla nazione, gran parte dei reduci (le eccezioni
furono pochissime) subirono le leggi razziali promulgate dal Fascismo
nel 1938. Gran parte dei 1.600 ufficiali ebrei viventi negli anni
'40, morirono per le persecuzioni durante la seconda guerra mondiale.
Esemplare la storia di
Mosè Di Segni, il padre di Riccardo, oggi rabbino capo della
comunità ebraica romana. “Mio padre”, ricorda il rabbino Di
Segni, “nel 1936 fu inviato in Spagna durante la guerra civile come
medico militare, ma nel 1938, con le leggi razziste,egli fu radiato
dall'esercito ”. Tornato in Italia, Mosè Di Segni riuscì a
sfuggire alla deportazione del 1943 rifugiandosi con la famiglia a
Serripola, nelle Marche. Lì si arruolò nelle brigate partigiane e
nel 1948 fu anche insignito di una medaglia d'argento al valor
militare.