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mercoledì 30 aprile 2025
 
reportage
 

I bimbi della guerra che non riescono a disegnare più la pace

23/02/2023  Viaggio a Rota d'Imagna, tra le valli bergamasche, che undici mesi fa ha accolto i bambini provenienti dall'orfanotrofio ucraino di Berdyansk, vicino Mariupol. Vanno a scuola, si divertono in oratorio, studiano l'italiano. E non riescono più a immaginare il proprio Paese senza le bombe

Disegnare l’Ucraina senza la guerra. I bambini provenienti dall’orfanotrofio di Berdyansk accolti undici mesi fa a Rota d’Imagna, borgo di montagna di 900 abitanti in provincia di Bergamo, non riescono a immaginarsela e per questo hanno lasciato in bianco la parte sinistra del cartellone preparato per ricordare il primo anniversario del conflitto. C’è la data d’inizio, 24/02/2022, e accanto una donna, di spalle, che si dispera di fronte agli edifici colpiti dalle bombe. Vista dai bambini, la guerra s’è mangiata ogni speranza di pace.

Anche se per questi ottantasei fratelli di disperazione, la guerra è iniziata otto anni prima, perché la sede del loro orfanotrofio era nel Donbass, dove nel 2014 è iniziato il conflitto tra esercito ucraino e milizie separatiste filorusse appoggiate da Mosca. Gli ospiti dell’orfanotrofio erano stati spostati a ottanta chilometri da Mariupol, a Berdyansk, centro portuale sul mar Nero e uno dei primi a cadere in mano russa un anno fa. Qui, per quasi un mese, i bambini si sono nascosti nei seminterrati per sfuggire ai raid aerei.

Poi sono partiti e sono arrivati a Rota d’Imagna. Tutti insieme, centoquindici, accompagnati da nove connazionali adulti. I ragazzi di Rota sono un caso unico in Italia: non c’è un altro gruppo così grande che sia stato lasciato unito. Il loro inserimento in un borgo così piccolo, oltre che un’ammirevole storia d’accoglienza, è anche un esperimento sociale con le scuole che li hanno accolti, una rete di operatori e volontari che provano a rispondere alle loro esigenze, a cominciare dall’insegnamento dell’italiano che alcuni ora conoscono bene.

Non sono mancati i problemi: «Cinque ragazzi sono stati rimpatriati in Ucraina, in zone dove non si combatte, perché non si erano adattati: alcuni rubavano nei bar, altri provavano a scappare di notte, altri infastidivano gli abitanti», racconta il sindaco Giovanni Paolo Locatelli, al suo secondo mandato, che ha nominato come delegato del Comune all’accoglienza Zaccheo Moscheni, 73 anni, in pensione a Rota dopo quarant’anni di lavoro a Milano nel campo dei servizi sociali.

La bacheca con i disegni realizzati dai bambini (foto Giovanni Panizza)

«Nel complesso», prosegue il primo cittadino, «la comunità li ha accolti e ora si sono inseriti bene. È come una famiglia dove arrivano in un colpo solo quasi cento figli ma i genitori restano due e i nonni quattro e bisogna organizzare la scuola, il doposcuola, i trasferimenti, le attività sportive e i compiti, il vitto e l’alloggio».

Secondo i dati del ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali in Italia sono presenti 5.042 minori ucraini non accompagnati, cioè arrivati nel nostro Paese senza i genitori. La maggior parte, circa 4.500, sono ospitati da famiglie. Per i bambini di Rota ad aprile il Tribunale dei minori di Brescia, d’accordo con la Prefettura di Bergamo, ha stabilito che la soluzione preferibile fosse tenerli tutti insieme, considerando valida la tutela legale di tutti gli ospiti per la vicedirettrice della struttura ucraina.

I ragazzi non possono essere dati in affido o adottati perché le adozioni internazionali sono bloccate in tempo di guerra, a meno che i processi non siano stati avviati in precedenza e avallati dal governo ucraino. È il caso di un paio di bambini arrivati a Rota l’anno scorso e che a Natale sono tornati in Ucraina, adottati da una famiglia.

Don Stefano Galbusera è il parroco di Rota e ricorda la sera del 20 marzo dell'anno scorso in cui sono arrivati: «Sembravano fantasmi, stracci rivestiti di stracci con i sacchetti di plastica e qualche valigia rotta», racconta, «ora quando vado a trovarli sembrano rinati: giocano, leggono, studiano, si divertono. L’estate scorsa hanno partecipato al Cre, l’oratorio estivo parrocchiale, hanno fatto diverse escursioni in montagna. E questa sono occasioni preziose per l’integrazione con il territorio che si sta sempre più spopolando. L’anno scorso non ho celebrato neanche un battesimo, quest’anno finora uno. Il rapporto tra funerali e battesimi è, in media, di dieci a uno».

Il cartellone preparati dai bambini per ricordare il primo anniversario della guerra (foto Giovanni Panizza)

Il gruppo vive nella Casa Stella Mattutina, una struttura dell’Azione Cattolica normalmente utilizzata per i campi estivi. In una parte della struttura ci sono i più piccoli, in camerate da una quindicina di letti, in un’altra le stanze dei più grandi, da quattro posti. Un salone funziona come zona giochi e zona cinema, un altro da mensa. Tra le 7 e le 8 del mattino si fa colazione tutti insieme; per pranzo sono stati organizzati due turni, alle 13.30 e alle 14.30, a seconda degli orari dei rientri da scuola.

Il sabato boršč, la tipica zucca ucraina a base di barbabietola, e pelmeni, i ravioli a base di carne. Nel pomeriggio, si fanno attività di doposcuola e corsi di rafforzamento della lingua italiana.

Cinque bambini frequentano la scuola elementare di Rota, gli altri sono nell’istituto comprensivo di Sant’Omobono Terme, il paese accanto, mentre i più grandi frequentano l’Alberghiero a formazione turistica di Bonate Sopra. Il costo di un’accoglienza di queste dimensioni non è semplice.

Nella prima fase d’emergenza sono arrivate molte donazioni in denaro ma anche vestiti, cibo, prodotti per l’igiene, giochi e anche le uova di Pasqua inviate da Adriano Galliani. Poi ci sono i fondi stanziati dal governo: «Prevedono un rimborso fino a 100 euro al giorno per ogni ospite», spiega il sindaco, «le spese vanno rendicontate e inviate a Roma ogni tre mesi. All’inizio è stato determinante un prestito di trecentocinquantamila euro del Consorzio BIM (Bacino Imbrifero Montano) di Bergamo e la banca BPER che ci ha concesso un debito a breve termine».

Una veduta del borgo di Rota d'Imagna (foto Giovanni Panizza)

Anche la scuola è stata rivoluzionata con il lavoro fondamentale della dirigente dell’istituto di Sant’Omobono, Marzia Arrigoni, che ha messo a punto una riorganizzazione, ha ottenuto personale dall’Ufficio scolastico provinciale e ha coinvolto tutti i genitori.

«Il ministro Bianchi restò di stucco quando seppe che c’erano quasi cento orfani ucraini», racconta Diego Mosca che insegna Religione nella scuola primaria, «i ragazzi fino all’8 giugno scorso erano in classi monolingue in cui si parlava ucraino. Durante l’estate abbiamo chiesto l’ampliamento delle classi e ora ci sono cinque docenti alle elementari e quattro alle medie dedicati a loro più gli educatori a supporto».

Le notizie della guerra arrivano attutite. Poco dalla Tv, molto dai social, soprattutto Instagram e TikTok, i più usati dai ragazzi. Vira, 14 anni, dice che quando guarda la Tv si sente male: «Voglio tornare in Ucraina e poi di nuovo in Italia perché qui mi trovo bene e sto imparando in fretta l’italiano». Veronica, 11, vuole tornare nel suo Paese quando finisce la guerra ma intanto le piace passeggiare nei sentieri di montagna qui attorno alla valle.

Nella bacheca del centro i ragazzi hanno provato a raccontare la propria esperienza con i disegni. Ci sono le bandiere ucraina e italiana. Un disegno con le montagne della Valle Imagna e un altro con la spiaggia di Berdyansk. Olek, che ha 10 anni e s’è costruito un computer di cartone, indica il suo: una colomba e la bandiera della pace.

Il futuro per questi ragazzi è un’incognita e molto dipende dalla guerra. «Gli adolescenti che stanno frequentando l’Istituto Alberghiero si stanno appassionando molto e potrebbero decidere di fare i cuochi o i ristoratori e magari decidere di restare qui», spiega il sindaco, «stiamo organizzando tirocini extracurriculari. La Valle Imagna è una zona turistica, si viene per fare lunghe camminate e stare a contatto con la natura. E poi potrebbero anche ripopolare i nostri borghi dove lo spopolamento, come in tutti i piccoli comuni, soprattutto quelli montani, picchia duro. In tutta la Valle ci sono undicimila persone sparse su tredici comuni».

I bambini durante le attività pomeridiane nella Casa Stella Mattutina (foto Giovanni Panizza)

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