La fisica sta vivendo un momento magico: in un arco di tempo ristretto, è stato rintracciato il celebre bosone di Higgs e sono state registrate le onde gravitazionali. Queste scoperte, inseguite a lungo dall’umanità, hanno una portata che trascende l’ambito scientifico, in quanto mutano la nostra visione del mondo. Sappiamo che il nostro non è l’unico pianeta dove è possibile la vita, che l’universo – come noi – è destinato a spegnersi, che noi esseri umani siamo un’entità minuta e sperduta in uno spazio infinitamente grande, ma al tempo stesso siamo gli autori di queste scoperte straordinarie.
Sgomento ed esaltazione sono i sentimenti che accompagnano lo scienziato in questo cammino, come racconta Guido Tonelli, uno dei protagonisti della scoperta del bosone di Higgs, che il 26 maggio ha tenuto a Pistoia, nell’ambito della rassegna “Dialoghi sull’uomo”, un’attesa lezione su “Il grande racconto delle origini: le nuove sfide della ricerca”. Uno scienziato non credente aperto al dialogo con i credenti che chiede esplicitamente che sia la società a dare orientamenti alla ricerca, oggi che essa si può spingere oltre limiti inimmaginabili.
Professore, perché le scoperte del bosone di Higgs e delle onde gravitazionali sono così importanti?
«Chiudono un percorso iniziato decine di anni fa e avvengono l’una nel mondo dell’infinitamente piccolo, quello delle particelle elementari, e l’altra all’estremità opposta, dove si sta cercando di capire come funziona l’universo nel suo complesso. Prendiamo il bosone di Higgs: questa particella non è una delle tante, ha un ruolo speciale nel differenziare la massa. Fin dall’origine era presente tutta la materia che conosciamo, ma in una forma caotica, una nuvola di particelle senza massa che non si aggregavano, se non fosse intervenuto il bosone di Higgs che raffreddandosi ha occupato l’universo intero, differenziando le particelle: questa differenziazione decide tutto, perché permette ad alcuni quark di formare protoni stabili e “assegna” all’elettrone una massa sufficiente a formare il primo atomo di idrogeno. In quel momento la materia ha preso la direzione dell’aggregazione, da cui nasceranno le stelle, i pianeti… fino a noi. All’altro estremo stanno le onde gravitazionali, previste da Einstein. Lo spazio-tempo fluttua emettendo un segnale talmente debole che si è pensato che mai avremmo potuto captarlo. Per la prima volta è stato registrato un segnale prodotto da una collisione fra buchi neri avvenuta un miliardo e 400 milioni di anni fa. Queste due scoperte possono diventare strumenti di scoperte ulteriori, che ci condurranno in mondi sconosciuti».
Quali sono le sfide che sta affrontando la fisica in questo momento?
«La prima è la materia oscura: sappiamo che l’universo è composto per un quarto da una forma di materia di cui vediamo gli effetti gravitazionali, ma che ci è sconosciuta. Chi la trova può dire di aver scoperto di che cosa è fatto un quarto dell’universo, di cui ora conosciamo solo il 5 per cento. Lo spazio-tempo che ci circonda è come un mare ancora percorso da sottili increspature originarie del Big Bang: conserva cioè tracce – impercettibili con gli strumenti oggi disponibili – dello tsunami originario. È come se sapessimo di avere intorno a noi un sussurro che ci racconta la storia scientifica dei primi istanti dell’universo. La terza sfida è di unificare l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo, la relatività generale con la meccanica quantistica».
Per la prima volta nella storia l’uomo si è affacciato sulle origini dell’universo: che cosa sappiamo?
«Abbiamo visto con grande sorpresa che l’energia totale dell’universo è zero. Se mettete insieme tutte le galassie, la materia oscura, le radiazioni… e considerate che l’energia di attrazione gravitazionale è negativa, il risultato è un equilibrio perfetto. L’ipotesi è che l’universo sia nato da una fluttuazione del vuoto. Sappiamo che cosa è successo dal momento in cui il bosone di Higgs si è installato fino a oggi, ma non sappiamo che cosa è successo nel brevissimo istante precedente».
C’è consenso unanime anche sul fatto che esistano altri pianeti…
«Si è visto anzitutto che intorno a ogni stella c’è un pianeta».
Su cui c’è la vita?
«Molti pianeti hanno una distanza dalla stella madre tale per cui l’acqua può esservi allo stato liquido. Condizione necessaria ma non sufficiente per la vita che, per svilupparsi, ha bisogno di tempo: la Terra ha qualche miliardo di anni. Poi è necessaria un’atmosfera che produca ossigeno e funga da guscio protettivo. Aiuta anche un campo magnetico, in grado di schermare le radiazioni cosmiche».
Con quali stati d’animo uno scienziato vive la ricerca?
«Quando abbiamo la fortuna di sporgere lo sguardo oltre il limite del conosciuto, viviamo un momento di immensa felicità. Ma dura un attimo. Noi scienziati abbiamo una più esatta percezione del nostro posto nell’universo: capiamo che siamo misera cosa nell’immensità delle galassie e che ogni forma di arroganza è infondata».
Tra l’altro abbiamo scoperto che noi uomini e l’universo condividiamo un destino di mortalità…
«Ci siamo resi conto che l’equilibrio su cui si regge l’universo è precario. La mortalità non è un tratto peculiare dell’uomo, ma comune fra l’uomo e l’universo. Tale consapevolezza dovrebbe riflettersi sui nostri rapporti: il prendersi cura degli altri, il senso del limite… Per questo credenti e non credenti dovrebbero confrontarsi per costruire le basi di un rinnovato umanesimo».
Le scoperte scientifiche modificano la nostra visione del mondo?
«Il cristianesimo è stata una rivoluzione, perché il Dio che si fa uomo ci costringe a pensarci in maniera diversa. Lo stesso accade in seguito ad alcune scoperte epocali: tutti dovrebbero conoscere i progressi della scienza, dato che cambiano i nostri comportamenti e decidono il futuro dei nostri figli. E guai a lasciare gli scienziati da soli. O l’intera collettività si appropria di questi risultati e ne discute e indica dei limiti, oppure la scienza procede per conto suo e può produrre mostri».
La genetica lo dimostra…
«Vengono creati esseri artificiali, si toccano meccanismi messi a punto in milioni di anni, si procrea in maniera meccanicistica, la morte è considerata una malattia da sconfiggere… Tutto ha un tempo limitato e, invece di usarlo per migliorare la vita dei nostri simili, impegniamo le risorse per estendere la nostra vita individuale di qualche anno… Stiamo rasentando la follia».