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mercoledì 12 febbraio 2025
 
la testimonianza
 

«Ho visto un popolo in cammino pregare per Sinisa»

20/12/2022  Parla don Massimo Vacchetti, responsabile della pastorale sport, turismo e tempo libero di Bologna che ha guidato due pellegrinaggi di preghiera per chiedere la guarigione di Siniša Mihajlović. «Era un uomo autentico e lo è stato anche nella malattia»

"Pronto? Sono Sinisa". "Ciao Mister, senti ho letto il tuo libro...mi piacerebbe invitarti a Villa Pallavicini.". "Per te ci sono". "Senti Mister...ma riesci a darmi una data?". "Tu metti una data qualsiasi...ovunque io sia prendo un aereo e arrivo dove e quando tu vuoi”. Era l’estate scorsa quando don Massimo Vacchetti, responsabile della pastorale dello sport, turismo e tempo libero che stava organizzando la rassegna di libri LIBeRI contattò Siniša Mihajlović perché presentasse il suo ultimo libro. «Ecco, per me» commenta don Vacchetti «Sinisa è stata questa commovente gratitudine». Due anni prima, infatti, all’annuncio della sua malattia don Massimo aveva guidato due pellegrinaggi a San Luca per chiedere la sua guarigione. «Organizzati da Giovanni Galvani e Damiano Matteucci, due tifosi! Damiano ha avuto l’idea e ha chiamato il suo elettricista, Giovanni; ma nessuno dei due sapeva come guidare il Rosario. E così mi hanno coinvolto».

Due pellegrinaggi a cui hanno partecipato mile persone ciascuno.    

«Questo è il fenomeno Mihajlović. Una persona schietta, verace al punto da risultare, come quando giocava, antipatico e rognoso. Così lo era nella vita. La gente, per quanto si divida sulle posizioni, ha desiderio di autenticità. Perché tutti in diversa misura indossiamo maschere, lui era un uno vero. Questa verità è stata ancora più evidente quando ha manifestato la sua fragilità, quando ha detto pubblicamente della sua malattia. “Ho pianto” ha dichiarato, “mi sono sentito piccolo e fragile”. Il suo è sembrato un appello a stargli vicino “Io che sembro inscalfibile in realtà sono un uomo fragile”. Ha fatto sue le parole di San Paolo: “è quando sono debole che allora sono forte”. La forza della sua debolezza sta nell’aver guadagnato molto più amici di quando si faceva forte. Lui stesso diceva “io ero uno che divideva gli altri” per posizioni politiche, per scelte etc. Nella debolezza ha unito tutti. Attorno alla sua fragilità ha conquistato, ha reso evidente la sua autenticità».

don Massimo Vacchetti guida il pellegrinaggio
don Massimo Vacchetti guida il pellegrinaggio

C’è chi dice, alla luce della sua scomparsa, che le preghiere siano state inutili…

«Non è così. La preghiera fa sempre miracoli; certo non li fa nel senso letterale che noi vorremmo, ma nel suo caso ha generato intorno a lui una comunità. Non è mai successo che un popolo si mettesse in preghiera, mai. Due pellegrinaggi: uno il 21 luglio e uno il 6 ottobre. L’ultimo, poi, è stato qualcosa di profetico perché si è svolto la mattina e il pomeriggio si disputava Bologna-Lazio. La Lazio che è la squadra del cuore di Sinisa, ma le due tifoserie sono ostili. Eppure entrambe camminavano dicendo il Rosario lungo il portico di San Luca con una compostezza da brividi. Alla fine si sono scambiati sciarpe e abbracci».

L’ultima preghiera è stata la veglia di domenica.
«Che dice una cosa curiosa. Una volontà diversa; nei pellegrinaggi si chiedeva la guarigione di Sinisa e di tanti malati. Nel secondo, in modo particolare, avevamo dato un foglio per ciascun partecipante in cui si poteva ricordare il nome di una malata. La veglia di domenica sera, nel cuore di Bologna, rispondeva a un’altra esigenza. Damiano mi chiama e mi dice “a casa mia quando muore qualcuno si dice il Rosario”. Per Sinisa abbiamo scelto “il salotto della città”, Santo Stefano, in cui sentirci in famiglia e raccontarci gli uni gli altri chi era. Abbiamo pregato per la sua anima e la salvezza ultima; e poi, per farci compagnia perché la preghiera aiuta anche noi. Non serve solo a ottenere qualcosa, ma aiuta chi la recita ad affrontare le cose che succedono anche se non sono sempre le più comode».

Mihajlović che era profondamente credente.

«Lo disse lui stesso pubblicamente la sera che venne a presentare il libro. Si commosse e pianse per quello che avevamo fatto per lui. E in quella sede raccontò il suo rapporto con Dio “io sono sempre stato cristiano, ma da quando sono andato a Medjugorje qualcosa è accaduto. Mi sono sentito nudo, come un bambino, ho pianto. Ho sentito abbandonare tutta la fatica della mia esistenza”; Sinisa è passato per la guerra, la distruzione dalla casa, ha visto i suoi migliori amici sparare contro casa sua, ha salvato la vita a uno di loro. Ecco, la prima cosa che ha fatto dopo il trapianto al Sant’Orsola è stata di andare in chiesa».

 

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