Alcuni bagnanti soccorrono un gruppo di immigrati a Catania.
Il concetto di Giusto è nato a Gerusalemme dopo la Seconda guerra mondiale, per ricordare i non ebrei che hanno soccorso le vittime della Shoah.
Da allora si è esteso alle persone che anche in contesti storici differenti hanno salvato vite umane, motivate da un’etica della responsabilità. Il riferimento è a quanto affermato nella Bibbia: «Chi salva una vita, salva il mondo intero».
I coniugi Regina e Cristopher Catrambone.
I Giusti sono soprattutto salvatori
Nel Mediterraneo, i Giusti sono soprattutto salvatori. I militari della Guardia costiera, che con l’operazione Mare Nostrum hanno realizzato la più importate operazione di salvataggio della Marina italiana. O privati come Regina Catrambone, l’italiana residente a Malta che con il marito statunitense Cristopher ha messo in piedi il Moas (Migrant offshore aid station – Postazione di aiuto in mare ai migranti). Per lei il punto di svolta è stata una giacca beige. Stava andando in Tunisia per affari quando l’ha vista: «Sembrava quasi un fantasma», dice Regina, «con le braccia che fluttuavano scendendo giù nel blu scuro del mare».
Spronata anche dall’appello del Papa a Lampedusa, la coppia italo-americana ha realizzato la prima missione di salvataggio privata: con la nave Phoenix (lunga 40 metri, prima veleggiava tra i Caraibi), due droni, due gommoni e una squadra di 16 soccorritori, offre assistenza ai migranti che attraversano il Mediterraneo sui barconi. Finora il Moas ha aiutato 4.441 persone.
Alganesh Fessaha, premiata l'anno scorso con l'Ambrogino d'oro dal Comune di Milano.
Liberato 750 eritrei ed etiopi rapiti nel Sinai
Con l’associazione Gandhi, la dottoressa italoeritrea Alganesh Fessaha va a salvare i profughi dal Corno d’Africa alle carceri egiziane, dalla Libia al Sudan. In particolare, negli ultimi anni ha liberato 750 eritrei ed etiopi rapiti nel Sinai. Dalla sua casa di Milano parte periodicamente per il deserto, dove alcuni clan beduini hanno costituito una vera e propria rete mafiosa.
«Chiedono ai parenti il riscatto», racconta, «con telefonate durante le quali torturano i sequestrati con plastica fusa sulla pelle, o li percuotono con bastoni e spranghe, mentre i loro capelli vengono bruciati con il kerosene e le donne violentate». E aggiunge: «In quest’opera di salvataggio mi aiuta uno sceicco salafita che abita nel Sinai. Partiamo entrambi dal nostro credo religioso: cattolica io, musulmano lui».
Cristina Cattaneo, medico legale dell'Università di Milano.
Dare un nome alle vittime del mare
Al convegno alla Camera interviene anche Cristina Cattaneo, autrice di “Corpi senza nome”. È il medico legale che vuole dare un nome alle vittime del mare.
Per identificare chi arriva cadavere, mette a frutto le sue competenze di anatomopatologa del Labanof, il Laboratorio di Antropologia e Odontologia forense dell’Università di Milano.
Un giovane della Comunità di Sant'Egidio a Porto Empedocle.
I bagnanti trasformati in soccorritori a Catania
Daniela Pompei racconta invece l’impegno della Comunità di Sant’Egidio con i profughi, dai moli della Sicilia a Roma e Milano, le città di transito verso il Nord Europa. Ricorda l’agosto 2013, quando un gruppo di egiziani e siriani arrivò sulla spiaggia di Catania: «Ci furono dei bagnanti che videro l’imbarcazione non lontana dalla riva. E in un attimo iniziò prima uno, poi due e poi in modo contagioso e immediato si formò una vera e propria catena umana per soccorrere e portare a riva le persone, soprattutto bambini».
Qualche giorno dopo, un giovane di 16 anni svegliò il responsabile di Sant’Egidio a Catania alle sei e mezza di mattina: «Stava arrivando», racconta Pompei, «una nuova nave di profughi e voleva capire come fare per dare una mano. Partì una catena telefonica e dopo nemmeno un’ora, sul molo c’erano 50 giovanissimi pronti ad aiutare. Da quell’estate, appena è possibile, c’è sempre un gruppo di studenti siciliani che accoglie le navi della speranza, portando i primi generi di conforto, ma soprattutto il sorriso. Si accolgono i vivi e i morti; quando arrivano i cadaveri, i giovani depositano i fiori sulle bare di africani e siriani, spesso loro coetanei».
Un'operazione di salvataggio di Mare Nostrum.
"Chi salva una vita salva il mondo intero"
Milena Santerini, pedagogista dell’Università Cattolica, è la deputata che ha organizzato l’incontro. Spiega: «Nei giorni in cui i paesi europei scaricano le loro responsabilità e trattano il tema in termini di cifre e risparmio economico, le voci di questi Giusti ci ricordano che i profughi sono nomi, volti e storie».
Nel Cimitero Mediterraneo sono 3.500 i morti del 2014, quasi 1.000 quelli di quest’anno. «Ma in ogni tragedia della storia», continua Santerini, «c’è sempre un Giusto che dimostra come sia possibile fare la differenza. La chiave è vincere l’indifferenza».
Le fa eco Gabriele Nissim, ebreo e presidente di Gariwo, l’onlus che ha promosso in Italia e nel mondo la riflessione sui Giusti: «Va insegnato ai giovani che la memoria non riguarda gli antenati, ma il tempo in cui viviamo. Le scelte dei salvatori del Mediterraneo ci dicono che ciascuno può essere arbitro del proprio destino». E conclude: «La storia non è determinata da eventi esterni, ma da quello che facciamo noi».