Il quartiere romano del Corviale.
Forse nemmeno il neosindaco Roberto Gualtieri, eletto ieri dopo il ballottaggio che lo ha visto vincere sul laconico rivale Michetti, sa che nella Capitale si nascondono sette Rome, come i suoi re: l’urbe storica, dentro le mura aureliane, con i suoi fori imperiali e i suoi monumenti; quella ricca e benestante, la città “compatta”, con i suoi quartieri ad alta densità; la metropoli del traffico; la città del disagio, legata alle periferie, quella estesa sull’agro romano e la città degli “invisibili”, i senzatetto, i rom, gli apolidi che neanche si mappano e che noin entrano nei selfie dei turisti. Le ha scoperte un team di ricercatori coordinati da Salvatore Monni, docente di Economia dello sviluppo a Roma 3. «In queste settimane ci si prepara a votare ma il dibattito continua a essere spesso incoerente e paradossale», ha ricordato il professor Monni, che ha presentato il lavoro non a caso al Corviale, il falansterio simbolo della periferia romana dove è ambientato il film Come un gatto in tangenziale. «Roma è la più grande città abusiva d’Europa, con un terzo della popolazione che vive in edifici costruiti illegalmente e quasi nessuno lo sa. Tra le capitali, i romani sono ultimi per livello di soddisfazione riguardo al trasporto pubblico e alla pulizia e nel complesso penultimi per la qualità della vita in città».
Ma si può dire che tutti i neosindaci dei Comuni italiani avranno a che fare con un pioggia di fondi europei, tra Piano nazionale di ripresa e resilienza e fondi Fesr (Fondo europeo per lo sviluppo regionale). Solo per quest’ultimo gli enti locali potranno contare su un totale di 4,5 miliardi di finanziamenti, di cui 1,5 per la prima volta destinato alle zone interne e in particolar modo ai piccoli Comuni, e 3 miliardi per le aree urbane piccole e medie e le grandi aree metropolitane. Ma soprattutto è in arrivo una maggiore flessibilità nei conti, grazie allo scorporo del cofinanziamento per i progetti e gli investimenti strategici dal Patto di stabilità. Una messe di risorse da non sprecare per migliorare le città nei prossimi cinque anni, dalle grandi opere infrastrutturali ai distretti turistici, dagli interventi per l’ambiente alle attività sportive e culturali, fino al Welfare per le famiglie bisognose e naturalmente la creazione di posti nuovi di lavoro.
Perchè se c’è un filo rosso che lega i problemi più urgenti delle grandi e piccole città è quello del lavoro. Lo conferma anche il direttore della Caritas diocesana di Roma Giustino Trincia: «Non dobbiamo dimenticare che la città è tenuta insieme da tantissimo lavoro nero, dalla ristorazione al turismo alle badanti. E accanto al lavoro nero, c’è il lavoro che non c’è. È un tema che sta a cuore alla diocesi e agli elettori cattolici, perché senza lavoro non c’è dignità, gli interventi di emergenza possono servire al momento ma senza occupazione non si va da nessuna parte, non si mette su famiglia, non la si mantiene non si valorizza il proprio talento». La ricerca sulle sette Rome sottolinea che nei primi 3 trimestri 2020 si sono persi 61mila posti di lavoro, con un colpo più duro per atipici, stranieri e donne. La diocesi, con il Fondo Gesù Divino Lavoratore ha aiutato 2.500 persone a trovare un posto ma è chiaro che il compito di creare occupazione non può essere demandato solo alla Chiesa. La seconda emergenza secondo Trincia è quella abitativa: «Abbiamo centinaia di migliaia di case vuote e decine di migliaia di famiglia alla ricerca disperata di una casa, per non parlare dei novemila senzatetto. Poi c’è la gestione del patrimonio pubblico, che è un’ingiustizia che si perpetua da molti anni con la lentezza dell’assegnazione delle case popolare e la trascuratezza della manutenzione degli edifici pubblici. Ci sono 5 mila persone che vivono in stato perenne di occupazione e non si riesce ad avere una gestione che risolva questi problemi per i conflitti di attribuzioni dentro il Comune». IL terzo problema è quello della solitudine («non solo gli anziani, anche i giovani sfibrati dal lockdown, per non parlare del disagio mentale e le troppe famiglie lasciate abbandonate a stesse»). Vi è un quarto problema che dovrebbe essere sull’agenda delle priorità del futuro sindaco della Capitale e che stanno a cuore ai credenti della Capitale. Si tratta conclude Trincia «dell’ecologia integrale, della cura del creato, che non è solo la cura dell’ambiente ma dei micro ambienti dove vivono le persone. C’è tanta gente di buona volontà che lavora su questi fronti, laici e credenti, ma è compito della politica sostenerla e fare scelte decisive. Serve un rapporto nuovo del futuro sindaco, chiunque egli sia, con la sua città, un patto tra comunità e politica.
Anche nella Napoli che verrà guidata da Gaetano Manfredi , la Napoli afflitta da traffico congestionato, inquinamento atmosferico, assenza di verde, inefficienza amministrativa, criminalità organizzata, situazioni di marginalità diffusa, piaghe antiche, con cui hanno dovuto scontrarsi tutte le amministrazioni che hanno governato la città negli ultimi cinquant’anni, la priorità resta la disoccupazione ogni oltre limite. Lo dimostra il caso Whirpool. Certo, ci sono l’emergenza rifiuti, i trasporti, la cultura e il turismo, temi importanti. Ma il cuore della questione, dappertutto, sono le periferie, sempre più povere (anche di valori) e degradate. Per Torino ce lo conferma Alberto Riccadonna, direttore del periodico diocesano La Voce e il Tempo. Il giornale ha condotto una lunga e articolata inchiesta in tutte le parrocchie: «Tutti i parroci, nessuno escluso, hanno rilevato che il problema principale riguarda le periferie». Anche in questo caso la città non è una sola, ma si sdoppia: «Esistono due Torino, il nostro arcivescovo Nosiglia va ripetendolo da tempo: quella benestante del centro e dei quartieri della collina, bella e scintillante dopo le Olimpiadi 2006, e una Torino parallela che non riesce ad esprimersi, quella vastissima delle periferie dove si concentra il disagio sociale». Qui, continua Riccadonna, «si registra una disoccupazione, specialmente giovanile, superiore alla media nazionale. Si tratta di ex quartieri operai, urbanisticamente degradati, divenuti dormitorio, dove vivono anziani e domina la solitudine e dove si concentrano le guerre dei poveri tra migranti e locali.
A Torino si vive soprattutto l’emergenza abitativa, con 80 mila unità abitative vuote e migliaia di famiglie sotto sfratto. I problemi maggiori stanno a Nord, perché la zona di Mirafiori è stata riqualificata grazie ai finanziamenti europei. Ma i quartieri settentrionali, tra campi nomadi e vecchi falansteri degradati, sono abbandonati e attecchisce l’estrema destra». Una situazione non dissimile in altre aree metropolitane, come Roma, Milano e Napoli. A Torino la seconda questione si chiama Stellantis (la ex Fiat). «Negli anni 80 vi lavoravano 60 mila persone oggi sono 7 mila al massimo. Anche se Stellantis continua a dichiarare che vuol presidiare il territorio la produzione è in calo e il futuro non promette niente di buono. Il nuovo sindaco dovrà prender una decisione di un’impresa che dalla città ha avuto moltissimo e che in realtà non sta restituendo più niente».