Beppe Fiorello con l'on. Milena Santerini. In copertina, sempre durante la conferenza stampa, insieme anche a Giovanni Maria Bellu, Vittorio Piscitelli, Cristina Cattaneo.
Ignoto numero 5, Ignoto numero 7, Ignoto numero 16. Sono le scritte sulle lapidi di diversi cimiteri del Sud Italia. Altri cadaveri, loro compagni di viaggio, finiscono corrosi dal sale o mangiati dai pesci in fondo al mare. Intanto, sull’altra sponda del Mediterraneo, madri e padri dall’Egitto all’Eritrea, dal Senegal alla Nigeria, si chiedono da anni con angoscia e speranza che fine abbiano fatto i loro figli partiti un bel giorno per l'Europa e mai più tornati. La maggioranza delle vittime annegate nel Cimitero Mediterraneo, infatti, non è mai stata recuperata, né identificata. E anche quando i corpi vengono ritrovati, il 60% rimane sepolto senza un’identità.
«C’è bisogno di un grande atto di umanità e dignità». A lanciare l’appello perché l’Italia sia prima in linea per il riconoscimento dei morti è Beppe Fiorello, che ha commosso molti italiani con “I fantasmi di Portopalo”, andato in onda su Rai1, ricostruendo il naufragio del 26 dicembre 1996 al largo di Capo Passero, in Sicilia, in cui morirono 283 persone.
La mozione, che ha il sostegno di parlamentari di diversi schieramenti, ha iniziato l’iter della discussione. Spiega Santerini, che presiede la No Hate Alliance del Consiglio d’Europa: «Ridare un nome alle vittime è un servizio non solo alla dignità dei morti, ma anche ai vivi. Va riconosciuto, come previsto dal diritto internazionale e dal Consiglio d’Europa, il diritto a conoscere il destino dei propri cari: permette alle famiglie di riavere i corpi, dar loro degna sepoltura e piangerli uscendo dal limbo angoscioso di chi non sa la sorte di un proprio congiunto».
Continua la deputata: «Oltre a promuovere la creazione di una banca dati europea per facilitare un’efficace collaborazione tra gli Stati e accedere al Dna dei parenti residenti nell’Ue, chiediamo al Governo di potenziare e mettere a sistema un modello che già funziona, quello della task force inter-istituzionale di Melilli (SR), con i Ministeri dell’Interno e della Difesa, la Marina Militare, la Guardia Costiera, la Croce Rossa e dieci università italiane».
Alcuni documenti e altri resti ritrovati addosso ai corpi di migranti morti nel Mediterraneo. Spesso queste povere cose consentono di arrivare all'identificazione delle persone.
A sostegno della mozione sono schierati i protagonisti di questo modello, che è stato di recente indicato dall’Onu come un’eccellenza italiana, ovvero il prefetto Vittorio Piscitelli, Commissario straordinario per le persone scomparse, e Cristina Cattaneo, direttrice del Labanof, il laboratorio di anatomia forense dell’Università Statale di Milano. La professoressa, nota per essersi occupata di casi come l’omicidio di Yara Gambirasio, ha già portato a termine con successo il riconoscimento di 386 vittime dei naufragi di Lampedusa del 3 e 11 ottobre 2013. «Con la Polizia scientifica», racconta, «abbiamo raccolto i dati biologici e genetici dalle vittime. Sono stati inseriti in una banca dati e attraverso ambasciate e Ong abbiamo contattato parenti sparsi in tutta Europa». Far venire i familiari dall’Eritrea, la patria della maggior parte dei morti, era invece impossibile per i costi e l’opposizione del dittatore Isaias Afewerki. Tuttavia, le famiglie di 66 scomparsi si sono presentate a Roma e Milano per la raccolta di dati ante mortem; una dozzina ha saputo che i loro parenti non erano tra i morti, più del 50% dei corpi è stato riconosciuto.
La pagella scolastica trovata addosso a un bambino, vittima del Mediterraneo.
Lo stesso team, che unisce scienziati forensi e patologi (le Università hanno messo a disposizione il personale a titolo gratuito) con forze dell’ordine e militari, è ora al lavoro per dare un nome alle 800 vittime dello scafo colato a picco il 18 aprile 2015, il più grande dei disastri avvenuti nel Canale di Sicilia. Il relitto è stato recuperato lo scorso giugno a 370 metri di profondità, sono stati ultimati gli esami in un obitorio allestito appositamente presso il pontile Nato di Melilli. Autopsie, prelievi di Dna e di parametri anatomico-odontoiatrici (tatuaggi, cicatrici…), confronti tra arcate dentali, padiglioni auricolari e altre parti del corpo con le immagini postate sui social network prima della partenza, ma anche indagini sulle tracce ritrovate dai vigili del fuoco nella stiva.
Il guanto di Spiderman, appartenuto a una piccolissima vittima rimasta senza nome.
Sono indizi che raccontano tanto dei morti annegati: la pagella scolastica e la tessera della biblioteca ritrovate tra i corpi intrecciati, la maglia della squadra di calcio, i libretti delle vaccinazioni, gli spazzolini da denti, le merendine. Un piccolissimo guanto di Spiderman ricorda invece la giovanissima età di tanti finiti in fondo al Mediterraneo mentre inseguivano il sogno europeo.