Accade
da dieci anni in qua. Il 2 giugno, chiamato dalla Rai, commento in
diretta tv la rivista organizzata a Roma ai Fori Imperiali. Notizie e
riflessioni tecniche, come ci si attende da un militare come me.
Non entro nei dettagli nè affronto le polemiche che anche quest'anno
sono arrivate puntuali. Rimando all'autorevole presa di posizione del
Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, il quale ha escluso che
questo evento possa essere letto come «una prova muscolare». Osservo,
come altri hanno già fatto, che quella del 2013 è una parata
drasticamente ridotta nei costi e nella formula. Per dire: niente
fanfare e niente Frecce tricolori. Un dovere, quello del risparmio, in
un'epoca di crisi come quella che ci sta duramente provando. Una
tendenza, per altro, già evidente negli ultimi anni: se nel 2011
sfilarono circa 5 mila tra militari e civili e la parata costò 4,4
milioni di euro, nel 2012 le persone impegnate furono soltanto 2.500 e
la spesa risultò inferiore ai due milioni di euro.
Mi preme piuttosto ragionare sul senso autentico della rivista.
Che è l'omaggio allo Stato, alla casa comune che tutti abitiamo. Il
2 giugno sta all'Italia come il 4 luglio sta agli Stati Uniti (quel
giorno, nel 1776, fu firmata la Dichiarazione d'indipendenza) o come il
14 luglio sta alla Francia (anniversario della presa della Bastiglia,
nel 1789). Ogni Paese ha il diritto-dovere di ricordare solennemente
quando e come è nato. Noi lo facciamo il 2 giugno, appunto. Uscivamo da
una dittatura e da una guerra sanguinosa. Quel giorno del 1946 aprì
un'epoca nuova, ci accolse tutti in una Patria ritrovata.
Cos'è rimasto di quelle aspettative, di quello
spirito, di quell'energia? C'è chi si abbandona allo sconforto e
risponde: poco o niente. Non sono di quell'avviso. C'è
un'Italia che non arrossisce e non si vergogna perché non ha nulla per
cui arrossire o di che vergognarsi. Di quest'Italia fanno parte a buon
diritto le Forze armate, 180 mila donne e uomini che non solo proclamano
ma vivono quotidianamente valori necessari a cementare una comunità
civile degna di questo nome: onestà, rispetto, impegno, abnegazione,
solidarietà. Dentro e fuori i confini dello Stato. Non è un caso se
sindaci e presidenti di Regione ci chiamano quando capita un terremoto o
un'alluvione. Non è un caso se i cittadini invocano la nostra presenza
quando l'ordine pubblico è particolarmente a rischio.
E poi le missioni all'estero. Stiamo operando in 27 Paesi
all'interno di altrettante operazioni di pace. Siamo partiti con
l'avallo del Parlamento, nel quadro di azioni volute dall'Onu, dalla
Nato o dall'Europa, in accordo con i nostri alleati. Siamo
gente che ha scelto il mestiere della armi partendo da un amore
sconfinato per la pace. Assicuriamo una cornice di sicurezza
indispensabile per costruire ospedali, scuole, centrali elettriche,
acquedotti, ponti e strade. Ovunque nel mondo, le Forze armate sono
immagine visibile dell'unità di una Nazione, di ciò che una Nazione è e
vuole essere nel mondo. Così anche da noi, in Italia.
La rivista dei Fori imperiali non è l'unico omaggio alla Repubblica, a
chi la guida e a chi la rappresenta. Il programma del 2 giugno prevede
eventi simili in molte città italiane.
C'è qualcosa da festeggiare, ci si chiede? Sì. Al netto di ogni vuota retorica la risposta è sì!
C'è un Paese che si sveglia presto la mattina e fa il suo dovere. C'è
un Paese che si può guardare allo specchio senza dover abbassare gli
occhi. Buon compleanno, Italia.