La Sierra Leone dal 19 al 21 settembre si è fermata in un estremo tentativo di circoscrivere e combattere la diffusione del virus, isolando i casi di ebola (ad oggi circa 600 morti identificati): per 3 giorni tutti hanno dovuto rimanere in casa. Tutto è rimasto chiuso.
Circa 30.000 operatori sanitari sono andati di casa in casa, supportati logisticamente per le strade dai soldati, fra i 6 milioni di abitanti della Sierra Leone, per vedere se ci sono malati, che cosa le persone sanno sulla malattia, dare istruzioni su come prevenire il contagio e che cosa fare in caso di necessità.
Ha detto il nostro Presidente Ernest Koroma alla gente: «Alcune delle cose che stiamo chiedendo alla nostra popolazione sono difficili, ma la vita è più importante di queste difficoltà».
In un Paese con 2 dottori ogni 100.000 residenti è stato ed è per noi uno sforzo logistico e organizzativo grandissimo, mentre l'economia è al collasso. Durante questo blocco nazionale a Freetown, la capitale, e anche a Makeni e in altre città già sono stati trovati alcuni cadaveri morti per ebola abbandonati per le strade o negli edifici scolastici ora inutilizzati.
Intanto tra i morti si conta un 10% di decessi tra medici e infermieri, dei quali il Paese ha ora enorme bisogno. I prezzi sono raddoppiati, chi può scappa dalla Sierra Leone, le scorte di riso cominciano a scarseggiare, molti perdono il lavoro anche per la cessazione delle attività di investitori e multinazionali, le già scarse entrate dello Stato si erodono ulteriormente (la Sierra Leone si colloca al 180 posto su 187 nell'Indice di sviluppo umano dell’Onu, sebbene stesse facendo considerevoli progressi economici e umani dalla fine della guerra nel 2002).
Le compagnie aeree hanno cancellato 70 voli per Freetown, nonostante i ripetuti appelli dell'Organizzazione Mondiale della Sanità per non isolare il Paese, dato che così facendo si aumenta la paura tra la popolazione e risulta più difficile far arrivare gli aiuti.
In questo desolante panorama, io ho ricevuto dal mio Presidente incarico e responsabilità, senza fondi allocati, di monitorare e supervisionare, da agosto, la situazione nella mia regione di Koinadugu, coordinare gli interventi degli operatori sanitari negli 11 Comuni e nei villaggi, fare in modo che alcune persone spaventate escano dalla foresta. Insomma, sostenere e istruire nella prevenzione e nel soccorso la popolazione.
«A me si rivolgono poi anche i più deboli, perché per tutti costoro è ancora più difficile sopravvivere»
A me si rivolgono poi anche i più deboli, come i ciechi, i lebbrosi, i bambini di strada rimasti orfani, perché per tutti costoro è ancora più difficile sopravvivere in un contesto così problematico, soprattutto per procurarsi il cibo e altre cure.
Con gli aiuti ricevuti dagli amici italiani, come cloro, guanti monouso, termometri, altri dispositivi di protezione e motorini per girare nei villaggi e sensibilizzare la popolazione, e anche con parte del mio stipendio, io cerco di fare il possibile per aiutare la mia gente.
Persino il Consiglio di Sicurezza dell'Onu a New York ha adottato nei giorni scorsi all'unanimità una risoluzione per espandere la risposta globale alla diffusione di ebola in Africa occidentale, invitando tutti gli stati membri a «fornire assistenza urgente, compresi ospedali da campo e personale».
Il Parlamento europeo ha denunciato che la comunità internazionale ha finora sottovalutato gravemente l'epidemia.
Perciò mi permetto di rivolgere ancora, a nome della popolazione della Regione di Koinadugu, che ringrazia insieme a me per tutte le attrezzature sanitarie e gli aiuti già mandati, un appello perché – come ha detto l'inviato delle Nazioni Unite David Nabarro – il divario tra la diffusione della malattia e l'abilità di combatterla è diventato enorme, e l'unica soluzione è che tutto il mondo investa più risorse.
Abbiamo tantissimo bisogno di medici, infermieri, dispositivi ospedalieri e sanitari, ma anche fondi per l'organizzazione e la logistica all'altezza di questa gravissima emergenza. Sin da ora ringrazio di cuore chi vorrà aiutare la sofferente popolazione della Sierra Leone e vi chiedo di diffondere questo mio appello a tutti i vostri amici, conoscenti, organizzazioni che ci possano dare una mano.
Per donazioni, potete fare riferimento ai siti delle associazioni “Microcammino” e “Fonte di speranza” di Milano, e “Occhi della speranza” di Castiglion Fiorentino.
www.microcammino-onlus.it, www.occhidellasperanza.it, www.fontedisperanza.org
Un abbraccio
Peter Bayuku Konteh
(Ministro del governo sierraleonese)