Età 65 anni
Professione medico e rianimatore
Famiglia sposato, ha due figli
Fede Condivide a pieno le parole e le opere del Papa per la Chiesa «ospedale da campo»
Il primo compito che si è trovato a fronteggiare nell’incarico di responsabile della Direzione Sanità ed Igiene del Vaticano, assunto il primo agosto, è stato una pandemia mondiale. Ma il professore Andrea Arcangeli, romano, 65 anni, alle spalle 40 anni tra sale di rianimazione, terapie intensive, nonché gli elicotteri del 118, non si è perso d’animo. «Ho scelto di fare il rianimatore perché mi è sempre piaciuta l’emergenza», racconta, mascherina d’ordinanza sul volto, seduto nel suo ufficio all’interno delle Mura Leonine. Figlio di un pediatra neonatologo, ha respirato fin da piccolo l’aria della medicina in casa. «Tutti», confida, «mi dicevano: perché non segui le orme di tuo padre? Ma a me non piaceva l’idea di essere “il figlio del professor Arcangeli”. E poi mi piaceva un altro settore». La rianimazione, appunto: «L’idea di salvare vite mi ha sempre affascinato e, sebbene sia un’attività molto stressante, faticosa anche fisicamente, non me ne sono mai pentito. Hai a che fare con situazioni in cui c’è un alto rischio di mortalità, ma io ho sempre visto l’atro aspetto, la possibilità di salvare una vita umana, il valore più grande che dobbiamo salvaguardare».
Marito e medico
Sposato con una donna conosciuta nel reparto di rianimazione, lui giovane dottore lei giovane infermiera, Arcangeli è padre di due figli ormai adulti che, forse vedendo il carico di impegni del genitore, non hanno seguito la vocazione medica: «Ho cercato di essere presente ma obiettivamente il lavoro mi ha preso molto, tra turni lunghi e notti in ospedale». Il medico ha svolto la sua carriera al Policlinico Gemelli («Ho scelto di fare l’Università Cattolica perché corrispondeva ai miei valori»), dal Giubileo del 2000 ha prestato servizio anche come rianimatore in Vaticano. Da un anno e mezzo era vicedirettore, e ora, per volontà del Papa, è succeduto al professor Alfredo Pontecorvi alla direzione di quello che, nel piccolo Stato pontificio, è al tempo stesso ambulatorio (33 tra infermieri, biologi e tecnici di laboratorio e 90 medici che svolgono la loro attività a Roma e collaborano poi col Vaticano), pronto soccorso (c’è una guardia medica permanente che poi inoltra i casi più gravi agli ospedali romani), istituto superiore di sanità (si occupa di materie disparate come l’igiene degli spacci annonari, la sicurezza sul lavoro, i servizi veterinari alla fattoria della villa pontificia di Castel Gandolfo) e ministero della salute. L’ufficio che ha dovuto affrontare il Coronavirus.
L'emergenza Covid
Immerso nella città di Roma, crocevia di tutti i turisti che passano dalla Città eterna, ma anche centro della diplomazia vaticana nonché riferimento di vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose di tutto il mondo, lo Stato pontificio non è stato immune dalla pandemia. E il professor Arcangeli, che già a marzo era stato nominato commissario all’emergenza, se n’è dovuto occupare a tempo pieno. «Nel primo mese la maggior parte della mia attività ha avuto come obiettivo la pandemia», racconta, «poi sono stato molto assorbito dalla questione del ritorno al lavoro di dipendenti che erano stati all’estero». In questi mesi anche in Vaticano sono stati registrati una manciata di dipendenti positivi al virus, nessuno finito in terapia intensiva. Da ultimo quattro guardie svizzere sono risultate positive proprio la scorsa settimana. L’organizzazione dello Stato pontificio, a ogni modo, ha tenuto. Allargando lo sguardo, il professore rivendica: «L’anestesista rianimatore è una figura professionale poco conosciuta e l’opinione pubblica in occasione dell’emergenza Covid ha potuto conoscerne l’importanza».
Le cure per i bisognosi
Ora Arcangeli guarda all’autunno: critico nei confronti dei negazionisti «sconsiderati» che, «anche tra i medici», minimizzano il virus, il direttore della Sanità e Igiene prepara, come prima cosa, una campagna di sensibilizzazione per invitare residenti e dipendenti del Vaticano a fare il vaccino anti-influenzale. Per questo motivo la platea di gratuità quest’anno è stata allargata. Poi ci sono le mille altre attività di cui il professore si dovrà occupare. L’amministrazione che guida segue l’indicazione di papa Francesco di aiutare i poveri, gli ultimi, i più sfavoriti anche sotto il profilo sanitario. La «Chiesa ospedale da campo» non potrebbe essere, da questo punto di vista, espressione più azzeccata. Bergoglio ha messo a disposizione l’eliporto a beneficio del Bambino Gesù, e gli elicotteri che trasportano i piccoli pazienti da curare nell’ospedale pediatrico di proprietà della Santa Sede atterrano ora nei giardini vaticani. I servizi di emergenza si occupano poi dei senza fissa dimora che stazionano in piazza San Pietro, e c’è anche un Servizio di medicina solidale sotto il colonnato, gestito da volontari medici e coordinato da una dottoressa della Direzione Sanità e Igiene. «Condivido in pieno le parole e l’opera del Santo Padre, alla persona che ha di meno bisogna dare di più: questo è una caratteristica fondamentale di questo pontificato», chiosa Arcangeli. Che ha conosciuto da vicino un altro Papa, Karol Wojtyla: quando è stato ricoverato al Gemelli, e nell’intervallo tra i due ricoveri, negli ultimi mesi della vita, il professore ha fatto parte, come rianimatore, dell’équipe medica che ha curato il Pontefice polacco. «Per me è stato un privilegio enorme poterlo assistere, ho grandissima ammirazione per come ha affrontato la malattia, con una serenità encomiabile e con una fede incredibile, sempre attento a non trasmettere angoscia a chi lo assisteva».
Il paziente Wojtyla
Non è scontato, per un dottore, avere un Papa per paziente senza patire il peso della responsabilità: «L’idea di trattare un personaggio come il Santo Padre sicuramente fa venire i brividi», commenta Arcangeli, «ma alla fine diventa un paziente come un altro. Ricordo che dicevo sempre a me stesso: “Fai del tuo meglio come dovessi trattare una persona normale”. Mi sono trovato anche, un paio di volte, a gestire momenti di urgenza, e lì mi ha aiutato molto l’esperienza al pronto soccorso e sull’elicottero. La caratteristica del rianimatore è di essere calmo e affrontare l’emergenza in modo razionale». Col sangue freddo di chi pensa a salvare vite umane.
Foto Stefano Dal Pozzolo / Contrasto