Copertina del romanzo "Amore Elettrico" di Benedetto Mangiavillano
Lo stigma nei confronti dell’epilessia ha raggiunto, nei secoli, livelli imbarazzanti, suffragato da una narrativa sbagliata e quanto mai fantasiosa di quella che è una delle disfunzioni neurologiche più diffuse. A partire dalla letteratura, passando per l’arte e infine approdando al cinema, i contorni dell’epilessia si sono sempre più assottigliati, andando a invadere molto spesso la sfera delle convulsioni, patologia che differisce dalle crisi epilettiche per eziologia e fenomenologia. E se un giovane medico siciliano fosse affetto da questa malattia? Benedetto Mangiavillano, responsabile della Gastroenterologia ed Endoscopia digestiva dell’ospedale Humanitas Mater Domini di Castellanza e dei centri medici Humanitas Medical Care, ha raccontato la sua storia, attraverso l’alter ego Marcello, ripercorrendo le varie tappe fondamentali della sua vita, dando spazio però principalmente alla propria attività cardiaca piuttosto che a quella cerebrale. Un’infanzia segnata dai profumi e dai sapori della Sicilia, ma anche da una pessima gestione della sanità, dalla corruzione e da credenze popolari, oltre che una vita adulta costellata da amori, passioni e delusioni trascorsa nelle afose strade di una Milano assopita sotto la coltre dell’estate. Amore elettrico è un romanzo d’amore che scava a fondo nelle insidie delle relazioni contemporanee e nella difficile gestione di una malattia che si trascina dietro un marchio sociale.
Ce ne parla l’autore Mangiavillano.
Il tema dell’epilessia passa spesso in sordina, come emerge anche dal suo romanzo. Come mai ha deciso di scegliere proprio questa forma letteraria per raccontare questa patologia?
In realtà è un racconto autobiografico, tutto nasce dalla mia storia. Avevo voglia di traslare quello che nel mio percorso di vita ho sperimentato sulla mia stessa pelle: la paura, l’ignoranza, il marchio della vergogna. Spesso è più facile dire che hai la tiroidite piuttosto che l’epilessia. Ho voluto quindi mettere questa storia nero su bianco per sdoganare questo concetto di epilessia, per far sì che venga conosciuta. La storia d’amore si presta molto al racconto, perché chiaramente se avessi fatto qualcosa solo inerente all’epilessia i lettori si sarebbero profondamente annoiati. Mettendola in sorta di romanzo, raccontando il matrimonio dei miei genitori, i colori e i profumi di questa Sicilia antica, la storia risulta più suggestiva.
Vengono anche affrontati temi scottanti. Ad esempio nella prima parte c’è una chiara denuncia alla sanità siciliana.
Quel momento in cui finì la carta (per eseguire l’elettroencefalogramma diagnostico, ndr.) è rimasto impresso nella mia mente, così come in quella del protagonista Marcello. Un momento molto toccante e particolare. Ciò che ho voluto descrivere è una Sicilia antica, una Sicilia in cui vige la paura dell’opinione della gente. Marcello e la sua famiglia partono pur di nascondere tutta questa vicenda.
Questa paura però torna anche alla fine del romanzo, quando Marcello si confronta con Emma, un’altra paziente ricoverata. È un tema dunque ricorrente e che tutt’oggi grava sugli epilettici, non solo in un contesto ristretto e limitato come la Sicilia di altri tempi.
Quello è un dialogo realmente accaduto. Conobbi questa ragazza che aveva paura di dire al mondo della patologia di cui soffriva. Non riusciva a parlarne né ai suoi amici né ai suoi conoscenti perché aveva timore della parola stessa. Marcello cerca di rincuorarla, anche se fino a quel momento anche lui aveva tenuto nascosto la sua condizione. Proprio da questo colloquio, Marcello prende la decisione di fare outing sulla sua malattia e di battersi affinché cada questo pregiudizio generale.
In passato veniva persino definita come la "malattia del diavolo" e la gente non ne parlava. Colpa anche della narrazione enfatizzata dell’industria cinematografica.
Volendo, però, esiste una cura per questa malattia.
Questo libro vuole dare un messaggio di speranza a chi soffre o a chi si approccia per una diagnosi precoce di questa malattia. Ci sono alcuni centri, come il Niguarda, che hanno dei punti molto buoni che si prendono cura della malattia.