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martedì 18 marzo 2025
 
 

Il Papa ai religiosi: «La castità sia segno del dono e non finisca in scelte ambigue o doppie vite»

01/02/2025  Francesco a San Pietro celebra i Primi Vespri della Festa della Presentazione di Gesù al Tempio nella Giornata mondiale della Vita consacrata: «La castità è un segno profetico in un mondo segnato da forme distorte di affettività, in cui il principio del “ciò che piace a me” spinge a superficialità, egocentrismo ed edonismo, immaturità e irresponsabilità morale e i figli accolti come dono si sostituiscono a quelli pretesi come “diritto” o eliminati come “disturbo”»

Povertà, castità e obbedienza come mezzi per portare la luce agli uomini del nostro tempo mentre definisce «medicina per l’anima», incontrare religiose e religiosi «capaci di una relazionalità matura e gioiosa» perché «sono un riflesso dell’amore divino».

È la festa della Presentazione di Gesù al Tempio, a quaranta giorni esatti dal Natale, e anche la Giornata Mondiale della Vita consacrata.

Papa Francesco nella Basilica di San Pietro presiede i Primi Vespri con il suggestivo rito della benedizione e accensione delle candele, simbolo di Cristo luce del mondo.

L’omelia del Pontefice è rivolta ai religiosi e alle religiose, molti dei quali presenti a San Pietro, e prende le mosse da una frase della lettera di San Paolo agli Ebrei: «Ecco io vengo […] per fare, o Dio, la tua volontà». Francesco invita a riflettere «su come, per mezzo dei voti di povertà, castità e obbedienza, che avete professato», dice rivolgendosi alle religiose e ai religiosi, «anche voi potete essere portatori di luce per le donne e gli uomini del nostro tempo».

Il Papa ricorda che la «luce della povertà» ha «le sue radici nella vita stessa di Dio, eterno e totale dono reciproco del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Esercitando così la povertà», sottolinea, «la persona consacrata, con un uso libero e generoso di tutte le cose, si fa per esse portatrice di benedizione: manifesta la loro bontà nell’ordine dell’amore, respinge tutto ciò che può offuscarne la bellezza – l’egoismo, la cupidigia, la dipendenza, l’uso violento e a scopi di morte – e abbraccia invece tutto ciò che la può esaltare: la sobrietà, la generosità, la condivisione, la solidarietà».

Il Pontefice si sofferma poi sulla castità per ricordare che anche «questa ha origine nella Trinità e manifesta un “riflesso dell’amore infinito che lega le tre Persone divine”». La castità come elemento profetico poiché, avverte il Papa, «viviamo in un mondo spesso segnato da forme distorte di affettività, in cui il principio del “ciò che piace a me” spinge a cercare nell’altro più la soddisfazione dei propri bisogni che la gioia di un incontro fecondo. Ciò genera, nelle relazioni, atteggiamenti di superficialità e precarietà, egocentrismo ed edonismo, immaturità e irresponsabilità morale, per cui si sostituiscono lo sposo e la sposa di tutta la vita con il partner del momento, i figli accolti come dono con quelli pretesi come “diritto” o eliminati come “disturbo”».

Ecco perché, dice il Papa, «a fronte del crescente bisogno di limpidezza interiore nei rapporti umani e di umanizzazione dei legami fra i singoli e le comunità, la castità consacrata mostra all’uomo e alla donna del ventunesimo secolo una via di guarigione dal male dell’isolamento, nell’esercizio di un modo di amare libero e liberante, che accoglie e rispetta tutti e non costringe né respinge nessuno».

Il Papa però avverte che è «importante, nelle nostre comunità, prendersi cura della crescita spirituale e affettiva delle persone, nella formazione iniziale e in quella permanente, perché», sottolinea, «la castità mostri davvero la bellezza dell’amore che si dona, e non prendano piede fenomeni deleteri come l’inacidimento del cuore o l’ambiguità delle scelte, fonte di tristezza e insoddisfazione e causa, a volte, in soggetti più fragili, dello svilupparsi di vere e proprie “doppie vite”».

L’ultimo aspetto esaminato dal Papa è il voto di obbedienza che i religiosi fanno: «È la luce della Parola che si fa dono e risposta d’amore, segno profetico per la nostra società, in cui si tende a parlare tanto ma ad ascoltare poco: in famiglia, al lavoro e specialmente sui social, dove ci si possono scambiare fiumi di parole e di immagini senza mai incontrarsi davvero, perché non ci si mette mai veramente in gioco l’uno per l’altro», sottolinea il Pontefice, «l’obbedienza consacrata è un antidoto a tale individualismo solitario, promuovendo in alternativa un modello di relazione improntato all’ascolto fattivo, in cui al “dire” e al “sentire” segue la concretezza dell’“agire”, anche a costo di rinunciare ai miei gusti, ai miei programmi e alle mie preferenze. Solo così, infatti, la persona può sperimentare fino in fondo la gioia del dono, sconfiggendo la solitudine e scoprendo il senso della propria esistenza nel grande progetto di Dio».

Il Papa conclude la sua omelia richiamando un altro punto: il “ritorno alle origini”, del quale, ricorda, «oggi si parla tanto nella vita consacrata. In proposito, la Parola di Dio che abbiamo ascoltato ci ricorda che il primo e più importante “ritorno alle origini” di ogni consacrazione è, per tutti noi, quello a Cristo e al suo “sì” al Padre. Ci ricorda che il rinnovamento, prima che con le riunioni e le “tavole rotonde” – pur molto utili – si fa davanti al Tabernacolo, in adorazione, riscoprendo le proprie fondatrici e i propri fondatori anzitutto come donne e uomini di fede, e ripetendo con loro, nella preghiera e nell’offerta di sé: “Ecco io vengo […] per fare, o Dio, la tua volontà”».

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