Alzheimer spirituale, rivalità e vanagloria, faccia funerea, eccessiva pianificazione, schizofrenia esistenziale, chiacchiere, divinizzazione dei capi, ricerca del potere. Ecco i mali – Bergoglio ne elenca in tutto quindici – di cui soffre la Curia romana. Sono malattie, spiega papa Francesco, che hanno una radice comune: la «dimenticanza della storia della salvezza, della storia personale con il Signore, del primo amore».
Nella Sala Clementina, com’è tradizione prima di Natale, Bergoglio ha incontrato i suoi collaboratori per il tradizionale scambio degli auguri e li ha invitati a fare un esame di coscienza guardando al mistero del Natale, a quel Dio, ha detto, «che nasce nella povertà della grotta di Betlemme per insegnarci la potenza dell’umiltà», accolto non dalla gente «eletta» ma dalla gente «povera e semplice».
«Sarebbe bello», spiega, «pensare alla Curia romana come a un piccolo modello della Chiesa, cioè come a un “corpo” che cerca seriamente e quotidianamente di essere più vivo, più sano, più armonioso e più unito in se stesso e con Cristo». La Curia - come la Chiesa - non può vivere, aggiunge, «senza avere un rapporto vitale, personale, autentico e saldo con Cristo». E un membro della Curia che non si alimenta quotidianamente con quel cibo diventerà un burocrate. «Ci aiuterà il “catalogo” delle malattie - sulla strada dei Padri del deserto - di cui parliamo oggi, a prepararci alla confessione».
Il Papa ha stigmatizzato la "malattia dell'Alzheimer spirituale": «Si tratta - ha detto il Pontefice - di un declino progressivo delle facoltà spirituali che in un più o meno lungo intervallo di tempo causa gravi handicap alla persona facendola diventare incapace di svolgere alcuna attività autonoma, vivendo uno stato di assoluta dipendenza dalle sue vedute spesso immaginarie».
Lo vediamo «in coloro che hanno perso la memoria del loro incontro con il Signore, «in coloro che dipendono completamente dal loro presente, dalle loro passioni, capricci e manie; in coloro che costruiscono intorno a sé dei muri e delle abitudini diventando, sempre di più, schiavi degli idoli che hanno scolpito con le loro stesse mani».
Poi ha parlato della «schizofrenia esistenziale» definita come «la malattia di coloro che vivono una doppia vita, frutto dell'ipocrisia tipica del mediocre e del progressivo vuoto spirituale che lauree o titoli accademici non possono colmare. Una malattia», ha aggiunto, «che colpisce spesso coloro che, abbandonando il sevizio pastorale, si limitano alle faccende burocratiche, perdendo così il contatto con la realtà, con le persone concrete. Creano così un loro mondo parallelo, dove mettono da parte tutto ciò che insegnano severamente agli altri e vivono una vita nascosta e sovente dissoluta». Per questa «malattia gravissima», ha auspicato, «la conversione è al quanto urgente e indispensabile».
Il Papa è entrato nelle dinamiche della Curia senza limitarsi ad appunti generici. Ha parlato della malattia delle chiacchiere e dei pettegolezzi, la quale, ha detto, «si impadronisce della persona facendola diventare “seminatrice di zizzania” (come satana), e in tanti casi “omicida a sangue freddo” della fama dei propri colleghi e confratelli. È la malattia delle persone vigliacche che non avendo il coraggio di parlare direttamente parlano dietro le spalle... Guardiamoci dal terrorismo delle chiacchiere!».
Poi c’è la malattia di divinizzare i capi, tipica di coloro che «corteggiano i superiori», vittime «del carrierismo e dell’opportunismo» e «vivono il servizio pensando unicamente a ciò che devono ottenere e non a quello che devono dare». Sono «persone meschine», ispirate solo «dal proprio fatale egoismo». Potrebbe colpire anche i superiori «quando corteggiano alcuni loro collaboratori per ottenere la loro sottomissione, lealtà e dipendenza psicologica, ma il risultato finale è una vera complicità».
Un altro male è l’indifferenza verso gli altri, «auando», ha detto, «ognuno pensa solo a se stesso e perde la sincerità e il calore dei rapporti umani. Quando il più esperto non mette la sua conoscenza al servizio dei colleghi meno esperti. Quando, per gelosia o per scaltrezza, si prova gioia nel vedere l’altro cadere invece di rialzarlo e incoraggiarlo».
La malattia della faccia funerea, inoltre, riguarda le persone «burbere e arcigne, le quali ritengono che per essere seri occorra dipingere il volto di malinconia, di severità e trattare gli altri – soprattutto quelli ritenuti inferiori – con rigidità, durezza e arroganza». In realtà, aggiunge il Papa, «la severità teatrale e il pessimismo sterile sono spesso sintomi di paura e di insicurezza di sé. L’apostolo deve sforzarsi di essere una persona cortese, serena, entusiasta e allegra che trasmette gioia...».
Francesco invita a essere pieni di humor e autoironici: «Quanto bene ci fa una buona dose di sano umorismo».
La malattia dell’accumulare accade «quando l’apostolo cerca di colmare un vuoto esistenziale nel suo cuore accumulando beni materiali, non per necessità, ma solo per sentirsi al sicuro».
Poi c’è l’autoreferenzialità, il rinchiudersi nei circoli e così facendo, spiega, «l’appartenenza al gruppetto diventa più forte di quella al Corpo e, in alcune situazioni, a Cristo stesso. Anche questa malattia inizia sempre da buone intenzioni ma con il passare del tempo schiavizza i membri diventando “un cancro”».
C’è la malattia del profitto mondano, degli esibizionismi. Accade, avverte il Papa, «quando l’apostolo trasforma il suo servizio in potere, e il suo potere in merce per ottenere profitti mondani o più poteri. È la malattia delle persone che cercano insaziabilmente di moltiplicare poteri e per tale scopo sono capaci di calunniare, di diffamare e di screditare gli altri, perfino sui giornali e sulle riviste. Naturalmente per esibirsi e dimostrarsi più capaci degli altri». Una malattia che «fa molto male al corpo perché porta le persone a giustificare l’uso di qualsiasi mezzo pur di raggiungere tale scopo, spesso in nome della giustizia e della trasparenza!».
Il Papa denuncia anche la malattia del sentirsi «immortale» o «indispensabile»: «Una Curia che non fa autocritica, che non si aggiorna, che non cerca di migliorarsi è un corpo infermo». Il Papa ricorda che nei cimiteri ci sono tante persone che «forse pensavano di essere immortali, immuni e indispensabili!». È la malattia di coloro che «si trasformano in padroni e si sentono superiori a tutti e non al servizio di tutti. Essa deriva spesso dalla patologia del potere, dal “complesso degli Eletti”, dal narcisismo». Anche l’eccessiva operosità è una malattia. Ne sono affetti coloro che, come la Marta del Vangelo, «si immergono nel lavoro, trascurando, inevitabilmente, “la parte migliore”: il sedersi sotto i piedi di Gesù». Il Papa ricorda che Gesù «ha chiamato i suoi discepoli a «riposarsi un po’ perché trascurare il necessario riposo porta allo stress e all’agitazione».
L’«impietrimento» mentale e spirituale è un altro male. Riguarda quelli che «perdono la serenità interiore, la vivacità e l’audacia e si nascondono sotto le carte diventando “macchine di pratiche” e non uomini di Dio», incapaci di «piangere con coloro che piangono e gioire con coloro che gioiscono!».
C’è chi soffre di “eccessiva pianificazione”. Succede, dice il Papa, «Quando l'apostolo pianifica tutto minuziosamente» e crede così facendo che «le cose effettivamente progrediscono, diventando così un contabile o un commercialista. Preparare tutto bene è necessario ma senza mai cadere nella tentazione di voler rinchiudere e pilotare la libertà dello Spirito Santo... È sempre più facile e comodo adagiarsi nelle proprie posizioni statiche e immutate».
Papa Francesco ha concluso ricordando di aver letto una volta che «i sacerdoti sono come gli aerei, fanno notizia solo quando cadono, ma ce ne sono tanti che volano. Molti criticano e pochi pregano per loro». Una frase «molto vera perché delinea l’importanza e la delicatezza del nostro servizio sacerdotale e quanto male potrebbe causare un solo sacerdote che “cade” a tutto il corpo della Chiesa».