Una donna che sceglie il battesimo da adulta, nella Pasqua
2015, assieme alla sua bambina, due coniugi reduci da due fallimenti
matrimoniali poi risolti nell’annullamento, un giovane albanese profugo in Italia
dai nove anni poi diventato cattolico e sacerdote. Francesca Massarelli, piemontese delle Valli di Lanzo; i romani Pierluigi e Gabriella Proietti, separati e risposati; don Bledar Xhuli, un albanese arrivato clandestino a Firenze, presentano al Papa il volto di
una Chiesa italiana che non è da “mulino bianco”. Una Chiesa viva e complessa,
dove trovano spazio le storie concrete di chi ha versato lacrime , di chi ha
sofferto, di chi ha trovato consolazione.
Nella Cattedrale di Firenze, sotto il grande affresco dell’Ecce Homo, la
Chiesa italiana porta le sue ferite e le sue speranze. Il Papa l’abbraccia e
detta la sua linea. Un discorso lunghissimo, ma non astratto. Bergoglio spazza
via i ragionamenti teorici e le parole vuote. Per andare al cuore del Vangelo.
Per dire alla Chiesa italiana che testimoniare la fede vuol dire ripartire dai
poveri e fuggire il potere. Che essere Chiesa significa camminare insieme pastori e popolo, dialogando anche con chi non la pensa come noi, senza temere il conflitto e senza cercare il proprio interesse.
Il papa indica tre atteggiamenti da avere - umiltà, disinteresse e beatitudine - e due tentazioni da fuggire: il pelagianesimo e lo gnosticismo.
«Umiltà, disinteresse, beatitudine», dice Francesco, « dicono
qualcosa anche alla Chiesa italiana che oggi si riunisce per camminare insieme
in un esempio di sinodalità. Questi tratti ci dicono che non dobbiamo essere
ossessionati dal “potere”, anche quando questo prende il volto di un potere
utile e funzionale all’immagine sociale della Chiesa. Se la Chiesa non assume i
sentimenti di Gesù, si disorienta, perde il senso. Se li assume, invece, sa
essere all’altezza della sua missione. I sentimenti di Gesù ci dicono che una
Chiesa che pensa a sé stessa e ai propri interessi sarebbe triste. Le
beatitudini, infine, sono lo specchio in cui guardarci, quello che ci permette
di sapere se stiamo camminando sul sentiero giusto: è uno specchio che non
mente».
Ma per non smarrire la rotta bisogna evitare, appunto di cadere nel pelagianesimo, cioè nel cercare nelle strutture e nelle pianificazioni la fiducia e la sicurezza. «La norma dà al pelagiano la sicurezza di sentirsi superiore, di avere un
orientamento preciso», dice Francesco in un passaggio più volte interrotto dagli appalusi. «In questo trova la sua forza, non nella leggerezza del
soffio dello Spirito. Davanti ai mali o ai problemi della Chiesa è inutile
cercare soluzioni in conservatorismi e fondamentalismi, nella restaurazione di
condotte e forme superate che neppure culturalmente hanno capacità di essere
significative. La dottrina cristiana non è un sistema chiuso incapace di
generare domande, dubbi, interrogativi, ma è viva, sa inquietare, sa animare.
Ha volto non rigido, ha corpo che si muove e si sviluppa, ha carne tenera: la
dottrina cristiana si chiama Gesù Cristo».
E sullo gnosticismo aggiunge: «Esso porta a confidare nel ragionamento logico e chiaro, il quale però
perde la tenerezza della carne del fratello».
Il Papa richiama l'Italia, terra di navigatori, santi e poeti, a non aver paura di prendere il largo, a guardare all'esempio di umiltà dei suoi testimoni, da San Francesco a Filippo Neri, ad attingere alla sua creatività. E invita i pastori a tenere ben saldo il rapporto con il popolo, a camminare in sinodalità, dialogando per il bene comune e non negoziando per avere il proprio pezzo della torta.
«Mi piace una Chiesa italiana inquieta», è uno dei passaggi forti del discorso del Papa, una Chiesa «sempre più vicina agli
abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti. Desidero una Chiesa lieta col
volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza. Sognate anche voi questa
Chiesa, credete in essa, innovate con libertà. L’umanesimo cristiano che siete
chiamati a vivere afferma radicalmente la dignità di ogni persona come Figlio
di Dio, stabilisce tra ogni essere umano una fondamentale fraternità, insegna a
comprendere il lavoro, ad abitare il creato come casa comune, fornisce ragioni
per l’allegria e l’umorismo, anche nel mezzo di una vita tante volte molto
dura».