Papa Francesco ha risposto per un’ora
ai giornalisti durante il volo che volo che lo ha riportato a Roma
dalle Filippine. Ha parlato dei suoi futuri viaggi, tra cui uno
possibile in Africa, oltre a quelli negli Stati Uniti e in America
Latina. Ha parlato della famiglia e dei rischi che sta correndo,
spiegando cosa intendeva dire quando a Manila ha denunciato una
“colonizzazione ideologica della famiglia”, e di maternità e
paternità responsabile, compresa la contraccezione. Poi ha ripreso
il tema dell’attentato di Parigi, spiegando la questione del pugno
e ribadendo che ci vuole prudenza, e ha affrontato il tema della
corruzione con un esempio personale, rivelando come si è comportato
quando in Argentina qualcuno ha tentato di corromperlo. E
naturalmente ha parlato del viaggio in Sri Lanka e nelle Filippine,
dicendo che a Tacloban tra le vittime del tifone Yolanda per poco non
si metteva a piangere.
Di seguito il testo integrale della
conferenza stampa del papa a bordo dell’aereo così come è stato
trascritto dalla Radio Vaticana.
Il sorriso dei filippini non era dipinto
C'è qualcosa che lei ha appreso
dall'incontro con i filippini?
«I gesti! I gesti mi hanno commosso. Non
sono gesti protocollari, gesti buoni. Erano gesti sentiti e gesti dal
cuore. Alcuni quasi fanno piangere. C’è tutto lì: la fede,
l’amore, la famiglia, le illusioni, il futuro… Quel gesto dei
papà, quando alzavano i bambini, perché il Papa li benedicesse. Il
gesto di un papà. Ce n’erano tanti. Alzavano i bambini, lì,
quando passavo per la strada. Un gesto che da altre parti non si
vede. Come se loro dicessero: questo è il mio tesoro, questo è il
mio futuro, questo è il mio amore, per questo vale la pena lavorare,
per questo vale la pena soffrire. E’ un gesto originale, ma nato
dal cuore. Il secondo gesto che mi ha colpito tanto è un entusiasmo
non finto, la gioia, l’allegria, capaci di fare festa anche sotto
l’acqua. Mi diceva uno dei cerimonieri che è stato edificato
perché i ministranti a Tacloban, con quella pioggia, mai avevano
perso il sorriso. È la gioia, gioia non finta. Non era un sorriso
dipinto, no, no: un sorriso che veniva. E dietro di quel sorriso c’è
la vita normale, ci sono i dolori, ci sono i problemi.
Altro gesto, le mamme che portavano i
figli ammalati; anche le mamme in genere che li portavano lì. Le
mamme non alzavano tanto i figli… fino a qui… (il Papa fa vedere
con i gesti come i papà alzavano i bambini e come le mamme li
tenevano in braccio). Si, è vero, si vedevano, ma tanti bambini
disabili, con disabilità che fanno un po’ impressione; non
nascondevano il bambino, lo portavano dal Papa perché lo
benedicesse. Questo è il mio bambino, ma è così, ma è mio. Tutte
le mamme sanno questo e lo fanno, ma il modo di farlo è quello che
mi ha colpito, no?
Il gesto della paternità, della
maternità, dell’entusiasmo, della gioia. E c’è una parola che è
difficile per noi da capire, perché è stata troppo volgarizzata,
troppo usata male o capita male, no? Ma è una parola che ha
sostanza: la rassegnazione. Un popolo che sa soffrire, e che è
capace di alzarsi e andare avanti. Ieri, nel colloquio che ho avuto
con il papà di Crystal, la ragazza volontaria che è morta a
Tacloban, sono stato edificato (da quello che mi ha detto): “è
morta in servizio”, e cercava parole per conformarsi, per accettare
questo. Un popolo che sa soffrire. È questo che ho visto, come
io ho interpretato i gesti»
Andrò in Uganda e Centrafrica, forse a fine anno
Sua Santità, è andata già due volte
in Asia. I cattolici in Africa non hanno ancora ricevuto la sua
visita. Lei sa che dalla Repubblica Centrafricana, alla Nigeria,
all’Uganda, molti fedeli che soffrono della povertà, della guerra,
del fondamentalismo islamico sperano la sua visita quest’anno.
Allora volevo chiedere quando e dove pensa di andarci?
«Rispondo
ipoteticamente. Ma, il piano è andare alla (Repubblica)
Centrafricana e in Uganda. Questi due. Quest’anno. Credo che sarà
verso la fine, per il tempo, no? Devono calcolare il tempo, che non
ci siano le piogge, tempo che non sia brutto. È un po’ in ritardo
questo viaggio perché c’è stato il problema dell’Ebola. È una
responsabilità grande, fare grandi riunioni per il contagio, no? Ma
in questi Paesi non c’è problema. Questi due sono in ipotesi per
quest’anno»
Lo scarto dei poveri è terrorismo
Santo Padre, a Manila eravamo in un
albergo molto bello, tutti erano molto gentili e si mangiava molto
bene. Però, appena si usciva da questo albergo si veniva – diciamo
così – aggrediti moralmente dalla povertà. Vedevamo dei bambini
che erano in mezzo ai rifiuti, trattati, direbbe lei forse, come
rifiuti. Ecco io ho un bambino di sei anni e mi sono vergognato che
questi stanno così male. Ma il mio bambino, che si chiama Rocco, ha
capito molto bene quello che lei ci insegna quando dice di
condividere con i poveri. E così, andando a scuola, cerca di
distribuire la merenda tra i mendicanti della zona. Eppure per me è
molto più difficile. Anche per altre persone grandi è difficile. Un
solo cardinale, 40 anni fa, ha lasciato tutto per andarsene dai
lebbrosi (Léger). Ecco, questa era la mia domanda: perché, perché
è tanto difficile seguire quell’esempio anche per i Cardinali?
L’altra cosa che volevo chiederle invece riguarda lo Sri Lanka. Lì
abbiamo visto tutte queste favelas andando verso l’aeroporto. Sono
delle baracche appoggiate agli alberi e vivono praticamente sotto gli
alberi. La maggioranza sono Tamil e sono discriminati. Lei, dopo la
strage di Parigi, il giorno dopo, forse a caldo, ha detto “C’è
un terrorismo isolato e un terrorismo di Stato”. Ma cosa voleva
dire con quel “terrorismo di Stato”? A me è venuto in mente
vedendo la sofferenza e la discriminazione di queste persone.
«Quando una di voi mi
domandato qual era il messaggio che io portavo nelle Filippine, io ho
detto: i poveri. E’ il messaggio che la Chiesa oggi dà. Anche
quello che lei dice dello Sri Lanka, i Tamil, la discriminazione, no?
I poveri, le vittime di questa cultura dello scarto. Questo è vero.
Oggi non si scarta la carta, quello che avanza, soltanto. Si scartano
le persone. E la discriminazione è una maniera di scarto, no? Si
scarta questa gente. E come mi viene un po’ in mente l’immagine
delle caste, no? Questo non può andare. E anche, oggi sembra normale
lo scarto. E lei parlava dell’albergo lussuoso e poi la baracca.
Ma, nella mia diocesi di Buenos Aires c’era tutta la zona nuova che
si chiama Puerto Madero, fino alla stazione ferroviaria, e poi
incomincia la “Villa Miseria”, i poveri, uno dietro l’altro. Da
questa parte ci sono 36 ristoranti di lusso, che se tu vai a mangiare
lì ti tagliano la testa; di qua c’è la fame. Uno attaccato
all’altro. E noi abbiamo la tendenza di abituarci a questo, no?:
si, qui siamo noi e lì sono gli scartati. Questa è la povertà e
credo che la Chiesa debba dare esempio ogni volta di più in questo,
di rifiutare ogni mondanità. A noi consacrati, vescovi, preti,
suore, laici che credono davvero, il peccato più grave, la minaccia
più grave è la mondanità. Ma è tanto brutto guardare quando si
vede un consacrato, un uomo di Chiesa, una suora, mondano. È brutto.
Questa non è la strada di Gesù. È la strada di una Ong che si
chiama Chiesa. Ma questa non è la Chiesa di Gesù, quella Ong.
Perché la Chiesa non è una Ong, è un’altra cosa. Ma quando
diventa mondana - una parte della Chiesa, questa gente - diventa una
Ong e lascia di essere la Chiesa. La Chiesa è il Cristo, morto e
risorto per la nostra salvezza, è la testimonianza dei cristiani che
seguono Cristo. Quello scandalo che lei ha detto è vero, sì, tante
volte noi scandalizziamo i cristiani, scandalizziamo: siamo preti o
laici, no? - perché è difficile la strada di Gesù. È vero, la
Chiesa deve spogliarsi, no? Ma lei mi ha fatto pensare con quello del
terrorismo dello Stato. Che questo scarto sia come un terrorismo. Mai
lo avevo pensato, davvero, ma mi fa pensare. Non so cosa dirle,
davvero. Ma non sono carezze quelle, davvero, è come dire: no, tu
no, tu fuori.
O quando è accaduto qui a Roma: un
barbone che aveva un dolore di pancia, poveretto. E quando tu hai un
dolore di pancia e vai all’ospedale, al primo soccorso, ti danno
un’aspirina o una cosa del genere o ti danno turno [appuntamento]
per quindici giorni: vieni dopo quindici giorni. È andato da un
prete e il prete ha visto, si è commosso e ha detto: “Ma io ti
porto all’ospedale, ma tu mi fai un favore: quando io inizio a
spiegare quello che tu hai, tu fai finta di svenire”. Così è
accaduto: un artista, l’ha fatto bene. C’era una peritonite!
Quest’uomo era scartato. Se andava da solo era scartato e moriva.
Quel parroco era furbo e ha aiutato bene. Era lontano dalla
mondanità. È un terrorismo questo? Ma… sì, si può pensare che
sia… Si può pensare, ma lo penserò bene, grazie».
Il gender è colonizzazione ideologica
Grazie, Santo Padre. Vorrei ritornare
un attimo all’incontro che ha avuto con le famiglie. Lì ha parlato
della “colonizzazione ideologica”. Ci potrebbe spiegare un po’
meglio il concetto? Poi si è riferito al Papa Paolo VI, parlando dei
casi particolari che sono importanti nella pastorale delle famiglie.
Ci può fare alcuni esempi di questi casi particolari e magari dire
anche se c’è bisogno di aprire le strade, di allargare il
corridoio di questi casi particolari?
«La colonizzazione
ideologica: dirò soltanto un esempio, che ho visto io. Venti anni
fa, nel 1995, una Ministro dell’Istruzione Pubblica aveva chiesto
un prestito forte per fare la costruzione di scuole per i poveri. Le
hanno dato il prestito a condizione che nelle scuole ci fosse un
libro per i bambini di un certo livello. Era un libro di scuola, un
libro preparato bene didatticamente, dove si insegnava la teoria del
gender. Questa donna aveva bisogno dei soldi del prestito, ma quella
era la condizione. Furba, ha detto di sì e anche ha fatto fare un
altro libro e ha dato i due (libri) e così è riuscita… Questa è
la colonizzazione ideologica: entrano in un popolo con un’idea che
niente ha da fare col popolo; sì, con gruppi del popolo, ma non col
popolo, e colonizzano il popolo con un’idea che cambia o vuol
cambiare una mentalità o una struttura. Durante il Sinodo i vescovi
africani si lamentavano di questo, che è lo stesso che per certi
prestiti (si impongano) certe condizioni. Io dico soltanto questa che
io ho visto. Perché dico “colonizzazione ideologica”? Perché
prendono, prendono proprio il bisogno di un popolo o l’opportunità
di entrare e farsi forti, per (mezzo de)i bambini. Ma non è una
novità questa. Lo stesso hanno fatto le dittature del secolo scorso.
Sono entrate con la loro dottrina. Pensate ai Balilla, pensate alla
Gioventù Hitleriana. Hanno colonizzato il popolo, volevano farlo. Ma
quanta sofferenza. I popoli non devono perdere la libertà. Il popolo
ha la sua cultura, la sua storia; ogni popolo ha la sua cultura. Ma
quando vengono condizioni imposte dagli imperi colonizzatori, cercano
di far perdere ai popoli la loro identità e fare una uguaglianza.
Questa è la globalizzazione della sfera: tutti i punti sono
equidistanti dal centro. E la vera globalizzazione – a me piace
dire questo – non è la sfera. È importante globalizzare, ma non
come la sfera, ma come il poliedro, cioè che ogni popolo, ogni
parte, conservi la sua identità, il suo essere, senza essere
colonizzata ideologicamente. Queste sono le “colonizzazioni
ideologiche”. C’è un libro, scusatemi, ma faccio pubblicità,
c’è un libro che forse lo stile è un po’ pesante all’inizio,
perché è scritto nel 1903 a Londra. È un libro che … a quel
tempo questo scrittore ha visto questo dramma della colonizzazione
ideologica e lo descrive in quel libro. Si chiama “The Lord of the
Earth” o “The Lord of the World”, uno dei due. L’autore è
Benson, scritto nel 1903, ma vi consiglio di leggerlo. Leggendo
quello capirete bene quello che voglio dire con “colonizzazione
ideologica”. Questa è la prima domanda. La seconda: io che volevo
dire di Paolo VI? È vero che l’apertura alla vita è condizione
del Sacramento del matrimonio. Un uomo non può dare il sacramento
alla donna e la donna darlo all’uomo se non sono in questo punto
d’accordo, di essere aperti alla vita. A tal punto che, se si può
provare che questo o questa si è sposato con l’intenzione di non
essere aperto alla vita, quel matrimonio è nullo, è causa di
nullità matrimoniale, no? L’apertura alla vita, no? Paolo VI ha
studiato questo con una commissione, come fare per aiutare tanti
casi, tanti problemi, problemi importanti che fanno l’amore della
famiglia. Problemi di tutti i giorni. Tanti, tanti, no?, ma c’era
qualcosa di più. Il rifiuto di Paolo VI non era soltanto ai problemi
personali, sui quali dirà poi ai confessori di essere misericordiosi
e capire le situazioni e perdonare o essere misericordiosi,
comprensivi, no? Ma lui guardava al neo-Malthusianismo universale che
era in corso. E come si chiama questo neo-Malthusianismo? Eh, è il
meno dell’1% del livello delle nascite in Italia, lo stesso in
Spagna. Quel neo-Malthusianismo che cercava un controllo dell’umanità
da parte delle potenze. Questo non significa che il cristiano deve
fare figli in serie. Io ho rimproverato alcuni mesi fa una donna in
una parrocchia perché era incinta dell’ottavo dopo sette cesarei.
“Ma lei vuole lasciare orfani sette?”. Questo è tentare Dio. Si
parla di paternità responsabile. Quella è la strada: la paternità
responsabile. Ma quello che io volevo dire era che Paolo VI non è
stato un arretrato [antiquato], un chiuso. No, è stato un profeta,
che con questo ci ha detto: guardatevi dal neo-Malthusianismo che è
in arrivo. Quello volevo dire. Grazie».
Il pugno? La libertà deve essere accompagnata dalla prudenza
Santità, nel viaggio, quando andavamo
verso lo Sri Lanka (in realtà, era sul volo da Colombo a Manila),
lei ha avuto quell’immagine e anche quel gesto verso il nostro
povero (Gasbarri), che nel caso avesse insultato sua mamma si sarebbe
meritato un pugno. Questa frase ha creato un pochino di confusione e
non è stata capita bene da tutti, nel mondo, perché era come se
dicesse che forse giustificava un pochino, davanti a una
provocazione, una reazione violenta. Ci potrebbe spiegare un pochino
meglio quello che voleva dire?
«In teoria, possiamo
dire che una reazione violenta davanti a un’offesa, a una
provocazione, in teoria sì, non è una cosa buona, non si deve fare.
In teoria, possiamo dire quello che il Vangelo dice, che dobbiamo
dare l’altra guancia. In teoria, possiamo dire che noi abbiamo la
libertà di esprimere e questa è importante. Nella teoria siamo
tutti d’accordo, ma siamo umani, e c’è la prudenza, che è una
virtù della convivenza umana. Io non posso insultare, provocare una
persona continuamente, perché rischio di farla arrabbiare, rischio
di ricevere una reazione non giusta. Ma è umano quello. Per questo
dico che la libertà di espressione deve tenere conto della realtà
umana e perciò dico deve essere prudente. È una maniera di dire che
deve essere educata, pure, no? Prudente, la prudenza è la virtù
umana che regola i nostri rapporti. Io posso andare fino a qui, di
là, di là. Questo volevo dire, che in teoria siamo tutti d’accordi:
c’è libertà di espressione, una reazione violenta non è buona, è
cattiva sempre. Tutti d’accordo. Ma nella pratica fermiamoci un
po’, perché siamo umani e rischiamo di provocare gli altri e per
questo la libertà deve essere accompagnata dalla prudenza. Quello
volevo dire».
Andrò in America e poi in Bolivia, Ecuador e Paraguay
Santo Padre, Lei ci ha detto già
che era previsto il viaggio in America. Lei ha citato tre città: New
York, Washington e Philadelphia. Poi, con la canonizzazione di Serra
ci domandiamo se forse era prevista anche una tappa in California
oppure alle frontiere del Messico. E poi in Sudamerica lei ha detto
alla nostra collega Elisabetta (Piqué) che erano previsti tre viaggi
o un viaggio in tre paesi del Sudamerica. Quali sono? E se lei pensa
di beatificare personalmente l’Arcivescovo Romero, recentemente
considerato martire.
«Comincio dall’ultima.
Lì ci sarà una guerra tra il Cardinale Amato e il Monsignor Paglia:
quale dei due farà la beatificazione? Non io personalmente: i beati
normalmente li fanno o il Cardinale del Dicastero o un altro. Andiamo
alla prima (domanda): Stati Uniti. Sì, le tre città sono quelle:
Philadelhpia, per l’Incontro delle Famiglie, New York – che ho la
data, ma non la ricordo, della visita alle Nazioni Unite – e
Washington. Sono queste tre. Andare in California mi piacerebbe, per
fare la Canonizzazione di Junipero Serra, ma c’è il problema del
tempo. Ci vogliono due giorni in più. Io penso di fare quella
canonizzazione al Santuario di Washington. È una cosa nazionale.
Anche in Washington, nel Campidoglio credo, c’è la statua di
Junipero. Penso lì. Entrare negli Stati Uniti dalla frontiera del
Messico sarebbe una cosa bella, come segno di fratellanza e aiuto per
gli emigranti, ma lei sa che andare a Messico senza andare a visitare
la Madonna è un dramma e può scoppiare una guerra lì, e per questo
anche ci sarebbero tre giorni di più e non è tutto chiaro. Io penso
che ci saranno soltanto queste tre città. Poi c’è tempo per
andare in Messico. Poi ho dimenticato qualcosa? Ah, i tre paesi
latinoamericani sono previsti per quest’anno – tutto è ancora in
bozza – l’Ecuador, la Bolivia e il Paraguay. Questi tre. L’anno
prossimo, Deo volente, vorrei fare – ma ancora non è previsto
niente – Cile, Argentina e Uruguay. E il Perù manca un po’. Non
sappiamo dove metterlo anche questo».
Ogni istituzione, anche la Chiesa, può cadere nella corruzione
Lei a Manila ha citato il fenomeno
della corruzione. Come la definisce quando tocca i governi? E può
esserci anche nella Chiesa?
«Forte questa, eh? La
corruzione oggi nel mondo è all’ordine del giorno e
l’atteggiamento corrotto trova subito facilmente nido nelle
istituzioni. Perché un’istituzione che ha tanti brani (parti?) lì
e là, ha tanti capi e vicecapi, è tanto facile lì di cadere o
annidare la corruzione. Ogni istituzione può cadere in questo. La
corruzione è togliere al popolo. Con la persona corrotta, che fa
affari corrotti, o governa corrottamente o va ad associarsi con gli
altri per fare un affare corrotto, ruba al popolo. La vittima sono
quelli che lei ha detto dopo l’albergo di lusso (allusione alla
precedente domanda di Izzo), quelli sono le vittime della corruzione.
La corruzione non è chiusa in se stessa, va e uccide. Capisce? Oggi
è un problema mondiale la corruzione. Una volta, nell’anno 2001
più o meno, ho domandato al Capo di Gabinetto del Presidente in quel
momento – che era un governo che noi pensavamo che non era tanto
corrotto; è vero, non era tanto corrotto – “Mi dica, gli aiuti
che voi inviate all’interno del paese, sia in contanti, siano cose
per nutrirsi, per vestirsi, tutte queste cose, quanto arriva al
posto?”. Subito quest’uomo, che è un uomo vero, pulito, subito:
“Il 35%”. Così mi ha detto. Anno 2001 nella mia patria. E adesso
la corruzione nelle istituzioni ecclesiali. Quando io parlo di Chiesa
a me piace parlare dei fedeli, dei battezzati, tutta la Chiesa, no? E
li è meglio parlare di peccatori. Tutti siamo peccatori, no? Ma
quando parliamo di corruzione, parliamo o di persone corrotte o di
istituzioni della Chiesa che cadono nella corruzione e ci sono casi
si, ci sono. Mi ricordo una volta, anno 1994, appena nominato vescovo
del quartiere di Flores a Buenos Aires, sono venuti da me due
impiegati o funzionari di un ministero a dirmi: “Ma lei ha tanto
bisogno qui, con tanti poveri, nelle Villas miserias”. “Oh, si”
ho detto io e ho raccontato. “Ma noi possiamo aiutare. Noi abbiamo,
se lei vuole, un aiuto di 400.000 pesos”. A quel tempo il peso e il
dollaro erano 1 a 1: 400,000 dollari. “E voi potete fare?”. “Ma
si, si”. Io ascoltavo perché quando l’offerta è tanto grande,
anche il Santos sfida, e poi andando avanti: “Ma, per fare questo,
noi facciamo il deposito e poi lei ci dà la metà a noi”. In quel
momento io ho pensato cosa fare, o li insulto e gli do un calcio dove
non dà il sole o faccio lo scemo. E ho fatto lo scemo. Ho detto, ma
con la verità, ho detto: “Lei sa che nelle vicarie noi non abbiamo
conto; lei deve fare il deposito in Arcivescovado con la ricevuta. E
lì è tutto”. “Ah, non sapevamo, piacere” e se ne sono andati.
Ma poi io ho pensato: se questi due sono atterrati direttamente,
senza chiedere pista – è un cattivo pensiero – è perché
qualcun altro ha detto di sì, ma è un cattivo pensiero… ma la
corruzione è facile farla. Ma ricordiamo questo: peccatori si,
corrotti no! Corrotti mai! Dobbiamo chiedere perdono per quei
cattolici, quei cristiani, che scandalizzano con la loro corruzione.
È una piaga nella Chiesa, ma ci sono tanti santi, e santi peccatori,
ma non corrotti. Guardiamo all’altra parte, anche nella Chiesa
santa. Qualcuno c’è anche… ma grazie per il coraggio di fare
questa domanda».
L'Islam moderato
Stiamo sorvolando la Cina. Andando in
Corea lei ci ha detto che era pronto ad andare in Cina già da
domani. Alla luce di queste dichiarazioni, ci può spiegare perché
non ha ricevuto il Dalai Lama che era a Roma poco tempo fa e a che
punto stanno andando le relazioni con la Cina.
«È abitudine per il Protocollo della Segreteria di Stato di
non ricevere Capi di Stato o gente di quel livello quando sono in una
riunione internazionale qui a Roma. Per esempio per la FAO non è
stato ricevuto nessuno. È per questo che non è stato ricevuto. Ho
visto che qualche giornale ha detto che non lo ha ricevuto per paura
della Cina. Quello non è vero. In quel momento la ragione è questa.
Lui ha chiesto un’udienza e gli è stato detto una data a un certo
punto. Lo aveva chiesto prima, ma non per questo momento, e siamo in
relazione. Ma il motivo non era il rifiuto alla persona o paura per
la Cina. Sì, noi siamo aperti e vogliamo la pace con tutti. E come
vanno i rapporti? Mah, il Governo Cinese è educato. Anche noi siamo
educati e facciamo le cose passo passo come si fanno le cose nella
storia, no? Ancora non si sa, ma loro sanno che io sono disposto a
ricevere o andare. Lo sanno».
Lei nell’ultimo viaggio che abbiamo fatto, nella
Turchia, ha lanciato un appello ai leader islamici, dicendo che
servirebbe un intervento da parte loro molto fermo. Ora questa cosa
non mi sembra che sia stata considerata e accolta nonostante le sue
parole. Ci sono alcuni paesi moderati musulmani – posso fare
benissimo l’esempio della Turchia – che hanno un atteggiamento
sul terrorismo – citiamo i casi dell’ISIS o anche di Charlie
Hebdo – perlomeno ambiguo. Ecco, io non so se lei in questo mese e
mezzo ha avuto il modo di riflettere e pensare a come andare oltre il
suo invito che non è stato accolto e che pure era importante.
«Anche quell’appello
l’ho ripetuto il giorno stesso della partenza per lo Sri Lanka, al
Corpo Diplomatico, alla mattina. Al discorso al Corpo Diplomatico –
non ricordo le parole – ho detto che auguro che i leader religiosi,
politici, accademici e intellettuali, si esprimano. Anche il popolo
moderato islamico chiede quello dai suoi leader. Alcuni hanno fatto
qualcosa. Io credo che anche bisogna dare un po’ di tempo perché
per loro la situazione non è facile. Io ho speranza perché c’è
tanta gente buona fra loro, tante gente buona, tanti leader buoni,
che sono sicuro che si arriverà. Ma volevo dire e sottolineare che
lo stesso l’ho ripetuto il giorno della partenza».
La paternità sia responsabile
Lei ha parlato dei tanti bambini nelle
Filippine, della sua gioia che ci sono così tanti bambini. Ma,
secondo dei sondaggi, la maggioranza dei filippini pensa che la
crescita enorme della popolazione filippina è una delle ragioni più
importanti per la povertà enorme del paese, e nella media una donna
nelle filippine partorisce più di tre bambini nella sua vita, e la
posizione cattolica nei riguardi della contraccezione sembra essere
una delle poche questioni su cui un grande numero della gente nelle
Filippine non stia d’accordo con la Chiesa. Che cosa ne pensa?
«Io credo il numero di 3
per famiglia che lei menziona credo che è quello che dicono i
tecnici che è importante per mantenere la popolazione, no? 3 per
coppia. Quando scende questo, accade l’altro estremo, che accade in
Italia, dove ho sentito – non so se è vero – che nel 2024 non ci
saranno i soldi per pagare i pensionati. Il calo della popolazione,
no? Per questo la parola chiave per rispondere è quella che usa la
Chiesa sempre, anche io: paternità responsabile. Come si fa questo?
Col dialogo. Ogni persona, col suo pastore, deve cercare come fare
quella paternità responsabile. Quell’esempio che ho menzionato
poco fa, di quella donna che aspettava l’ottavo e ne aveva sette
nati col cesareo. Ma questa è una irresponsabilità. “No, io
confido in Dio”. “Ma guarda, Dio ti da i mezzi, sii
responsabile”. Alcuni credono che – scusatemi la parola, eh –
per essere buoni cattolici dobbiamo essere come conigli, no? No,
paternità responsabile. Questo è chiaro e per questo nella Chiesa
ci sono i gruppi matrimoniali, ci sono gli esperti in questo, ci sono
i pastori e si cerca. E io conosco tante e tante vie d’uscita
lecite che hanno aiutato a questo. Ma ha fatto bene a dirmelo. È
anche curiosa un’altra cosa che non ha niente a che vedere in
relazione con questo. Per la gente più povera un figlio è un
tesoro. È vero, si deve essere anche qui prudente. Ma per loro un
figlio è un tesoro. Dio sa come aiutarli. Forse alcuni non sono
prudenti in questo, è vero. Paternità responsabile, ma guardare
anche la generosità di quel papà e di quella mamma che vede in ogni
figlio un tesoro».
A Tacloban durante la messa mi sentivo annientato
Qual è stato per lei il momento più
forte: la messa a Tacloban e poi ieri quando questa bambina si è
messa a piangere? Questa è la prima domanda. Poi, la seconda: ieri
lei ha fatto storia, ha superato il record di Giovanni Paolo II nello
stesso posto: c’erano 6/7 milioni di persone. Come vive questo? Il
Cardinal Tagle ci raccontava che durante la messa, all’altare, lei
gli chiedeva: “Ma quanta gente c’è?” Quindi, come vive aver
superato questo record, essere entrato nella storia come il Papa con
la messa più numerosa nella storia?
«La prima: il momento
più forte. Quello di Tacloban, la messa, per me è stato forte,
molto forte: vedere tutto il popolo di Dio fermo là, pregando, dopo
questa catastrofe, pensare ai miei peccati e a quella gente. È stato
forte, un momento molto forte. Nel momento della messa lì, io mi
sono sentito come annientato, quasi non mi veniva la voce. Non so
cosa mi è successo, forse sia l’emozione, non so, ma non ho
sentito altra cosa. È una cosa come annientamento. E poi momenti
forti sono stati i gesti, ogni gesto. Ma quando passavo e un papà
faceva così (il Papa fa il gesto dell’alzare il bambino), io davo
la benedizione. Lui mi faceva un grazie, ma per loro bastava una
benedizione. Io ho pensato, ma io che ho tante pretese, che voglio
questo, che voglio quello… Mi ha fatto bene quello, no? Momenti
forti. Anche dopo che ho saputo che a Tacloban siamo atterrati con un
vento di 70 km/h io ho preso sul serio l’avviso che dovevamo uscire
all’una e non di più perché c’era pericolo di più. Ma non ho
avuto paura, soltanto la misura. Per quello della grande presenza, io
mi sono sentito così annientato. Quello era il popolo di Dio e il
Signore era lì. È la gioia della presenza di Dio che dice a noi:
pensate bene che voi siete servitori di questi, eh. Questi sono i
protagonisti – una cosa così…
Poi l’altra è il pianto. Ma una
delle cose che si perde quando c’è troppo benessere, o i valori
non si capiscono bene, o siamo abituati all’ingiustizia, a questa
cultura dello scarto, è la capacità di piangere. È una grazia che
dobbiamo chiedere. C’è una bella preghiera nel messale antico, per
piangere. Diceva così, più o meno: “O Signore, tu che hai fatto
che Mosè col suo bastone facesse uscire acqua dalla roccia, fai che
dalla roccia del mio cuore esca l’acqua del pianto”. Bellissima
quella preghiera! Noi cristiani dobbiamo chiedere la grazia di
piangere, soprattutto i cristiani benestanti, e piangere sulle
ingiustizie e piangere sui peccati. Perché il piangere ti apre a
capire nuove realità o nuove dimensioni della realtà. E quello che
ha detto la ragazza e quello che ho detto io a lei, no? Lei è stata
l’unica a fare quella domanda che non si può rispondere: perché
soffrono i bambini? Il grande Dostoevskij se la faceva e non è
riuscito a rispondere: perché soffrono i bambini? Lei con il suo
pianto. Donna, che piangeva. Quando io dico che è importante che le
donne siano più tenute in conto nella Chiesa, non è soltanto per
darle una funzione di Segretaria di un dicastero. Questo può andare,
ma no, che loro ci dicano come sentano, come guardano la realtà,
perché le donne guardano da una ricchezza differente, più grande.
Un’altra cosa che voglio sottolineare qui: quello che ho detto
all’ultimo ragazzo, che davvero lavora bene, dà, organizza, aiuta
i poveri. Ma non dimenticare che anche noi dobbiamo essere mendicanti
di loro, perché i poveri ci evangelizzano. Se noi togliamo i poveri
dal Vangelo, non possiamo capire il messaggio di Gesù. I poveri ci
evangelizzano. “Io vado ad evangelizzare i poveri”. Si, ma
lasciati evangelizzare da loro, perché hanno valori che tu non hai.
Questo più o meno».