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domenica 15 settembre 2024
 
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Il Papa nella casa di Abramo: «Estremismo e violenza tradiscono la religione»

06/03/2021  Chi crede non può avere nemici, ma solo fratelli con cui camminare insieme, dice Francesco nel corso dell'incontro interreligioso a Ur, la terra dove Dio parlò ad Abramo, il patriarca che unisce i destini di Ebrei, Cristiani e Musulmani.

«Molti Paesi, senza coscienza, hanno classificato i nostri passaporti come privi di valore, guardando le nostre ferite con indifferenza. La visita di Sua Santità in Iraq significa che la Mesopotamia è ancora rispettata e apprezzata. La Sua visita significa un trionfo di virtù, è un simbolo di apprezzamento per gli iracheni. Beato chi sradica la paura dalle anime. Beati gli operatori di pace. Santità, ora Lei semina semi d’amore e di felicità. Per la forza del motto della Sua visita – Siete tutti fratelli – dichiaro qui che resterò nella terra dei miei antenati. Sarò sepolta vicino a mio padre: è una mia decisione, per rispetto delle grandi parole: siamo tutti fratelli. Vorrei che lo sentiste nella lingua di Giovanni Battista: enyan bahdady ahe. Siamo per sempre in debito con Sua Santità». È potente la testimonianza di Rafah Husein Baher, una donna sabea mandea che racconta i soprusi subiti dalla popolazione irachena e la possibile convivenza tra fedi diverse. Nella terra di Ur, dove Dio fece sentire la sua voce ad Abramo, si parla in aramaico, in arabo, in inglese, in italiano. «Un incontro storico perché ci si incontra tra religioni», dice lo speaker dando il benvenuto al Papa. Che arriva in ritardo per aver prolungato il suo incontro a Najaf con il Grande Ayatollah Sayyid Ali Al-Husayni Al-Sistani. Un dialogo nel quale Francesco ha ringraziato la massima autorità sciita per gli appelli con i quali, negli scorsi anni, di fronte alla violenza, ha difeso i più deboli e perseguitati, affermando la sacralità della vita umana e l’importanza dell’unità del popolo iracheno.

Una unità che il popolo cerca di coltivare ogni giorno come dimostra anche la testimonianza di Dawood Ara (cristiano) and Hasan Salim (musulmano), due giovani di Bassorah che insieme hanno avviato, sostenuti dalle famiglie e dalle rispettive comunità, una attività commerciale per mantenersi agli studi. E quella di Ali Zghair Thajeel, professore universitario, nato a Ur, che, insieme con le altre Chiese organizza da 15 anni pellegrinaggi nell’antica città e aiuta nella distribuzione degli aiuti che arrivano soprattutto attraverso Caritas-Iraq.

A Nassirya, di fronte alle rovine di Ur, ricordata nel mondo per l’attentato del 2003 che costò la vita a 28 persone, di cui 19 italiani, risuonano oggi parole di pace.

«Questo luogo benedetto», dice papa Francesco, «ci riporta alle origini, alle sorgenti dell’opera di Dio, alla nascita delle nostre religioni. Qui, dove visse Abramo nostro padre, ci sembra di tornare a casa. Qui egli sentì la chiamata di Dio, da qui partì per un viaggio che avrebbe cambiato la storia. Noi siamo il frutto di quella chiamata e di quel viaggio. Dio chiese ad Abramo di alzare lo sguardo al cielo e di contarvi le stelle. In quelle stelle vide la promessa della sua discendenza, vide noi. E oggi noi, ebrei, cristiani e musulmani, insieme con i fratelli e le sorelle di altre religioni, onoriamo il padre Abramo facendo come lui: guardiamo il cielo e camminiamo sulla terra».

Guardare il cielo, spiega il Papa, significa ricevere un messaggio di unità. Capire che Dio ci chiede di non separarci dal fratello che ci sta accanto, e di aiutarlo a guardare anche lui le stelle, ad elevare la sua preghiera a Dio. «L’uomo non è onnipotente, da solo non ce la può fare. E se estromette Dio, finisce per adorare le cose terrene. Ma i beni del mondo, che a tanti fanno scordare Dio e gli altri, non sono il motivo del nostro viaggio sulla Terra», sottolinea con forza.

Il Papa dice chiaramente che «l’estremismo e la violenza sono tradimenti della religione» e, di fronte a questo «abuso della religione» i credenti non possono tacere. «Sopra questo Paese si sono addensate le nubi oscure del terrorismo, della guerra e della violenza. Ne hanno sofferto tutte le comunità etniche e religiose. Vorrei ricordare in particolare quella yazida, che ha pianto la morte di molti uomini e ha visto migliaia di donne, ragazze e bambini rapiti, venduti come schiavi e sottoposti a violenze fisiche e a conversioni forzate», ricorda il Papa pregando per tutti quelli che hanno subito queste sofferenze e per chi è ancora sequestrato o disperso «perché tornino presto alle loro case. E preghiamo perché ovunque siano rispettate e riconosciute la libertà di coscienza e la libertà religiosa: sono diritti fondamentali, perché rendono l’uomo libero di contemplare il Cielo per il quale è stato creato».

Francesco ricorda la distruzione portata dal terrorismo che ha invaso il nord «di questo caro Paese», ma anche le amicizie fraterne che si sono rafforzate sotto le macerie. Il Papa pensa «ai giovani volontari musulmani di Mosul, che hanno aiutato a risistemare chiese e monasteri», come aveva spiegato anche il presidente della Repubblica nel primo discorso di benvenuto al Papa. Oggi cristiani e musulmani restaurano insieme moschee e chiese e organizzano pellegrinaggi nei luoghi sacri, come ha testimoniato il professor Ali Zghair Thajeel: «è il segno più bello della nostalgia del Cielo sulla Terra. Perciò amare e custodire i luoghi sacri è una necessità esistenziale, nel ricordo del nostro padre Abramo, che in diversi posti innalzò verso il cielo altari al Signore».

Ma insieme con la preghiera rivolta al cielo occorre camminare sulla terra. Come in Abramo gli occhi al cielo devono aiutarci a incoraggiare il cammino sulla terra. «Il suo fu dunque un cammino in uscita, che comportò sacrifici: dovette lasciare terra, casa e parentela. Ma, rinunciando alla sua famiglia, divenne padre di una famiglia di popoli. Anche a noi succede qualcosa di simile: nel cammino, siamo chiamati a lasciare quei legami e attaccamenti che, chiudendoci nei nostri gruppi, ci impediscono di accogliere l’amore sconfinato di Dio e di vedere negli altri dei fratelli».

Torna a parlare della pandemia che deve insegnarci che «nessuno si salva da solo» e che dovrebbe tenerci lontani dalla tentazione del prendere le distanze dagli altri, del «“si salvi chi può”» che di traduce «rapidamente nel “tutti contro tutti”, e questo sarà peggio di una pandemia» .

Il Papa dice no all’isolamento, no alla corsa agli armamenti, no all’erezione di muri o all’idolatria del denaro, al consumismo «che anestetizza la mente e paralizza il cuore».

La via è un’altra, quella della pace che chiede, «soprattutto nella tempesta, di remare insieme dalla stessa parte. È indegno che, mentre siamo tutti provati dalla crisi pandemica, e specialmente qui dove i conflitti hanno causato tanta miseria, qualcuno pensi avidamente ai propri affari. Non ci sarà pace senza condivisione e accoglienza, senza una giustizia che assicuri equità e promozione per tutti, a cominciare dai più deboli. Non ci sarà pace senza popoli che tendono la mano ad altri popoli. Non ci sarà pace finché gli altri saranno un loro e non un noi. Non ci sarà pace finché le alleanze saranno contro qualcuno, perché le alleanze degli uni contro gli altri aumentano solo le divisioni».

La pace, dice il Papa, chiede che tutti siano fratelli e sorelle, non vincitori e vinti. Pensa alla martoriata Siria, ai dolori del Medio Oriente e alla profezia non ancora realizzata: «spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci». Ma mentre si vede che le spade e le lance sono diventate missili e bombe la speranza non deve abbandonarci. Bisogna ricominciare dalla «rinuncia ad avere nemici. Chi ha il coraggio di guardare le stelle, chi crede in Dio, non ha nemici da combattere. Ha un solo nemico da affrontare, che sta alla porta del cuore e bussa per entrare: è l’inimicizia. Mentre alcuni cercano di avere nemici più che di essere amici, mentre tanti cercano il proprio utile a discapito di altri, chi guarda le stelle delle promesse, chi segue le vie di Dio non può essere contro qualcuno, ma per tutti. Non può giustificare alcuna forma di imposizione, oppressione e prevaricazione, non può atteggiarsi in modo aggressivo».

Proprio in questa terra di Abramo il profeta «che seppe sperare contro ogni speranza ci incoraggia». Con l’aiuto di Dio è possibile cambiare. «Sta a noi, umanità di oggi, e soprattutto a noi, credenti di ogni religione, convertire gli strumenti di odio in strumenti di pace», esorta Francesco. «Sta a noi esortare con forza i responsabili delle nazioni perché la crescente proliferazione delle armi ceda il passo alla distribuzione di cibo per tutti. Sta a noi mettere a tacere le accuse reciproche per dare voce al grido degli oppressi e degli scartati sul pianeta: troppi sono privi di pane, medicine, istruzione, diritti e dignità! Sta a noi mettere in luce le losche manovre che ruotano attorno ai soldi e chiedere con forza che il denaro non finisca sempre e solo ad alimentare l’agio sfrenato di pochi».

Siamo responsabili della custodia della casa comune, della vita dei nostri fratelli, di quella dei «nascituri, anziani, migranti, uomini e donne di ogni colore e nazionalità sono sacre sempre e contano come quelle di tutti! Sta a noi avere il coraggio di alzare gli occhi e guardare le stelle, le stelle che vide il nostro padre Abramo, le stelle della promessa».

Ci sono segni incoraggianti, come quello di Dawood e Hasan, «un cristiano e un musulmano che, senza farsi scoraggiare dalle differenze, hanno studiato e lavorato insieme. Insieme hanno costruito il futuro e si sono scoperti fratelli. Anche noi, per andare avanti, abbiamo bisogno di fare insieme qualcosa di buono e di concreto. Questa è la via, soprattutto per i giovani, che non possono vedere i loro sogni stroncati dai conflitti del passato! È urgente educarli alla fraternità, educarli a guardare le stelle. È una vera e propria emergenza; sarà il vaccino più efficace per un domani di pace. Perché siete voi, cari giovani, il nostro presente e il nostro futuro!», dice il Papa.

E ricorda anche le ferite del passato con le parole della signora Rafah che «ci ha raccontato l’eroico esempio di Najy, della comunità sabeana mandeana, che perse la vita nel tentativo di salvare la famiglia del suo vicino musulmano. Quanta gente qui, nel silenzio e nel disinteresse del mondo, ha avviato cammini di fraternità! Rafah ci ha raccontato pure le indicibili sofferenze della guerra, che ha costretto molti ad abbandonare casa e patria in cerca di un futuro per i loro figli. Grazie, Rafah, per aver condiviso con noi la ferma volontà di restare qui, nella terra dei tuoi padri. Quanti non ci sono riusciti e hanno dovuto fuggire, trovino un’accoglienza benevola, degna di persone vulnerabili e ferite».

L’ospitalità è il tratto distintivo di questa terra, fin dalle origini. Fu attraverso l’ospitalità che «Abramo ricevette la visita di Dio e il dono ormai insperato di un figlio». E allora, proprio con questo esempio il Papa, insieme con gli altri leader religiosi chiede impegno perché si realizzi il sogno di Dio: «che la famiglia umana diventi ospitale e accogliente verso tutti i suoi figli; che, guardando il medesimo cielo, cammini in pace sulla stessa terra».

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