«La guerra sempre è una sconfitta», dice il Papa al termine dell’udienza del mercoledì. Ricorda l’Ucraina, la Palestina, Israele, il Myanmar. Rivela che ha chiamato, come fa tutti i giorni, la parrocchia di Gaza. «Ci sono 600 persone lì, erano contenti, ieri hanno mangiato lenticchie con pollo, una cosa che in questi tempi non erano abituati a fare, avevano solo qualche verdura. Erano contenti, ma preghiamo per Gaza, per la pace e per tante parti del mondo. La guerra sempre è una sconfitta, ricordatevi. E chi guadagna con le guerre? I fabbricanti di armi. Preghiamo per la pace», ripete. Prima aveva dedicato la catechesi, dopo due mercoledì rivolti ai bambini, al ciclo sulla speranza che porterà avanti per tutto l’Anno giubilare. Questo mercoledì la meditazione riguarda “L’annuncio a Maria. L’ascolto e la disponibilità “. Francesco invita a seguire l’esempio di Maria, «Madre del Salvatore e Madre nostra, a lasciarci aprire l’orecchio dalla divina Parola, ad accoglierla e custodirla, perché trasformi i nostri cuori in tabernacoli della sua presenza, in case ospitali dove cresce la speranza».
Ricorda che quando l’Angelo le appare, in un paesino sperduto mai citato prima dalla Bibbia, Nazaret, la saluta, invece che con il «classico saluto “pace a te”» con un invito: «”Rrallegrati!”, “gioisci!”, un appello caro alla storia sacra, perché i profeti lo usano quando annunciano la venuta del Messia».
È l’invito alla gioia «che Dio rivolge al suo popolo quando finisce l’esilio e il Signore fa sentire la sua presenza viva e operante. Inoltre, Dio chiama Maria con un nome d’amore sconosciuto alla storia biblica: kecharitoméne, che significa “riempita dalla grazia divina”». Questo nome, sottolinea il Pontefice, «dice che l’amore di Dio ha già da tempo abitato e continua a dimorare nel cuore di Maria. Dice quanto lei sia “graziosa” e soprattutto quanto la grazia di Dio abbia compiuto in lei una cesellatura interiore facendone il suo capolavoro. Piena di grazia. Questo soprannome amoroso, che Dio dà solo a Maria, è subito accompagnato da una rassicurazione: “Non temere!”, “Non temere”, sempre la presenza del Signore ci dà questa grazia di non temere». Francesco racconta di quando le persone si rivolgono a lui dicendo che hanno paura e che, proprio per questo, si rivolgono a «streghe per farsi leggere la mano», ma il Papa invita a non fare questo, piuttosto a credere alle parole del Signore, «Non temere! Io sono il tuo compagno di cammino».
Dopo il saluto, arcangelo Gabriele indica a Maria la sua missione: «La Parola che viene dall’Alto chiama Maria ad essere la madre del Messia, il Messia davidico tanto atteso. Egli sarà re non alla maniera umana e carnale ma alla maniera divina, spirituale. Il suo nome sarà “Gesù”, che significa “Dio salva”, ricordando a tutti e per sempre che non è l’uomo a salvare, ma solo Dio. Gesù è Colui che compie queste parole del profeta Isaia: “Non un inviato né un angelo, ma egli stesso li ha salvati; con amore e compassione”. Questa maternità scuote Maria dalle fondamenta. E da donna intelligente qual è, capace cioè di leggere dentro gli avvenimenti ella cerca di comprendere, di discernere ciò che le sta capitando. Maria non cerca fuori ma dentro e lì, nel profondo del cuore aperto e sensibile, sente l’invito a fidarsi di Dio». Maria, spiega il Papa, «si accende di fiducia: è “una lampada a molte luci”. Maria accoglie il Verbo nella propria carne e si lancia così nella missione più grande che è stata affidata a una donna, a una creatura umana. Si mette al servizio, è piena di tutto».