Basilica gremita per la notte di Natale e l’inizio del Giubileo. Attorno all’altare della cattedra, opera del Bernini restaurata a tempo di record proprio per l’Anno Santo, si canta e si prega. Papa Francesco parla con voce ferma, aggiungendo molte frasi a braccio e spiega il senso della speranza fondata su Gesù. Parte dalla notte squarciata dalla luce e dalla buona notizia: «Vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore». Il cielo si pare sulla terra, «Dio si è fatto uno di noi per farci diventare come Lui, è disceso in mezzo a noi per rialzarci e riportarci nell’abbraccio del Padre. Questa è la nostra speranza, spiega il Pontefice. Dio, dice ancora, viene «anche quando il nostro cuore somiglia a una povera mangiatoia, allora possiamo dire: la speranza non è morta, la speranza è viva, e avvolge la nostra vita per sempre! La speranza non delude».
Sottolinea che, con l’apertura della Porta Santa e l’inizio di un nuovo Giubileo «ciascuno di noi può entrare nel mistero di questo annuncio di grazia. Questa è la notte in cui la porta della speranza si è spalancata sul mondo; questa è la notte in cui Dio dice a ciascuno: c’è speranza anche per te! C’è speranza per ognuno di noi». E aggiunge: «Non dimenticate, fratelli e sorelle, che Dio perdona tutto, Dio perdona sempre. Non dimenticate questo, questo è un modo di capire la speranza del Signore». E occorre farlo senza indugio, come fecero i pastori accorrendo in fretta alla grotta dopo l’annuncio dell’angelo. «Questa è l’indicazione per ritrovare la speranza perduta, rinnovarla dentro di noi, seminarla nelle desolazioni del nostro tempo e del nostro mondo: senza indugio. Ce ne sono tante desolazioni in questo tempo, pensiamo alle guerre, ai bambini mitragliati, alle bombe sulle scuole e sugli ospedali. Non indugiare, non rallentare il passo, ma lasciarsi attirare dalla bella notizia.
Senza indugio, andiamo a vedere il Signore che è nato per noi, con il cuore leggero e sveglio, pronto all’incontro, per essere capaci di tradurre la speranza nelle situazioni della nostra vita». E sprona: «Questo è il nostro compito: tradurre la speranza nelle situazioni della nostra vita. Perché la speranza cristiana non è un lieto fine da attendere passivamente: è la promessa del Signore da accogliere qui e ora, in questa terra che soffre e che geme. Essa ci chiede perciò di non indugiare, di non trascinarci nelle abitudini, di non sostare nelle mediocrità e nella pigrizia; ci chiede – direbbe Sant’Agostino – di sdegnarci per le cose che non vanno e avere il coraggio di cambiarle; ci chiede di farci pellegrini alla ricerca della verità, sognatori mai stanchi, donne e uomini che si lasciano inquietare dal sogno di Dio, che è il sogno di un mondo nuovo, dove regnano la pace e la giustizia».
La speranza, spiega il Pontefice «nasce in questa notte» e «non tollera l’indolenza del sedentario e la pigrizia di chi si è sistemato nelle proprie comodità; tanti di noi abbiamo il pericolo di sistemarci nelle nostre comodità, la speranza non ammette la falsa prudenza di chi non si sbilancia per paura di compromettersi e il calcolo di chi pensa solo a sé stesso; è incompatibile col quieto vivere di chi non alza la voce contro il male e contro le ingiustizie consumate sulla pelle dei più poveri. Al contrario, la speranza cristiana, mentre ci invita alla paziente attesa del Regno che germoglia e cresce, esige da noi l’audacia di anticipare oggi questa promessa, attraverso la nostra responsabilità e non solo la nostra responsabilità, la nostra compassione. Qui ci farebbe bene domandarci sulla nostra compassione. Io ho compassione, so patire con?».
Ricorda le parole di Pronzato, «un bravo scrittore» che «così pregava per il Santo Natale: “Signore, Ti chiedo qualche tormento, qualche inquietudine, qualche rimorso. A Natale vorrei ritrovarmi insoddisfatto. Contento, ma anche insoddisfatto. Contento per quello che fai Tu, insoddisfatto per le mie mancate risposte. Toglici, per favore, le nostre paci fasulle e metti dentro alla nostra “mangiatoia”, sempre troppo piena, una brancata di spine. Mettici nell’animo la voglia di qualcos’altro”». Non stiamo fermi, esorta il Papa, «ricordiamo che l’acqua ferma è la prima a corrompersi. La speranza cristiana è proprio il “qualcos’altro” che ci chiede di muoverci “senza indugio”. A noi discepoli del Signore, infatti, è chiesto di ritrovare in Lui la nostra speranza più grande, per poi portarla senza ritardi, come pellegrini di luce nelle tenebre del mondo».
E conclude: «Questo è il Giubileo, questo è il tempo della speranza! Esso ci invita a riscoprire la gioia dell’incontro con il Signore, ci chiama al rinnovamento spirituale e ci impegna nella trasformazione del mondo, perché questo diventi davvero un tempo giubilare: lo diventi per la nostra madre Terra, deturpata dalla logica del profitto; lo diventi per i Paesi più poveri, gravati da debiti ingiusti; lo diventi per tutti coloro che sono prigionieri di vecchie e nuove schiavitù.
A noi, tutti, il dono e l’impegno di portare speranza là dove è stata perduta: portarla dove la vita è ferita, nelle attese tradite, nei sogni infranti, nei fallimenti che frantumano il cuore; nella stanchezza di chi non ce la fa più, nella solitudine amara di chi si sente sconfitto, nella sofferenza che scava l’anima; nei giorni lunghi e vuoti dei carcerati, nelle stanze strette e fredde dei poveri, nei luoghi profanati dalla guerra e dalla violenza».
E r
icordiamo che «in questa notte è per te che si apre la “porta santa” del cuore di Dio. Gesù, Dio-con-noi, nasce per te, per me, per noi, per ogni uomo e ogni donna. E sai, con Lui fiorisce la gioia, con Lui la vita cambia e con Lui la speranza non delude».