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«Christòs voskrés», Cristo è risorto. Papa Francesco lo dice al sindaco Ivan Fedorow, rapito dai russi nella sua città Melitopol e poi rilasciato in cambio di prigionieri. È in prima fila nella veglia di Pasqua, con la sua famiglia. «In questo buio che voi vivete signor sindaco, signori parlamentari, il buio scuro della guerra, della crudeltà, tutti noi preghiamo, preghiamo per voi e con voi questa notte, preghiamo per tante sofferenze. Noi soltanto possiamo darvi la nostra compagnia, la nostra preghiera e dirvi “coraggio, vi accompagnamo”», dice il Pontefice con voce sofferta al termine della sua omelia, «e anche», aggiunge, «dirvi la cosa più grande che oggi si celebra: Christòs voskrés»
È il cardinale Giovanni Battista Re a presiedere la celebrazione della veglia di Pasqua. Papa Francesco, dolorate al ginocchio, assiste da una posizione collocata sul lato dei fedeli. Il Papa si alza e a fatica raggiunge l’altare solo per pronunciare l’omelia che ha preparato e poi per amministrare il battesimo a sette catecumeni provenienti da Italia, Stati Uniti, Albania e Cuba.
Partono dalla guerra le sue parole di commento al Vangelo. Dalle «scie luminose di morte» che hanno sostituito la «bellezza delle notti illuminate dalle stelle». In questo contesto è importante farsi prendere per mano dalle donne del Vangelo, dal racconto della resurrezione, «per scoprire con loro il sorgere della luce di Dio che brilla nelle tenebre del mondo». Quelle donne si recavano, all’alba al sepolcro per ungere il corpo di Gesù. Trovano una tomba vuota, due figure in abiti sfolgoranti che dicono che Gesù è risorto. Le donne corrono subito ad annunciare quanto hanno visto agli altri. «Vedono, ascoltano, annunciano: con queste tre azioni entriamo anche noi nella Pasqua del Signore».
Vedere, innanzitutto. Il primo annuncio «non è affidato a una formula da capire, ma a un segno da contemplare. In un cimitero, presso una tomba, dove tutto dovrebbe essere ordinato e tranquillo, le donne “trovarono che la pietra era stata rimossa dal sepolcro e, entrate, non trovarono il corpo del Signore Gesù”. La Pasqua, dunque, inizia ribaltando i nostri schemi. Giunge con il dono di una speranza sorprendente». Ma non è facile accoglierla, anzi, la prima reazione, come le donne del Vangelo, è la paura, lo sguardo rivolto verso il basso. «Troppo spesso guardiamo la vita e la realtà con gli occhi rivolti verso il basso; fissiamo soltanto l’oggi che passa, siamo disillusi sul futuro, ci chiudiamo nei nostri bisogni, ci accomodiamo nel carcere dell’apatia, mentre continuiamo a lamentarci e a pensare che le cose non cambieranno mai. E così restiamo immobili davanti alla tomba della rassegnazione e del fatalismo, e seppelliamo la gioia di vivere. Eppure il Signore, in questa notte, vuole donarci occhi diversi, accesi dalla speranza che la paura, il dolore e la morte non avranno l’ultima parola su di noi».
E poi le donne ascoltano. L’annuncio dei due uomini in abiti sfolgoranti è: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risorto» . Parole che anche noi dovremmo ripetere: «Ogni volta che pretendiamo di aver compreso tutto di Dio, di poterlo incasellare nei nostri schemi, ripetiamo a noi stessi: non è qui! Ogni volta che lo cerchiamo solo nell’emozione passeggera o nel momento del bisogno, per poi accantonarlo e dimenticarci di Lui nelle situazioni e nelle scelte concrete di ogni giorno, ripetiamo: non è qui! E quando pensiamo di imprigionarlo nelle nostre parole, formule e abitudini, ma ci dimentichiamo di cercarlo negli angoli più oscuri della vita, dove c’è chi piange, lotta, soffre e spera, ripetiamo: non è qui!». Non possiamo fare davvero Pasqua, sottolinea papa Francesco, «se continuiamo a rimanere nella morte; se restiamo prigionieri del passato; se nella vita non abbiamo il coraggio di lasciarci perdonare da Dio, di cambiare, di rompere con le opere del male, di deciderci per Gesù e per il suo amore; se riduciamo la fede a un amuleto, facendo di Dio un bel ricordo di tempi passati, invece che incontrarlo oggi come il Dio vivo che vuole trasformare noi e il mondo». Questo modo di vivere il cristianesimo è «un cristianesimo senza Pasqua. Ma il Signore è risorto! Non attardiamoci attorno ai sepolcri, ma andiamo a riscoprire Lui, il Vivente!», esorta il Pontefice. E aggiunge: «Non abbiamo paura di cercarlo anche nel volto dei fratelli, nella storia di chi spera e di chi sogna, nel dolore di chi piange e soffre: Dio è lì!».
E infine l’annuncio. Le donne annunciano «la gioia della Risurrezione. La Pasqua non accade per consolare intimamente chi piange la morte di Gesù, ma per spalancare i cuori all’annuncio straordinario della vittoria di Dio sul male e sulla morte. La luce della Risurrezione, perciò, non vuole trattenere le donne nell’estasi di un godimento personale, non tollera atteggiamenti sedentari, ma genera discepoli missionari che “tornano dal sepolcro” e portano a tutti il Vangelo del Risorto». Le donne corrono anche se sanno che possono essere «prese per pazze, tant’è che il Vangelo dice che le loro parole parvero “come un vaneggiamento”, ma non sono preoccupate della loro reputazione, di difendere la loro immagine; non misurano i sentimenti, non calcolano le parole». Così deve essere anche la Chiesa: pronta a portare il Vangelo per le strade del mondo. «Senza paure, senza tatticismi e opportunismi; solo col desiderio di portare a tutti la gioia del Vangelo». A Pasqua siamo chiamati a fare esperienza «del Risorto e condividerla con gli altri; a rotolare quella pietra dal sepolcro, in cui spesso abbiamo sigillato il Signore, per diffondere la sua gioia nel mondo. Facciamo risuscitare Gesù, il Vivente, dai sepolcri in cui lo abbiamo rinchiuso; liberiamolo dalle formalità in cui spesso lo abbiamo imprigionato; risvegliamoci dal sonno del quieto vivere in cui a volte lo abbiamo adagiato, perché non disturbi e non scomodi più. Portiamolo nella vita di tutti i giorni: con gesti di pace in questo tempo segnato dagli orrori della guerra; con opere di riconciliazione nelle relazioni spezzate e di compassione verso chi è nel bisogno; con azioni di giustizia in mezzo alle disuguaglianze e di verità in mezzo alle menzogne. E, soprattutto, con opere di amore e di fraternità».





