Monsignor Vincenzo Paglia, 75 anni.
La Pontificia Accademia per la Vita chiede che la distribuzione di un vaccino contro il coronavirus, quando verrà trovato, venga assicurato a tutti e non prevalgano i calcoli economici. «La distribuzione di un vaccino, non appena disponibile in futuro, è un caso emblematico. L’unico obiettivo accettabile, coerente con un’equa fornitura del vaccino, è l’accesso a tutti, senza eccezione alcuna», si legge in un passaggio di un nuovo documento pubblicato dall’organismo vaticano e intitolato «L’Humana Communitas nell’era della Pandemia». Occorre «regolamentare la ricerca in modo che non risponda solo a interessi politici ed economici (di pochi), ma possa svolgersi con libertà e responsabilità», spiega il presidente dell’accademia, monsignor Vincenzo Paglia. «Per questo i finanziamenti devono essere trasparenti e condivisi, in modo che anche i benefici possano essere equamente distribuiti.
Papa Francesco lo aveva detto nel pieno della pandemia, a maggio: «È importante mettere insieme le capacità scientifiche, in modo trasparente e disinteressato, per trovare vaccini e trattamenti e garantire l’accesso universale alle tecnologie essenziali che permettano ad ogni persona contagiata, in ogni parte del mondo, di ricevere le necessarie cure sanitarie». E ora la Pontificia Academia pro Vita torna sul tema: la pandemia, spiega ancora monsignor Paglia, «ha mostrato che nessun paese può procedere in modo indipendente dagli altri, non solo per motivi sanitari, ma anche economici. Quindi è indispensabile una organizzazione che possa essere sostenuta da tutti e che coordini le operazioni nelle diverse fasi di monitoraggio, di contenimento e di trattamento delle malattie e che consenta una circolazione avvertita delle informazioni. L’Oms appare indispensabile, anche se certamente – sottolinea il presile – ha avuto delle défaillances: dobbiamo imparare dagli errori e migliorare il suo funzionamento. Solo così potremo rendere effettivo il diritto universale ai livelli più elevati di cura della salute, come espressione di tutela della inalienabile dignità della persona umana».
Il documento vaticano ha un titolo singolare: «Riflessioni inattuali sulla rinascita della vita». Spiega monsignor Paglia: «”Inattuali” è una parola che viene dalla tradizione filosofica. Qui la impieghiamo, con un po’ di provocazione, per indicare l’urgenza di ritrovare un pensiero della comunità che, a quanto sembra, non è più di moda. In un momento in cui la vita sembra sospesa e siamo colpiti dalla morte di persone care e dalla perdita di punti di riferimento per la nostra società, non possiamo limitarci a discutere il prezzo delle mascherine o la data di riapertura delle scuole. Dovremo cogliere l’occasione per trovare il coraggio di discutere condizioni migliori per orientare il mercato e l’educazione, piuttosto. Ci sembra una pretesa esagerata? Ecco, proprio questo vuol dire “inattuale”».
La Pontificia Accademia per la vita, tuttavia, non manca di mettere in rilievo alcune questioni molto concrete: «Certamente – si legge in un passaggio dedicato ai sistemi sanitari – in tutti i Paesi, il bene comune della salute pubblica deve essere bilanciato in rapporto agli interessi economici. Durante le prime fasi della pandemia, molti paesi si sono focalizzati sul salvare più vite possibili. Gli ospedali e soprattutto i servizi di terapia intensiva erano insufficienti e sono stati rafforzati solo dopo enormi sforzi. Apprezzabilmente, i servizi assistenziali sono sopravvissuti, grazie agli impressionanti sacrifici di medici, infermieri e altri professionisti sanitari, più che per gli investimenti tecnologici. La focalizzazione sull’assistenza ospedaliera, tuttavia, ha distolto l’attenzione da altre istituzioni di cura. Le case di cura, per esempio, sono state duramente colpite dalla pandemia, e i dispositivi di protezione individuale e i test sono diventati disponibili in quantità sufficiente solo in una fase tardiva. Discussioni etiche sull’allocazione delle risorse si sono soprattutto basate su considerazioni utilitaristiche, senza prestare attenzione alle persone più vulnerabili ed esposte a più gravi rischi. Nella maggioranza dei paesi, il ruolo dei medici di base è stato ignorato, mentre per molti, sono il primo punto di contatto con il sistema assistenziale. Il risultato è stato un aumento di decessi e di disabilità provocate da cause diverse dal Covid-19».
Il tema, tutta via, è più ampio, più fondamentale. «La risposta che occorre dare alla pandemia Covid-19 non può ridursi sul piano organizzativo-gestionale», si legge nel documento il cui titolo– Humana Communitas, comunità umana – è in realtà il titolo della lettera che Papa Francesco indirizzò alla Pontificia Academia pro Vita per il 25esimo anniversario della sua fondazione. «Non c’è un automatismo che garantisca il passaggio dalla interconnessione di fatto (che abbiamo sperimentato) alla solidarietà responsabile (che implica un gesto della libertà)», afferma monsignor Paglia. «Se non ci sarà questo risveglio delle coscienze, faremo solo qualche ritocco organizzativo, ma tutto tornerà come prima. Occorre invece ripensare i nostri modelli di sviluppo e di convivenza, perché siano sempre più degni della comunità umana. E dunque, all’altezza dell’uomo vulnerabile, non al di sotto dei suoi limiti, come se non esistessero: dentro quei limiti, infatti, ci sono uomini, donne e bambini che meritano più cura. Tutti, non solo i nostri. Se apriamo le porte alle minacce veramente globali per la comunità umana, nemmeno i nostri potranno salvarsi. Ecco: dalla “prova generale” di questa pandemia, ci aspettiamo uno scatto di orgoglio della humana communitas. Può farcela, se vuole».