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martedì 22 aprile 2025
 
intervista
 

«Giuseppe Toniolo, il profeta dell’economia umana che anticipò Davos»

12/02/2022  Il vescovo di Assisi, Domenico Sorrentino, ha dedicato un volume, edito da Vita e Pensiero, alla “lezione e profezia” dell’economista: «Anche se è vissuto tra metà Ottocento e i primi del Novecento ha denunciato la tendenza, di oggi, del capitale e della tecnologia a prevaricare sull’uomo. Anticipando una delle domande di Klaus Schwab, l’iniziatore del World Economico Forum. E con il suo temperamento e scritti aiutò il beato Alberione a capire la sua vocazione»

«Giuseppe Toniolo, anche se è vissuto oltre un secolo fa, tra il 1845 e il 1918, dunque sullo sfondo della seconda rivoluzione industriale, non solo denunciò per il suo tempo, ma anche prefigurò per il nostro la tendenza del capitale e della tecnologia a prevaricare sull’uomo. Una deriva che avrebbe portato disastri già ben visibili nei suoi anni e certamente ancor più gravi con il progresso dell’economia industriale. Toniolo fu un rivendicatore appassionato della dignità dell’uomo che lavora, del diritto al lavoro, dell’organizzazione umanistica del lavoro. E quando diceva uomo, diceva la persona umana nella sua interezza. L’espressione “economia umana” è sua ed è un’espressione chiave per capire il suo pensiero. L’accento va sull’umano, in rapporto al ruolo giocato dal capitale nell’economia contemporanea».

È il ritratto che il vescovo di Assisi, mons. Domenico Sorrentino, traccia dell’economista e sociologo Giuseppe Toniolo, fondatore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e beatificato nel 2012, al quale ha dedicato il libro Economia umana. La lezione e la profezia di Giuseppe Toniolo: una rilettura sistematica, pubblicato da Vita e Pensiero. Sorrentino, già postulatore della causa di beatificazione di Toniolo e che fa parte del Comitato organizzatore dell’iniziativa "The economy of Francesco" voluta dal Papa, illustra e approfondisce con grande rigore la visione tonioliana del rapporto tra etica ed economia.

Eccellenza, qual è la lezione sull'economia umana che ci lascia questo studioso?

«L’espressione “economia umana” è del Toniolo ed è un’espressione chiave per capire il suo pensiero. L’accento va sull’umano, in rapporto al ruolo giocato dal capitale nell’economia contemporanea. Dico contemporanea, perché il Toniolo, pur essendo vissuto oltre un secolo fa, tra il 1845 e il 1918, dunque sullo sfondo della seconda rivoluzione industriale, non solo denunciò per il suo tempo, ma anche prefigurò per il nostro la tendenza del capitale e della tecnologia a prevaricare sull’uomo. Una deriva che avrebbe portato disastri già ben visibili nei suoi anni e certamente ancor più gravi con il progresso dell’economia industriale. Il Toniolo fu un rivendicatore appassionato della dignità dell’uomo che lavora, del diritto al lavoro, dell’organizzazione umanistica del lavoro. E quando diceva uomo, diceva la persona umana nella sua interezza. “Umanesimo integrale”, avrebbe detto dopo di lui Jacques Maritain. Integrale nella visione piena di ciascuna persona, con tutte le sue dimensioni: fisica, spirituale, familiare, relazionale. Visione solidaristica, nell’intreccio delle relazioni che, partendo dalla persona, si espandono a tutti i raggruppamenti umani che costituiscono il tessuto della società. Donde una concezione della società in cui lo Stato, senza perdere il suo ruolo, perde tuttavia il suo primato. Rinuncia cioè a farla da “padrone” sulle persone e la società. Il primato – sottolineava il Toniolo – spetta alla “società civile”, ossia all’insieme delle persone organizzate in “corpi” in cui gli individui si ritrovano per le più diverse affinità e i convergenti interessi. A quest’uomo in relazione, in tutti i corpi intermedi della società, lo Stato offre il suo servizio di sussidiarietà e solidarietà, a favore dei più deboli, a integrazione, e non in sostituzione, della base sociale. È qui il suo ruolo ineludibile, in vista dell’ordine e del bene comune. Ma guai a ribaltare la gerarchia dei valori. La tendenza statocentrica – e talvolta “statolatrica” nelle espressioni delle dittature di destra e sinistra che hanno funestato il ventesimo secolo – è una patologia foriera di sciagure. Una lezione valida ancor oggi, e direi, ancor più oggi. La si può applicare anche al potere sovra-nazionale ed eventualmente globale. Se mai ci sarà – secondo l’attuale trend della globalizzazione – una vera governance mondiale, essa dovrà essere a servizio, e non dominatrice, rispettosa del primato della persona e della società civile».

Perché l'economia delineata da Toniolo è stata definita profetica?

«Al tempo della “quarta rivoluzione industriale”, mentre il mercato globale e la tecnologia, giunti a livelli inauditi, in crescita continua, rischiano di fagocitare l’umano, occorre mettere in atto una strategia di consapevolezza e di iniziativa, perché questo disastro dell’umano, parallelo al disastro ambientale, venga scongiurato. La questione delle disuguaglianze è l’indice inconfutabile di un’economia malata. In questo, la lezione del Toniolo è un’autentica profezia. Oggi, persino il pensiero economico mainstream, quello dominante, sviluppato ad esempio a Davos, riscopre al suo interno delle “domande” che furono esattamente quelle del Toniolo. Nel mio libro ho cercato di documentarlo. Ci si rende conto dell’attualità del Toniolo, paradossalmente, confrontandolo con il pensiero di Klaus Schwab, l’iniziatore del World Economic Forum di Davos. Nel paesaggio della “quarta rivoluzione industriale”, l’ingegnere economista svizzero ritrova, almeno come problematica, uno dei temi che furono cari al Toniolo: che fine fa l’uomo nell’ingranaggio tecnologico? Occorre fare in modo che il primato dell’umano venga salvaguardato. Bisogna che sia l’uomo a governare le sue macchine, se non si vuole che le macchine travolgano l’uomo. Vanamente – e forse cinicamente – si parlerà di un uomo “aumentato”, se saranno le macchine a decidere per lui. Toniolo intuiva cento anni fa il problema. Altrettanto denunciava a proposito del capitale: il lavoro deve essere sostenuto dal capitale, ma non può stare al guinzaglio del capitale. Quest’ultimo è indubbiamente necessario per un’economia progredita. Ma, sottolineava il beato economista, è di sua natura “seguace e alleato”, non tiranno del lavoro. Per questo Toniolo elogiava i capitalisti “imprenditori”, e bersagliava i capitalisti semplicemente “finanziatori”, al riparo dai rischi d’impresa, e ben protetti nei loro bunker speculativi, a fare il bello e il cattivo tempo dell’economia. Il capitale deve accogliere e sopportare i rischi d’impresa, fungendo da capitale generativo, e non da capitale strozzino. Facendosi dunque espressione e sostegno dell’economia reale, e non crescere grazie a pratiche speculative che danno vita a un’economia di carta (o di numeri e clic informatici) staccata dalla realtà e sempre sul ciglio del precipizio (a danno naturalmente dei più poveri). Lo abbiamo visto con la crisi finanziaria di qualche anno fa. A Davos si sta anche ponendo – udite, udite – il problema della solidarietà. Era la passione del Toniolo, che su questo tema esaltava il grande contributo del cristianesimo alla storia dell’umanità. È più che mai provato che il modello economico dominante tende ad arricchire all’inverosimile qualche paperon dei paperoni mentre una massa enorme di esseri umani arranca, e persino manca del necessario per sopravvivere. Un paesaggio di questo tipo è moralmente inaccettabile. Ma è anche, a lungo andare, un boomerang per la stessa economia. Quante conseguenze sociali devastanti ne possono derivare. Conseguenze che travolgeranno tutti, anche i ricchi. In definitiva, a partire da una semplice considerazione di opportunità, la questione dei poveri ridiventa centrale. Toniolo l’aveva posta cento e più anni fa, profetizzando che non l’avrebbe risolta il marxismo, allora in procinto di un successo che si è poi mostrato caduco. Non l’avrebbe risolta il puro libero mercato, per il fallimento della “mano invisibile” di smithiana memoria proprio sul versante della solidarietà. Il pensiero del Toniolo, rispetto a queste sfide dell’oggi, può ben dirsi profetico».

L'economista Giuseppe Toniolo (1845-1918), beatificato nel 2012, e la copertina del libro di mons. Domenico Sorrentino

Il rapporto tra etica ed economia è una delle chiavi della visione economica di Toniolo. In cosa consiste?

«La questione etica è stato il leit-motiv del Toniolo fin dalla sua prima lezione accademica del 1873. Si intitolava: “Dell’etica come fattore intrinseco delle leggi economiche”. Oggi perfino gli uomini di Davos, riconoscono che non può essere elusa la domanda: com’è possibile governare una crescita economica che corre vertiginosamente, a ritmo esponenziale? È possibile farlo senza un’etica? Non è problema semplice nel tempo in cui il pensiero è enormemente confuso e internet moltiplica e smista le opinioni più contraddittorie. Ognuno finisce per avere la “sua” verità. È comunque positivo che il rapporto etica-economia sia ormai divenuto corrente. Amartya Sen (Premio Nobel per l’economia nel 1998, ndr) ne ha fatto una questione ineludibile. Ma il Toniolo lo aveva preceduto, e con un approccio rigoroso quanto lontano dal “politically correct”, aveva anche posto il problema: etica, sì, ma quale? Non aveva dubbi che dovesse trattarsi di un’etica oggettiva, quella profondamente inscritta nella coscienza universale – diremmo, con il linguaggio biblico, l’etica dei comandamenti – ribadita e approfondita dalle beatitudini evangeliche. La soluzione per lui era da trovare in un rinnovato incontro della cultura con i principi del Vangelo. Ammetto che, in una società pluralistica e multireligiosa come la nostra, una tesi come questa non è facilmente accoglibile. Ma nelle conclusioni del mio volume credo di aver mostrato come la prospettiva del Toniolo sia meno peregrina di quanto a prima vista si potrebbe pensare. Occorre forse il coraggio di confrontarsi con le provocazioni tonioliane senza pregiudizi. Ce ne saranno indubbi vantaggi per la scienza e per la prassi. E forse non sarà difficile concludere, come io faccio nel mio volume, che il pensiero del Toniolo, sfrondato di quel tanto di “datato” che anche per i grandi è inevitabile, non è un pensiero del passato, ma del futuro. Ne abbiamo bisogno».

Il mondo cattolico ha "trascurato", approfondendolo poco, il pensiero di Toniolo?

«Direi che, in generale, non solo l’ha trascurato, ma – fatta eccezione per pochi specialisti – non lo conosce. Toniolo fu formidabile trascinatore del mondo cattolico del suo tempo. È stato per decenni una “bandiera”. Ma poi sono venuti per lui tempi di emarginazione. Il popolarismo sturziano si radicava nel suo pensiero, ma durò lo spazio di un mattino. Il fascismo lo oscurò fingendo di incarnare la sua visione “corporativa”: al di là del termine, quella del Toniolo era l’esatto opposto di quanto fece lo Stato autoritario. Nel secondo Dopoguerra, la collocazione dei cattolici al potere, grazie alla grande statura di De Gasperi avrebbe dovuto riprendere la lezione tonioliana. In qualche aspetto, ci si provò. Fu il tempo in cui si pubblicarono, anche ai fini della causa di beatificazione, i corposi volumi dell’Opera Omnia. Qualche erede del suo pensiero non mancò, almeno nell’ambito dell’Università Cattolica, da Fanfani a Francesco Vito, di cui il Toniolo era stato un precursore. Ma furono in pochi a mettersi davvero alla sua scuola. Peraltro, l’egemonia culturale in campo sociale divenne presto quella marxista. Tutto congiurò perché il Toniolo diventasse, in ambito cattolico, un “nome” celebrato quanto sconosciuto. Persino i pensatori cattolici che attualmente stanno ridisegnando il profilo di una economia più vicina all’orizzonte cristiano spesso non hanno fatto seriamente i conti con il pensiero del “maestro”. Ma c’è un recupero. L’introduzione che il professore Stefano Zamagni ha fatto al mio volume ne è una dimostrazione. Ma quanto ancora ci vorrà, per questo recupero? Nella recente Settimana Sociale di Taranto c’è stato uno sforzo di ripresa del “nome” del Toniolo in quanto iniziatore delle Settimane Sociali. L’Università Cattolica e la CEI hanno fatto giungere il mio volume sul tavolo di tutti i vescovi. Sarà un’occasione per riprendere in considerazione questo pensiero ispirante?».

Come si situa l'iniziativa Economy of Francesco voluta dal Papa in relazione alla figura di Toniolo? «Certamente, per la sostanza, in termini di disponibilità. Ogni volta che ne parlo, mostrando i fili anticipatori del pensiero del Toniolo, trovo dei consensi. Ma – devo dirlo – è un percorso in salita. Il quadro di riferimento di questa iniziativa voluta dal Pontefice, per coinvolgere in un patto di rinnovamento dell’economia le nuove generazioni, fa riferimento all’ispirazione francescana e al magistero di papa Francesco. Va benissimo. Pochi sanno tuttavia che – indipendentemente dal pensiero francescano, ma anche sostanzialmente valorizzandolo – Toniolo ha detto cose che possono dare a questo percorso di rinnovamento un contributo di prim’ordine. E ciò soprattutto nella questione dei fondamenti, dei principi essenziali, direi dell’architettura del pensiero economico. Quando lo si scoprirà pienamente e senza titubanze, il cammino di Economy of Francesco, per quel che è dato a me di capire, anche con la responsabilità che insieme al prof. Bruni mi è stata affidata all’interno del comitato organizzatore, non potrà che trovarvi un alimento sostanzioso e generativo».

Qual era il rapporto tra Toniolo e il fondatore della Famiglia Paolina, il beato Giacomo Alberione?

«Il Toniolo giocò un ruolo significativo nel beato Alberione, fin dal primo balenare del suo carisma di apostolo dell’evangelizzazione. È don Alberione stesso che lo dice nei suoi ricordi autobiografici. All’inizio del XX secolo, la voce del Toniolo galvanizzava i cattolici. Sull’onda del magistero di Leone XIII, li chiamava a guardare in avanti al nuovo secolo per riguadagnarlo a Cristo. E per farlo i cattolici avrebbero dovuto rimboccarsi le maniche, entrando in tutti i gangli vitali della cultura, del sociale, della comunicazione. Bisognava togliere di mano le armi agli avversari e farle servire per Cristo. Il giovane Alberione raccolse questo invito a un cristianesimo di “punta”, che non si riduceva a stare a rimorchio, ma prendeva l’iniziativa. Fu il lampo nella notte. Alberione parla della notte tra fine ‘800 e inizio ‘900 come di una “notte di luce”. Toniolo lo aiutò a capire la sua vocazione. Credo sia un tema da approfondire».

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