Uguali lavori, uguali fatiche, diversi stipendi: 316
euro, questa è la differenza di busta paga tra un lavoratore
italiano e uno straniero. In media, un dipendente straniero
percepisce 973 euro al mese, il 24,5% in meno di un italiano.
È
quanto emerge da uno studio della Fondazione Leone Moressa di
Venezia, che ha analizzato le retribuzioni mensili nel quarto
trimestre 2011. La situazione peggiora con l’aumento dell’età:
se nella fascia 15-24 anni gli stranieri ricevono appena il 3,9% in
meno degli italiani, per gli over 55 il gap sfiora il 40%.
La
differenza è ovviamente dovuta alle diverse professioni svolte e
alla qualifica mediamente più bassa degli stranieri.
Tuttavia, anche
a parità di mansioni, si nota una discriminazione in busta paga in
base alla nazionalità: nel settore dei servizi alle imprese e alla
persona raggiunge il -22%. «Non
fare storie! O ti va bene così, o vattene», ha spiegato il
titolare di una piccola impresa edile milanese a Rahim, marocchino,
quando ha osato far notare che il suo collega italiano, sebbene fosse
piuttosto inesperto e di fatto diretto proprio da Rahim, prendeva uno
stipendio più alto. E ha aggiunto: «E ricordati che in busta paga
c’è anche il permesso di soggiorno!».
In fondo, l’arroganza
del capo di Rahim coglieva un punto spesso decisivo. Spiegano i
ricercatori della Fondazione Moressa: «Il lavoro per gli stranieri
è la condizione necessaria per avere e per rinnovare il permesso di
soggiorno. Questo legame indissolubile può portare all’accettazione
di condizioni occupazionali marginali, poco tutelate e, in alcuni
casi, anche sottopagate».
Questa
comunque non è l’unica causa. Il divario è dovuto a un mix di
fattori, alcuni caratteristici del nostro mercato del lavoro. Come la
disparità salariale in base al genere. Il nostro non è un mercato
del lavoro per donne (straniere), si potrebbe dire. Se il fatto che
le donne siano meno pagate degli uomini accomuna le lavoratrici di
qualsiasi nazionalità, italiane comprese, le dipendenti straniere
mostrano un divario retributivo con le italiane ancora più ampio
rispetto a quello degli uomini con gli italiani: 20,5% in meno per i
maschi, 30,5% per le donne.
«Ho fatto la baby sitter da una signora che continuava a ripetere quanto fossi brava e attenta con i bambini. Dopo un anno, casualmente, ho scoperto che la ragazza italiana che mi aveva preceduto prendeva ben tre euro e mezzo in più ogni ora!», racconta Conchy, del San Salvador.Nelle regioni settentrionali, soprattutto del NordEst, dove la busta paga è “più ricca”, vi è un minor differenziale con gli italiani. Va peggio in Calabria e Campania, dove la disparità supera il 40%, oltrepassando i 500 euro. Uno “spread” alle stelle. Secondo lo studio della Fondazione Moressa, poi, il titolo di studio non ha alcuna influenza sul livello salariale degli stranieri. Infatti, le retribuzioni percepite da coloro che hanno un basso livello di istruzione (nessun titolo, licenza elementare e licenza media) non differiscono di molto da quanti invece hanno il diploma superiore.
Basti pensare ai meccanici e ai periti africani che raccolgono le arance a Rosarno, in Calabria, o alle ex maestre ucraine che lavorano nelle fabbriche o come badanti. Diverso è invece il caso dei laureati stranieri, che ricevono in media al mese 1.139 euro. Ma più aumenta il livello di istruzione, maggiore è il gap con i dipendenti italiani con lo stesso profilo. «Lo so che mi pagano poco, ma con questi soldi la mia famiglia in Moldavia affronterà l’inverno», spiega Gheorghe, che nei prossimi due mesi raccoglierà uva in provincia di Brescia. Infatti, se si confronta la retribuzione di un immigrato che lavora in Italia con la ricchezza pro capite nel paese di origine, si scopre che, nonostante il divario con le buste paga italiane, un filippino in Italia guadagna come 6,1 connazionali nelle Filippine, un marocchino per 6 connazionali, un ucraino per 4, un albanese per 4,7.
Tuttavia, lo “spread” in busta paga tra italiani e stranieri può avere un costo sociale per tutti. Lo ricordano i ricercatori della Fondazione Moressa: «Il problema del differenziale retributivo si fa più evidente specie in questo momento di crisi, dato che gli stranieri difficilmente possono contare su fonti di guadagno alternative al reddito da lavoro o sul supporto dato dalle reti familiari. Tutto ciò rischia di rallentare i processi di inserimento sociale ed economico degli stranieri che lavorano e vivono nel nostro Paese».