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mercoledì 16 ottobre 2024
 
l'intervista
 

Greta Cristini: "In Israele come in Ucraina, la geopolitica si fa per la strada, tra la gente"

20/10/2023  Ex avvocata, uscita dalla Scuola della rivista di geopolitica "Limes", Cristini ha trascorso diversi mesi sul fronte ucraino. Da questa esperienza è nato un libro, "Geopolitica. Capire il mondo in guerra". Oggi si trova in Israele, per analizzare e raccontare l'andamento del conflitto mediorientale

Greta Cristini
Greta Cristini

Dal fronte ucraino ai kibbutz israeliani al confine con la Strischia di Gaza. Per parlare con la gente comune, con i soldati, e capire, attraverso le loro voci, l'andamento di un conflitto.  Greta Cristini, 29enne ex avvocata e analista geopolitica uscita dalla scuola della rivista Limes, ha trascorso tre mesi nell'Est dell'Ucraina, viaggiando nelle zone del fronte. Da quella esperienza è nato un libro, Geopolitica. Capire il mondo in guerra (Piemme).  Oggi si trova in Israele, tra Tel Aviv, Gerusalemme e le aree più vicine a Gaza, per allargare i suoi studi di geopolitica al nuovo fronte, il conflitto tra Hamas e Israele.

La controffensiva ucraina negli ultimi tempi si è indebolita. A che punto è la guerra in Ucraina? 

«Ormai da diversi mesi la guerra da un punto di vista territoriale è in una fase di stallo, gli avanzamenti sia da una parte che dall'altra sono esigui, per la difficoltà degli ucraini di sfondare quelle linee difensive che i russi hanno consolidato nei mesi invernali e che adesso con l'arrivo con la stagione del fango e il raffreddamento dei combattimenti continuerano a fortificare nei quattro oblast che hanno già annesso alla Federazione russa. Ci si potrebbe aspettare un avanzamento più politico-diplomatico. E su questo versante ci si collega al nuovo fronte, quello tra Hamas e Israele: è evidente che gli attori internazionali coinvolti, a partire dagli Stati Uniti, attualmente sono distratti da una guerra che, in questa fase, potenzialmente appare ancora più grave del conflitto in Ucraina. Il Medio Oriente è una polveriera ancora più grande e gli interessi in gioco sono ancora più vasti e vari. Lo sforzo negoziale che gli americani avrebbero poituto fare in Ucarina, adesso è catalizzato dalla situazione mediorientale. In definitiva, in Ucraina ora c'è molta incertezza. Si intravedeva una prospettiva negoziale per i prossimi mesi che ora è in stallo. Va ricordato che né russi né ucraini intendono fermarsi nelle loro rispettive rivendicazioni».

Mosca ha contatti con Hamas e un rapporto stretto con l'Iran. Il coinvolgimento, sotto varie forme non necessariamente militari, della Russia nel conflitto Hamas-Israele appare scontato.

«Che ci sia un coinvolgimento "sotterraneo" è evidente. Al momento Mosca ha mantenuto una posizione equilibrista. E' innegabile che la Russia ha sempre avuto un legame stretto con la causa palestinese, a partire dalla Guerra fredda quando la politica estera di Israele si è orientata verso l'Occidente a guida americana. Ma è anche vero che la Russia ha legami forti con Israele: io stessa sono rimasta molto colpita da quante persone qui in Israele parlano russo, per via della diaspora ebraica russa che è stata molto importante. Inoltre, Netanyahu e Putin sono molto amici, molto di più di quanto non fossero Netanyhau e Biden, tra i quali prima di questa guerra i rapporti era freddissimi. E' possibile che Putin voglia porsi nel ruolo di mediatore in questo conflitto. Tuttavia, in questo contesto si confrontano due grandi blocchi molto definiti - quello a guida americana da un lato e quello che fa rferimento alla Cina dall'altro - e òa Russia certamente tende all'area di influenza anti-occidentale. Lo abbiamo visto anche con la recente visita di Putin a Pechino. Questa guerra, comunque, Mosca non la vuole, e non la auspica neppure la Cina».

Un conflitto, insomma, che nessuno vuole, eppure così difficile da fermare.

«Ciò che si percepisce stando sul campo è che Isarele ora sia determinato a proteggersi e che per il Paese sia necessario, imprescindibile e non negoziabile annichilire Hamas una volta per tutte. Sembra improbabile che Israele possa tornare indietro. Ho visitato dei kibbutz vicini alla Striscia di Gaza: sono già diventati degli avamposti militari e i soldati - tutti giovanissimi - sono assolutamenti certi che Hamas debba essere annientato, perché è una minaccia all'esistenza di Israele». 

Ti trovi in Israele per condurre studi di analisi geopolitica. Che tipo di lavoro stai portando avanti? Come ti stai muovendo?

«Sono in una fase di preparazione: cerco di seguire il lavoro dei giornalisti e reporter nelle zone più calde per fare una ricognizione geografica e militare che mi permette di capire il contesto e che tipo di guerra sarà. Mi interessa molto parlare con i soldati, sondare la loro tenuta psicologica, per capire le convinzioni di fondo che muovono questa guerra. Sto cercando contatti con esperti e, pian piano, con figure politiche, necessari per l'analisi geopolitca vera e prorpria, che per me comunque si fa anche andando a parlare con i civili nelle manifestazioni. In questi giorni sono tanto per la strada a parlare con la gente».

E' la "geopolitica con i piedi" di cui parli nel tuo libro. L'importanza di andare al fronte, essere sul campo.

«Gli studiosi di geopolitica spesso stanno a casa. Ma l'analisi geopolitica si basa ssoprattutto sul fattore umano, antropologico, sullo studio del sentimento collettivo dei popoli, su ciò che percepisce la popolazione più che su ciò che pensano i leader. E allora è fondamentale partire ed essere sul campo».   

Giorni fa, un missile ha colpito un ospedale a Gaza provocando una strage. Hamas e Israele si accusano a vicenda e si rimbalzano la responsabilità del terribile accaduto. Lo abbiamo visto e lo vediamo nella guerra in Ucraina, lo vediamo ora nel conflitto Hamas-Israele: la guerra si combatte anche e molto a colpi di disinfomazione, fake news, manipolazione dell'informazione.

«L'informazione è diventata una vera e propria arma e parte della guerra. Episodi gravi come quello dell'ospedale di Gaza suscitano inevitabilmente reazioni e infuenzano l'opinione pubblica che chiede poi risposte ai loro leader. Sono shock emotivi e culturali che possono davvero riorientare l'andamento di una campagna bellica. Nel caso della guerra in Ucraina, il massacro di Bucha ha riorientato la traiettoria del conflitto, perché le opinioni pubbliche occidentali sono state sconvolte da quelle immagini  e qualcosa è cambiato nel supporto dell'Occidente a Kyiv. In questo senso, dunque, l'informazione in uno scenario di guerra ha un ruolo molto importante e molto difficile. Nel caso del bombardamento dell'ospedale di Gaza, credo che tutta la durata della guerra e forse anche dopo sarà impossibile arrivare ad accertare la verità di quanto accaduto». 

(Nella foto Reuters in alto: una dimostrazione a Tel Aviv per la liberazione degli ostaggi israeliani)

 

 

 
 
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