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lunedì 14 ottobre 2024
 
 

Iraq, caccia ai cristiani

19/07/2014  A Famiglia Cristiana, il Patriarca della Chiesa caldea, Mar Louis Raphael I Sako, racconta il dramma dei suoi fedeli e lancia un appello all’Occidente.

Monsignor Sako con papa Francesco.,
Monsignor Sako con papa Francesco.,

Prima quella “N” per contrassegnare le case dei cristiani. “N” come Nasara, cioè cristiano, radice semantica che rimanda alla città di Gesù. Una “N” cerchiata in rosso, avvertimento e minaccia, contrassegno per indicare chi non ha più cittadinanza nel nuovo Califfato Islamico che si estende dalla Siria fin in Iraq.

Poi il decreto dei miliziani jihadisti dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante pubblicato due giorni fa per intimare ai cristiani di andare via oppure di convertirsi immediatamente all’Islam. La situazione più drammatica si registra a Mosul, seconda città dell’Iraq, dove i cristiani caldei sono ormai un piccolo gruppo sparuto.

Al telefono da Bagdad il Patriarca della Chiesa caldea, Mar Louis Raphael I Sako, racconta a Famiglia Cristiana il dramma dei suoi fedeli e lancia un appello all’Occidente.

Una delle lettere di minaccia distribuite dalle milizie radicali islamiche dell'Isil. Foto Asianews.
Una delle lettere di minaccia distribuite dalle milizie radicali islamiche dell'Isil. Foto Asianews.

- Sua Baeatitudine, qual è la situazione a Mosul?
«Non c’è più cittadinanza per i cristiani. Devono andarsene oppure convertirsi in fretta all’Islam. Hanno segnato le loro case e chi decide di andare via deve lasciare tutto perché i miliziani dell’Isis considerano proprietà del neo-Califfato tutti i beni dei non musulmani».

- Lei cosa ha deciso di fare?

«Ho invitato chi può a lasciare la città, perché la loro vita è in pericolo. Anche chi decide di restare e pagare la tassa al Califfato, la jizya, non è al sicuro. Sono partiti in molti. In città restano solo i cristiani anziani più poveri».

- Dove vanno
?
«Questo è un altro dramma, perché alle porte di Mosul chi lascia la città viene depredato di tutto dai vestiti ai ricordi della famiglia all’auto. Molti si incamminano piedi verso il nord dell’Iraq, il Kurdistan governato curdi, che i peshmerga, cioè i leggendari guerriglieri curdi sono riusciti a proteggere dall’avanzata dei miliziani dell’Isis. Pochi scendono verso Bagdad. La maggior parte si rifugia nella pianura attorno a Ninive, dove ci sono alcuni villaggi letteralmente ingolfati di cristiani caldei che vengono da Mosul. Buona parte delle famiglie si sta dirigendo verso il villaggio di Dahuk».

- Si può fermare l’esodo?
«No. Ed è molto difficile per me dirlo, ma adesso ne va della loro vita e anche andar via è molto pericoloso. Mosul è stata la prima città a cadere sotto l’offensiva delle milizie islamiche. Sono fuggiti due milioni di persone da tutta la zona, soprattutto musulmani. Ma in città adesso non c’è alcuna autorità. Solo soprusi da parte delle milizie islamiche senza alcuna possibilità di dialogo con loro».

- Cosa può accadere adesso?

«La guerra civile con orrori peggiori di quelli che abbiamo visto fino ad oggi. Nei giorni socesi il governo centrale di Bagdad ha ordinato alcuni raid aerei, che non sono serviti a nulla e hanno aumentato la paura tra la popolazione. Sappiamo che il governo intende riprendere Mosul con u n attacco di terra. Sarà un massacro e arriveremo sicuramente a 4 milioni profughi».

- Cosa può fare la comunità internazionale?

«Deve occuparsi dell’Iraq, cosa che invece non fa. Non c’è un governo, governa solo il caos. Noi stesi non troviamo interlocutori. Pariamo con i membri del Parlamento, che ha letto il nuovo presidente, ma non c’è ancora un presidente della repubblica né il primi ministro. La Comunità internazionale deve imporre soluzioni concrete alla crisi istituzionale di Bagdad. Solo con una maggiore stabilità interna si potranno sbaragliare i fanatici. L’Iraq è stato abbandonato alle sue lotte interne, la guerra del passato ha lasciato un Paese diviso dove tutti sono sempre stati pronti a dar fuoco alle polveri. E noi che abbiamo sempre invocato dialogo prima della violenza ora paghiamo il prezzo più alto. Io non abbandono mai la speranza, ma questa volta lo scenario che abbiamo davanti è davvero tragico».

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