Presto, ma non con fuoco. Per gradi. Il primo italiano al vertice del tennis mondiale, Jannik Sinner, è arrivato così: mescolando un talento raro nel tenere a bada i nervi nei momenti di buio e le farfalle nello stomaco nei punti che contano - dote che qualifica i campioni - con la dedizione al lavoro imparata in famiglia; con la tecnica di base acquisita all’accademia di Riccardo Piatti a Bordighera, all’estremo opposto in senso longitudinale rispetto al Paese dov'è nato a una volata di cicogna dall’Austria e, dopo, con l’arricchimento del bagaglio grazie al team capitanato di Simone Vagnozzi e Darren Cahill.
C’è voluto coraggio a 21 anni per salpare dalla terra conosciuta sfidando le colonne d’Ercole assumendosi la responsabilità di cambiare allenatore e team. Non sono mancate le critiche, di sicuro c’è stato il peso di dover dimostrare che non era stato un azzardo fin tanto che s’è trattato di metabolizzare i cambiamenti senza snaturarsi, e intanto imparare a non essere più l’outsider che bruciava posizioni in classifica, ma un favorito da cui attendersi, forse anche pretendere cose, risultati. Ha dimostrato che la mente solida c’era al di là delle righe del campo, ha assorbito le novità senza tremare. C’è voluto tempo per arricchire di elementi la cassetta degli attrezzi: il ragazzino che appena due anni fa già aveva una delle palle più pesanti del circuito ma che sapeva solo picchiarla forte pur con una precisione non comune, ha trovato il tocco che serve a smorzare palle a 200 all’ora, consolidato un servizio che oggi non è solo potente ma anche vario e preciso, appreso i segreti del gioco di volo al punto da andarsi a prendere il 15 a serve&volley quando l’avversario lo irretisce nello scambio.
Lo Jannik Sinner di oggi, a 23 anni ancora da compiere è un giocatore di eccellente completezza e di rara affidabilità. Va in campo con l’imperturbabilità apparente di Bjorn Borg, da mesi dà l’idea di scendere sui centrali più prestigiosi senza provarne soggezione, con l’impressione della completa padronanza fisica e mentale del proprio gioco, in piena fiducia, con la capacità di ripartire poco alla volta se la giornata e la partita nascono storte. Non era scontato dopo che un infortunio all’anca, punto delicato per un tennista, aveva interrotto una serie impressionante di risultati durata sette mesi.
E invece Sinner è rientrato dando l’impressione di non aver perso nulla dello smalto e della solidità, pur non sentendosi atleticamente al cento per cento. Evidentemente quel crash test ha aggiunto nuove sicurezze: si sono viste anche fuori dal campo, quando per sminare i fuochi fatui del pettegolezzo, ha confermato, chiedendo rispetto per la privacy, la relazione con la collega Anna Kalinskaya, 25 anni, moscovita di mamma ucraina. Un segno di sicurezza anche quello: la presa d’atto che a convivere con la curiosità morbosa un numero uno in pectore avrebbe dovuto imparare e che è meglio controllare la situazione ammettendo il minimo sindacale che lasciare le lingue del gossip a briglia sciolta.
Si sapeva che sarebbe stata solo questione di tempo, che Sinner aveva dalla sua l’anagrafe e che sarebbe bastato aspettare sulla riva del fiume che Djokovic non arrivasse in finale al Roland Garros per arrampicarsi ufficialmente in cima al mondo. Ma il modo con cui c’è arrivato ci dice che non è stata solo questione di calcoli o di congiunture anagrafico-astrali: Jannik Sinner ha tutta la completezza, la solidità, la sicurezza per meritare il posto che ora occupa. E probabilmente anche per non esserne destabilizzato: è vero che il trono mondiale metaforicamente pesa, ma il bambino prodigio ora è grande e non sembra esserci pericolo che la corona gli cada sugli occhi come a Semola, l’Artù bambino della della Spada nella roccia. Il fatto che non manchino i pretendenti e che ci sia un Alcaraz a contendergliela sarà solo un bene: un re ragazzo sul campo si deve divertire se vuole lunga vita tennistica e da soli in genere ci si diverte poco. Il maestro Cahill questa storia di non perdere il gusto del gioco gliela ripete e a giudicare dal sorriso birichino, ma mai sfrontato, che talvolta vediamo spuntare sul viso di Jannik Sinner sembra che funzioni.