Un elemento carico di significato culturale. Negli antichi miti della creazione in principio era l’acqua e il suo valore mitico e simbolico è vivissimo in tutte le culture. All’origine di tutta l’umanità c’è l’acqua. All’origine dello sviluppo e della dignità stessa dell’uomo c’è l’acqua. Nell’ordine delle priorità di una qualsiasi civiltà nulla viene prima dell’accesso all’acqua. E l’accesso all’acqua, come ci insegnano gli antichi romani, non può essere disgiunto da una rete di servizi igienici, da una rete fognaria. Ma questo elemento vitale non è solo materia.
Il rapporto tra la società e l’essenziale elemento vitale è permeato di cultura e di religiosità, sin dagli albori della storia: dal majin, acqua, parola che risuona 580 volte nell’Antico Testamento, come l’equivalente greco hýdôr che inonda il Nuovo Testamento 76 volte, all’acqua fonte di lucrosi guadagna, prigioniera di una logica commerciale che prende forma in un contenitore di Pet. Circa 1.500 versetti dell’Antico Testamento e oltre 450 del Nuovo Testamento sono “intrisi” d’acqua, ci ricorda il cardinale Gianfranco Ravasi (Le sorgenti di Dio, Edizioni San Paolo). Una vena d’acqua scorre nelle Sacre Scritture: dalla Genesi con la pioggia che inonda la Terra alla captazione delle sorgenti, per finire con la stravolgente immagine di “un fiume d’acqua viva limpida come cristallo che scaturisce dal trono di Dio e dell’Agnello.
La danza della pioggia
Il sociologo David Orr si chiede quale
sia il significato dell’acqua. L’apparato produttivo del mondo
industrializzato ci dà una sola risposta: l’acqua è diventato un bene strategico,
un bene economico. Orr però ci suggerisce un’altra interpretazione: “Ci si
potrebbe anche chiedere “che cosa significa essere umani?” La risposta andrebbe
cercata nel rapporto con l’acqua, madre della vita”. Ecco: l’acqua ha un legame
profondo con il sacro. Un accostamento che all’uomo contemporaneo appare strano,
ma per gli indiani d’America della tribù Hopi, che popolavano le ampie ed aride
pianure dell’Arizona, l’acqua è un elemento determinante della loro cultura.
L’acqua, in larga misura attinta da sorgenti alimentate da una grande falda
sottoposta agli alti e bassi dei capricci del tempo, non è mai stata data per
scontata dagli Hopi. Per garantirsi la pioggia eseguono ancora oggi rituali
religiosi, tra cui il Kachina, la
famosa danza della pioggia. Le scarse risorse idriche sono utilizzate dagli
indiani per coltivare piccoli orti. Ma la preghiera degli Hopi non è solo un
modo per avere la disponibilità di un bene prezioso. Essi praticano i loro riti
affinché tutta la natura possa essere dissetata. Per gli Hopi ogni sorgente è
un luogo sacro e tutta la loro cultura è intrisa dalla consapevolezza del
legame profondo che esiste tra il rispetto dell’acqua e la loro stessa
esistenza.
La Peadbody Western Coal Company, che estrae carbone a
nord delle terre degli Hopi, considera l’acqua in modo diverso. La compagnia
mineraria preleva acqua dalla falda per pompare la fanghiglia di carbone lungo
le tubature fino al Nevada dove il carbone viene bruciato per produrre energia.
Le miniere prelevano ogni anno quattro miliardi di litri di acqua. Tanto che le
sorgenti degli Hopi si stanno ora prosciugando. Ne è nata una controversia
legale, con tanto di rapporti idrologici che ovviamente non convincono gli Hopi
che hanno una visione sacra delle fonti. Essi pensano che Maasaw, la loro divinità, abbia affidato loro la cura
di tutta la terra e delle sue risorse. Sono in discussione due diversi modi di
vedere l’acqua…
Gli obiettivi del Millennio
C’è chi sostiene che l’unico modo per
proteggere l’acqua donataci dalla natura è quello di farla diventare un
bene di consumo, di darle un valore
economico, cioè di avere un cartellino del prezzo. In un certo senso è vero:
solo se l’acqua viene pagata almeno quanto il costo della distribuzione forse
possiamo evitare di sprecarla. Ma questo non può essere l’unico principio a
guidare la gestione dell’acqua. Come affrontare il problema dell’iniquità che
inevitabilmente si viene a creare quando alcuni possono pagare e altri no?
Sandra Postel, che attualmente dirige il Global Water Policy Project, parla con chiarezza degli svantaggi insiti
nel considerare l’acqua come un bene economico: “Il rischio è quello che le
funzioni economiche siano elevate al di sopra delle funzioni di supporto alla
vita e che si finisca per non dare spazio ai tre pilastri della sostenibilità:
efficienza, equità e protezione degli ecosistemi”. In sostanza è questione di
scegliere in che tipo di mondo vogliamo vivere. Un mondo dove regna sovrano il
mercato? Oppure un mondo dove al centro c’è l’uomo?
Impatto demografico. Dal 1900 al 2000 la popolazione mondiale è
passata da 1,6 a
6,1 miliardi. I ritmi di crescita stanno rallentando ma,
secondo le proiezioni Onu, la popolazione mondiale arriverà a 8 miliardi nel
2030. Crescita non uniforme: 2% in aree sviluppate,
38% nelle altre. Nel 1900 l’86% della popolazione viveva in
campagna ed il 14% in città; nel 2000 il 53% vive in campagna ed il 47 % in
città. Nel 2030 circa il 60% vivrà in città. Nel settembre del 2000, 189 Paesi hanno assunto un impegno: entro il 2015, ridurre
della metà il numero di coloro che non hanno accesso ai servizi idrici
nell’ambito degli obiettivi del Millennio. Obiettivo trascurato dalle grandi
organizzazioni internazionali e dai Paesi che hanno assunto quell’impegno.
Perché tanto disinteresse? Perché si preferisce puntare su altre azioni? Perché
non sembra essere prioritario l’obiettivo del Millennio?
Il valore politico dell'acqua
Il rapporto Camdessus, presentato al
Forum internazionale dell’acqua di Kyoto del 2003, per raggiungere gli obiettivi del Millenium
development goals prevede il passaggio da 80 a 180 miliardi di dollari di investimenti
annui. Il nodo del finanziamento è essenziale ed è su questo punto che si
dipana un dibattito spesso ideologico. Da una parte coloro che applicano un
teoria economica liberista che affida al mercato la capacità di affrontare e
risolvere il problema della realizzazione del servizio idrico. Dall’altra i
sostenitori dell’acqua pubblica a ogni costo, che prevede il solo intervento
della fiscalità generale rifiutando tout court l’idea che il servizio ha un
costo e che le tariffe ne devono tenere conto. Ecco allora che ci troviamo di
fronte a un impasse in cui le vittime, i titolari del diritto all’acqua,
rimangono tali.
Il valore politico dell’acqua. Acqua
e potere è un binomio antico come il mondo. Nell’antica Roma, come ci riferisce
il Frontino, la gestione degli acquedotti
era affidata a figure politiche-amministrative, come il curator aquarum che dipendevano
direttamente dall’imperatore. Si pensi al ruolo del Pontifex, l’ingegnere che costruiva i ponti… Le opere realizzate
dai romani non erano solo realizzazioni concrete ma avevano un forte richiamo
simbolico e di potere che ancora oggi ci colpiscono. La gestione pubblica o
privata è una questione eminentemente politica. Ci sono gestioni pubbliche
ottimali e altre fallimentari. Porre la questione in termini puramente
ideologici non aiuta a dissetare miliardi di
persone. Scandali e sprechi contrassegnano ambedue i modelli.
Recuperare il valore dell'acqua
Non esiste una soluzione miracolosa. L’acqua bene comune dell’umanità, un
principio che deve essere declinato: dobbiamo imparare a difenderla e a
condividerla. Considerare il problema della scelta del modello gestionale come la
questione numero uno ci fa perdere di vista la dimensione universale di un bene
che deve essere di tutti e per tutti. “L’acqua è un bene comune non una merce”
è uno slogan facile, che colpisce la parte emozionale dei nostri pensieri ma
che purtroppo non aiuta ad affrontare il nodo economico del finanziamento
posto, con tutti i suoi limiti, dal rapporto Camdessus. Applicare una tariffa
per coprire i costi, compresi quelli finanziari, (un mutuo per costruire un
impianto di depurazione…) non è di per se una scelta che implica l’adesione a
un modello piuttosto che a un altro. Occorre sicuramente un approccio più
laico. Certamente il primato della finanza sull’economia reale preoccupa ed è
giusto immaginare delle dighe contro il dilagare della speculazione. Io credo
che si tratti di comprendere la natura della sostanza con cui abbiamo a che
fare. Se riusciremo ad affermare il valore della vita intimamente legato
all’acqua, se riusciremo a riconoscere la sacralità dell’acqua contro ogni
tentativo di farne uno strumento per l’arricchimento di pochi a spese delle
moltitudini assetate, avremo posto le condizioni per condividere un bene comune
dell’umanità.
Relazione presentata alla Pontificia Accademia delle Scienze nell'ambito del convegno internazionale Water is life, Roma 18 dicembre, 2010.