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lunedì 14 ottobre 2024
 
 

L'educazione contro la mafia

16/10/2010  Il prof. Savagnone di Palermo chiede alla Chiesa di fare di più. Troppe inerzie e stanchezze. Si rischia di dimenticare gli appelli di Wojtyla e Benedetto XVI.

La Chiesa non ha fatto abbastanza per contrastare la criminalità organizzata nel Mezzogiorno, nonostante il “profondo radicamento” di cui ha sempre goduto sul territorio: alla Settimana sociale dei cattolici italiani il Direttore del centro diocesano della cultura di Palermo Giuseppe Savagnone, ha esortato a cambiare atteggiamento nel confronto quotidiano con i problemi del sud, incassando una “standing ovation” dai 1200 delegati presenti in platea: “Convegni, denunce e preti martiri delle mafie dimostrano una volontà di reagire” ma spesso tutto questo “è rimasto al 'piano nobile”, ha detto Savagnone, chiamato ad illustrare il documento su Chiesa e Mezzogiorno approvato dalla Cei. Poi “C'è un 'piano terra', quello della pastorale ordinaria, della vita e dei problemi quotidiani delle parrocchie, dei gruppi, delle confraternite, dove ci sono chiusure prodotte da inerzie e stanchezze” e “dove le cose non cambiano neanche dopo un bel documento o un grande convegno ecclesiale”.

Il professore ha ricordato che“ “le denunzie della Chiesa sulla mafia, la ‘ndrangheta, la camorra, sono da diversi anni molto nette”, a cominciare dalla famosa frase pronunciata da Giovanni Paolo II ad Agrigento, il 9 maggio 1993, fino alle recentissime parole di Benedetto XVI, che a Palermo ha definito la mafia “una strada di morte” e ne ha “solennemente dichiarato l’incompatibilità col Vangelo e la vita cristiana”. Ma le denuncie “non bastano”, perché “per sconfiggere la mafia c’è bisogno di un preciso intervento educativo”: “E’ su questo terreno che si gioca il ruolo decisivo della Chiesa nel Sud”.

Bisogna chiamare “le Chiese del Sud a dare il loro essenziale contributo, con la loro pastorale ordinaria, prima ancora che con singole denunzie”, mettendo mano ad “un grande progetto educativo” che “affronti alla radice, partendo dalla formazione delle persone, i problemi culturali”, attraverso “una profonda trasformazione della pastorale”, a partire da un nuovo protagonismo dei laici: “Troppe volte la nostra pastorale è affetta da una schizofrenia che da un lato neutralizza la valenza laica dei fedeli quando si trovano all’interno del tempio e assegna loro esclusivamente un ruolo di vice-preti, ignorando la loro dimensione professionale, familiare, politica; dall’altro, li abbandona, fuori delle mura del tempio, a una logica puramente secolaristica, per cui essi alimentano la loro cultura non attingendo al Vangelo e alla dottrina sociale della Chiesa, ma ai grandi quotidiani laicisti e alla televisione”.

Savagnone ha aggiunto che “forse sorprende e spiazza il fatto che la Chiesa si occupi, oltre che dei problemi più strettamente connessi alla sfera etica, come sono quelli della biomedicina e della famiglia, in cui sarebbero ravvisabili in modo esclusivo i ‘valori non negoziabili’, anche di quelli relativi agli assetti sociali e politici”. Un “merito” del documento dei vescovi “Chiesa e Mezzogiorno” è “di aver sottolineato che alla Chiesa sta a cuore non soltanto la vita nel momento del suo concepimento o in quello terminale, ma anche ciò che sta tra questi due momenti estremi. Anche la solidarietà è un valore non negoziabile, come lo è la sorte di tutti i deboli e gli esclusi. È a questo titolo che la Chiesa si occupa della questione meridionale”. Quindi non si tratta ha puntualizzato Savagnone, “di invitare la comunità ecclesiale nazionale a occuparsi di una parte malata”, cioè il Sud, perché “lo sviluppo del Sud  è indispensabile a quello dell’intera nazione”. Dunque “bisogna curare uno sviluppo più armonico dell’intera nazione”.

 
 
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