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giovedì 12 settembre 2024
 
Dopo la sentenza Cedu
 

L'ergastolo ostativo, che cos'è, da quando esiste, perché fa discutere

09/10/2019  La Grand Chambre della Corte europea dei diritti dell'uomo dà torto all'Italia in tema di ergastolo ostativo, la norma che impedisce a mafiosi e terroristi che non collaborano di accedere ai benefici penitenziari. Vediamo i dettagli e le reazioni.

La Grand Chambre della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, emanazione del Consiglio d’Europa, ha respinto il ricorso dell’Italia contro la “sentenza Viola” emessa dalla Corte Europea lo scorso giugno. In giugno la Corte aveva dato ragione – non riconoscendogli però risarcimento ma solo il ristoro delle spese processuali – a Marcello Viola condannato a quattro ergastoli per omicidi plurimi di matrice mafiosa, occultamento di cadavere, sequestro di persona e detenzione di armi, stabilendo che l'ergastolo  ostativo, in vigore in Italia da dopo le stragi di mafia del 1992viola l'articolo 3 viola l’articolo 3 della Convenzione Europea sui Diritti umani in merito a divieto di “trattamenti inumani e degradanti”.

Che cos'è l'ergastolo ostativo

Fa riferimento all’articolo 4 bis del codice dell’ordinamento penitenziario che esclude, in automatico, i benefici di legge (permessi premio, semilibertà, lavoro esterno etc) per condannati all’ergastolo per particolari reati (omicidi collegati ad associazione mafiosa e terrorismo in particolare, più di recente è stato esteso alla pedopornografia al traffico di stupefacenti e poche altre fattispecie), se i condannati non danno un segno di rottura con l’organizzazione criminale di riferimento tramite collaborazione con la giustizia, a meno che non si verifichi una situazione di collaborazione impossibile.

Che cosa ha detto la Cedu

  

La Corte europea eccepisce sull’automatismo che lega la concessione dei benefici alla collaborazione con l’autorità giudiziaria, sostenendo che in questo modo si negherebbe la possibilità di dimostrare un ravvedimento anche per vie diverse dalla collaborazione. «Lo Stato», dice la Cedu, deve mettere a punto, preferibilmente su iniziativa legislativa, una riforma del regime della reclusione a vita che garantisca la possibilità di un riesame della pena». Riesame che, si legge nella sentenza, «permetterebbe alle autorità di determinare se, durante l'esecuzione della pena stessa, il detenuto si sia evoluto e abbia fatto progressi tali» da non giustificare più, legittimamente, «il suo mantenimento in detenzione». La Corte, inoltre, «pur ammettendo che lo Stato possa pretendere la dimostrazione della 'dissociazionè dall'ambiente mafioso», evidenzia «che tale rottura può esprimersi anche in modo diverso dalla collaborazione con la giustizia» e senza l'automatismo legislativo attualmente vigente.

Quali conseguenze immediate ha la decisione della Cedu

Le decisioni della Cedu non sono esecutive, non cambiano le leggi dello Stato su cui giudicano, ma sono vincolanti nel senso che vincolano il Governo dello Stato e il Parlamento a rimettere mano alle leggi censurate dalla Corte Europea. Saranno i titolari del potere legislativo italiano (Camere e Governo con progetti e disegni di legge) per rivedere la norma, cercando una strada per contemperare le proprie esigenze di sicurezza con quelle dei diritti indicati dalla Cedu. Nel frattempo l’effetto immediato potrebbe essere un aumento significativo di ricorsi alla Cedu da parte di ergastolani ostativi, che con il precedente Viola, avranno la pressoché certezza di essere accolti. Questo non significa che Viola e i suddetti ergastolani verranno automaticamente liberati, la Cedu non ha il potere di farlo. Ma accogliendo ricorsi può sanzionare ripetutamente lo Stato riconosciuto inadempiente.

In attesa della Corte Costituzionale

  

Intanto il 22 ottobre la Consulta dovrà pronunciarsi su una eccezione di costituzionalità a proposito della medesima legge: il giudice ordinario ha infatti posto. a proposito del caso Cannizzaro, al suo vaglio la compatibilità dell’ergastolo ostativo, nel punto in cui impedisce in automatico l'accesso ai permessi premi per chi non collabora, con l’articolo 27 della Costituzione che dice che Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Sul tema dell'ergastolo la Corte costituzionale si è già pronunciata più volte difendendo in generale la costituzionalità dell’ergastolo semplice e ostativo (n.264/1974, n.135/2003); ma ha mostrato “aperture” riguardo ad aspetti specifici e con la sentenza 149/2018 ha dichiarato un’illegittimità costituzionale per l’ergastolo ostativo in un caso molto particolare e dunque statisticamente raro.

Che cosa può accadere ora

La modifica legislativa potrebbe intervenire sull’automatismo della negazione dei benefici, rimettendo al giudice di sorveglianza la decisione caso per caso sulle richieste.

Le reazioni alla decisione della Cedu

  

La decisione della Cedu ha generato reazioni contrastanti: ha trovato il plauso di associazioni come Antigone e Nessuno tocchi Caino che da sempre si battono per i diritti dei detenuti, ha trovato il favore dell’ex magistrato Gherardo Colombo, che da tempo dubita della costituzionalità dell’ergastolo e da tempo esprime perplessità per i meccanismi premiali che incentivano la collaborazione con la giustizia e dell’ex senatore Luigi Manconi, da sempre impegnato sul tema, di Valerio Onida, ex Presidente della Corte Costituzionale, che ritiene l’automatismo contrario alla Costituzione. La decisione ha trovato com’è prevedibile la contrarietà di molte vittime di mafia, ma non solo la loro. La decisione preoccupa infatti molti magistrati e studiosi che lavorano, o hanno lavorato, sul fronte della criminalità organizzata: tra i tanti hanno manifestato pubblicamente le loro perplessità Gian Carlo Caselli, ex procuratore di Palermo, Franco Roberti ex Procuratore Nazionale antimafia, Antonino Di Matteo, sostituto procuratore presso la Procura Nazionale Antimafia, Nicola Gratteri procuratore di Catanzaro, Federico Cafiero De Raho procuratore nazionale antimafia, Francesco Lo Voi, procuratore di Palarmo, ma anche studiosi come Enzo Ciconte. Cauto il parere di Cesare Mirabelli, ex presidente della Consulta interpellato da Agensir: "La Corte ha stabilito che non possa esserci un divieto così assoluto che non consenta al giudice di valutare se effettivamente la pericolosità è venuta meno perché non c’è più appartenenza alla cosca mafiosa. Mentre la collaborazione alla giustizia significa in sé che la persona ha abbandonato la cosca mafiosa ed è in contrasto con la stessa, la prova che questo si sia verificato anche senza collaborazione dovrà essere fornita dal condannato. In sostanza, si deciderà caso per caso, sotto la responsabilità del giudice dell’esecuzione penale. Rispetto a questo aspetto, la decisione è condivisibile e non sconvolgente, purché non ci sia un atteggiamento lassista, attribuendo benefici a persone che hanno capeggiate cosche mafiose e continuano sostanzialmente a gestirle".

Le preoccupazioni dei magistrati antimafia

La principale obiezione che viene dagli esperti di criminalità organizzata, non è morale ma tecnica, verrebbe da dire pragmatica, e, lasciando in ombra la parte che riguarda il terrorismo e altri gravi reati, trova argomento nella specificità del caso italiano della presenza pervasiva delle mafie in numerose regioni: il tema della contrarietà non sta tanto nella gravità dei reati commessi, quanto nella constatazione, condivisa dagli esperti, della singolarità e della forza del vincolo associativo interno alla struttura gerarchica mafiosa. Stipulato con un formale rito di affiliazione mafiosa, il vincolo si rompe – anche per stessa ammissione dell’associazione – in due soli modi: con la collaborazione con lo Stato o con la morte. Il rischio che vedono i magistrati antimafia, nello spazio aperto dalla Cedu, non è soltanto quello di veder diminuire le collaborazioni che l’ergastolo ostativo ha incentivato e che sono state decisive per conoscere a fondo le dinamiche del fenomeno mafioso, quanto il rischio che l’ammissione, pur non automatica ai benefici, finisca per perpetuare il vincolo tra la persona detenuta e non collaborante e l’associazione cui è legata, che il capomafia continui cioè a restare tale anche in carcere e che riprenda il suo ruolo alla prima uscita, non avendo spezzato il vincolo nel solo modo che le mafie riconoscono: il passaggio dalla parte dello Stato con la collaborazione. In questa ottica, i tecnici parlano malvolentieri di “pentiti”, parola che attiene a una questione morale, ma piuttosto di collaboratori di giustizia, persone cioè che, ravvedute o meno, fanno un patto con lo Stato che le rende inaffidabili per la propria organizzazione. La perplessità principale dei magistrati antimafia riguardo alla decisione Cedu, riguarda proprio questo aspetto: la possibilità che si possa dimostrare una forma di dissociazione alternativa in assenza di collaborazione.

 
 
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