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lunedì 09 settembre 2024
 
intervista
 

Claudio Santamaria: «Porto in Tv l’epopea del giornale che sfidò Cosa Nostra»

08/06/2022  Su Canale 5 l'attore interpreta il direttore de "L'Ora" di Palermo che scrisse per primo la parola mafia: «Vittorio Nisticò, alla guida di un gruppo di giornalisti bravi e d’assalto, ha saputo fare scuola mettendo davanti a tutto l’amore per la verità e difendendo la democrazia»

La parola mafia sui giornali siciliani degli anni Cinquanta e Sessanta non esisteva. La catena di morti ammazzati che scandivano la vita di Palermo venivano presentati, con sprezzo del ridicolo, come inspiegabili “incidenti” accompagnati da titoli lunari: “Commerciante ucciso a sorpresa”, e magari era uno a cui avevano staccato la testa con due colpi di lupara. “Regolamento di conti nella malavita”, ed era una strage con una famiglia intera (e innocente) trucidata perché aveva visto cose che non avrebbe dovuto vedere.

Finché un giorno un piccolo giornale del pomeriggio e il suo direttore, un calabrese coriaceo e testardo arrivato in Sicilia da Roma, decisero di raccontare la verità. La mafia non solo esisteva ma sparava, faceva affari con pezzi dello Stato, intimidiva i cittadini onesti, chiedeva il pizzo a imprenditori e commercianti. Dava “pane e morte”, come il titolo della storica inchiesta a puntate (con nomi e cognomi, da Pippo Calò a Luciano Liggio) del 1958 che costò al giornale un attentato dinamitardo ma che ne accrebbe immediatamente il prestigio nazionale e internazionale.

La storia de L’Ora di Palermo e della ventennale, storica direzione di Vittorio Nisticò, dal 1954 al ’75, arriva in prima serata l’8 giugno su Canale 5 con L’Ora, inchiostro contro piombo, una serie Tv in cinque puntate diretta da Piero Messina, Ciro D’Emilio e Stefano Lorenzi e tratta dal libro Nostra Signora delle Necessità (Einaudi) di Salvo Sottile.

A interpretare Nisticò è l’attore Claudio Santamaria: «Quel direttore fu un rivoluzionario, si mise alla guida di un manipolo di giovani cronisti e rivoltò tutto». Nisticò arriva a Palermo a soli trentacinque anni. Da notista politico nei corridoi della Camera, dove aveva uno speciale rapporto di amicizia con Aldo Moro, all’isola che neppure conosceva, pur essendo uomo del Sud.

L’Ora era stato fondato nel 1900 dai Florio, dinastia di imprenditori e armatori geniali ma dissipatori, e da un altro mitico direttore, Vincenzo Morello, che si firmava “Rastignac”. Nella decadenza seguita a un inizio scintillante (sulle sue pagine scrivevano intellettuali come Matilde Serao e Vincenzo Scarfoglio) era finito in mano all’Editrice dei giornali fiancheggiatori del Pci guidata da Ugo Terenzi, abile e disinvolto manager comunista dell’epoca togliattiana. Ma a Nisticò le tessere di partito, inclusa quella del Pci, non interessavano: chi sapeva fare il mestiere – sul campo a cercare notizie e non dietro la scrivania – era il benvenuto. L’approccio di Nisticò fu politico ma non nel senso di addentrarsi nel groviglio dei rapporti interni alla Democrazia Cristiana, che governava indisturbata l’isola da decenni, ma di capire il potere dell’altra forza sotterranea, quella mafiosa.

Una scena della serie Tv L'Ora

Come si è preparato a interpretare questo personaggio?

«Ho letto molti libri e articoli. Noi raccontiamo l’arrivo di Nisticò (che nella fiction si chiama Antonio Nicastro, ndr) a Palermo dove trova un giornale in crisi di vendita e con un gruppo di giornalisti inerti e rassegnati. Appena arrivato, decide che le veline di partito non sono sufficienti a fare il giornale che immaginava e rivolta tutto, da cima a fondo, rendendolo il primo baluardo dell’informazione contro la mafia. È il primo a fare le inchieste sui boss e a scrivere la parola mafia quando nessuno in Sicilia osava pronunciarla. Prende in mano un gruppo di giornalisti giovani e spericolati e compie una rivoluzione».

Il primo ad arrivare in redazione, da Corleone, è un giovane cronista come Cosimo Cristina, interpretato da Giovanni Alfieri, che indaga sull’omicidio del sindacalista Salvatore Carnevale.

«È un ragazzo giovane segnato da un grande idealismo che può apparire ingenuo e invece Nisticò vede in lui un cronista capace e lo lascia indagare. Intanto la redazione viene abbandonata da molti giornalisti, soprattutto quelli più fedeli alla linea del partito, per lasciare spazio ai colleghi più agguerriti».

Tra cui Mauro De Mauro, che verrà rapito da Cosa Nostra.

«Veniva dalla destra ma al direttore non interessava la sua provenienze politica. Questo per me è giornalismo, questa è stata l’esperienza de L’Ora. Un vero giornalista insegue la notizia. De Mauro si sente accolto nel giornale e inizia a indagare su questioni molto delicate come il caso di Enrico Mattei e quell’inchiesta molto probabilmente segnerà il suo destino. Al regista Franco Rosi che lo aveva contattato per fare un film su Mattei dirà: “Ho scoperto cose incredibili”. E poi scompare».

Di Nisticò si è raccontato molto, fin quasi a mitizzarlo. Chi era veramente?

«Un uomo che metteva davanti a tutto l’amore per la giustizia e la verità per la difesa della democrazia, che in Sicilia in quegli anni vacillava pericolosamente, dei più deboli e non scende a compromessi con nessuno, né con i mafiosi, né con i loro amici che con i boss facevano affari. Era un burbero a fin di bene, capace di fare “scuola” a tanti giornalisti che poi sono diventati grandi firme. L’epopea de L’Ora ci riporta a un giornalismo puro che oggi viene distorto dal divismo e dalle questioni personali. Si vedono molto spesso giornalisti famosi che si attaccano in Tv entrando anche in questioni personali e questo è avvilente».

Qual era il suo metodo di lavoro?

«Si ritrova in un far west dove si sparava ogni giorno ma lui dice ai suoi ragazzi che gli omicidi non dovevano solo essere raccontati e documentati, che già era una novità assoluta, ma anche collegati l’uno con l’altro, partendo dalle persone coinvolte. Capire non solo chi aveva sparato ma i mandanti e chi, da quel sangue, traeva beneficio. All’inizio c’è una scena dove un principe si avvicina a Nisticò e dice: “Qui da noi la verità è come la nebbia, più ti ci avvicini e più non vedi niente”. Il direttore reagisce con coraggio per cercare di risvegliare l’opinione pubblica mentre i corleonesi di Totò Riina iniziano a prendere il sopravvento».

Oggi la mafia non spara più e dopo le stragi di mafia degli anni Novanta sembra che sia subentrata una certa indifferenza anche nell’opinione pubblica.

«Questa serie racconta di uomini che hanno lottato per la libertà, anche nostra. Ed è anche un omaggio a chi, come i giornalisti free lance, continuano a fare questo mestiere nell’ombra e tra molti pericoli come le zone di guerra».

 
 
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