La santità cammina tra i vicoli di Napoli. Accoglie una donna straniera che non si è nascosta dietro la sua posizione sociale ma al contrario «si è calata nei problemi della gente diventando una buona testimone del Vangelo insegnandoci che ogni terra è da amare e rispettare, che non c’è straniero se c’è il Vangelo di Gesù Cristo, non vi è estraneo o rifugiato o di cultura diversa o di razza diversa se si è uniti a Gesù Cristo». È così che l’arcivescovo di Napoli, monsignor Domenico Battaglia, presenta alla città la figura della nuova Beata Maria Lorenza Longo, fondatrice delle monache Clarisse Cappuccine del monastero di Santa Maria in Gerusalemme di Napoli, detto “Le Trentatrè” e dell’ospedale più antico della città.
Una presentazione che, nel giorno in cui si parla di un muro per arginare i flussi migratori ai confini d’Europa, ci ricorda quanto la sua figura sia attuale e significativa. Una donna che scelse di dedicare la sua vita alle opere di carità, necessarie oggi come nel Cinquecento. «La vera misura della fede è la carità, ed è dalle opere che è possibile verificare sia la vitalità della fede sia la verità dell’ascolto della Parola di Dio e la sua osservanza», ha detto il cardinale Marcello Semeraro, Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, che ha presieduto la solenne celebrazione eucaristica e il rito di beatificazione nel Duomo partenopeo. Il nome della Beata Maria Lorenza Longo è infatti «il primo che ho sottoposto all’approvazione del Papa dalla mia nomina di Prefetto della Congregazione, sono felice di iniziare questo mio compito con la poliedrica figura della Beata Maria Lorenza Longo in questa chiesa che, da figlio del Sud, dico è un punto di riferimento».
Nata in Spagna intorno al 1463 da una famiglia nobile, Maria Llorença Requenses, sposò nel 1483 Joan Llonc, vicereggente della cancelleria di Ferdinando II d’Aragona. Durante il matrimonio Maria Llorença Requenses Llong fu avvelenata da una serva riportando una paralisi agli arti. Nonostante la malattia seguì suo marito, insieme a tutta la famiglia, a Napoli. Rimasta vedova con tre figli, si recò in pellegrinaggio a Loreto, dove avvertì una prodigiosa guarigione. Così per esprimere la sua fede, scelse di chiamarsi Maria Laurenzia (o Lorenza) e vestì l’abito da terziaria francescana.
La sua causa di beatificazione è iniziata nel 1800 ma cadde nel dimenticatoio. Fino al 2004 quando casualmente nella diocesi di Napoli, in un archivio, vennero ritrovati i documenti che attestavano la prodigiosa guarigione nel 1881 di una monaca cappuccina, suor Cherubina Pirro, per intercessione proprio di madre Longo. Nel 2015 durante la visita pastorale di papa Francesco a Napoli fu proprio la badessa del Monastero delle Trentatrè a ricordare al Pontefice la causa che è andata avanti e nel 2017 è stato promulgato il decreto di riconoscimento delle virtù eroiche di Lorenza Longo fino ad arrivare alla beatificazione. «Fu sposa, madre, laica consacrata alla carità, monaca contemplativa e in tutti questi stati di vita fu sempre in ascolto della voce di Dio che la chiamava ad essere posatrice della voce di Cristo - ha aggiunto il cardinale Semeraro - e la Beata Maria Lorenza si lasciò lavorare dalla Grazia per comprendere non solo che cosa doveva fare ma come avrebbe potuto far proprio il progetto di Dio per lei».
Con le sue opere di carità ed il suo carisma, la sua figura, oggi, incarna perfettamente l’essere umani nei confronti del prossimo, in altre parole quell’esigenza di aiuto che chi è in grado dovrebbe rivolgere agli ultimi. E proprio per far fronte alle richieste di aiuto che Madre Maria Lorenza Longo volle fondare un ospedale. Sacrificando i suoi beni fece costruire tra il 1519 e 1521 l’Ospedale di Santa Maria del Popolo conosciuto a Napoli con l’appellativo di “ospedale degli Incurabili” perché vi si dedicava soprattutto all’assistenza, sanitaria e umanitaria dei cosiddetti malati incurabili.
«Lei ha dimostrato che l’amore è più potente di qualsiasi medicina umana. La creazione del primo ospedale cittadino è il segno concreto di questo amore, il prendersi cura degli altri, chinarsi su chi nessuno vede o vuole toccare su chi fa paura perché diverso è la grande lezione che ci dona - spiega l’arcivescovo Battaglia - La carità la fa stare accanto alle donne dedite alla prostituzione, non si è vergognata di accostarle e aiutarle. Oggi come ieri c’è bisogno di operare la carità per quelle donne per debellare i nuovi traffici della carne umana, per debellare la prostituzione sotto ogni aspetto e per sopperire alle nuove povertà. La forza per fare tutto ciò è la preghiera».
“Un tantillo di fede mi ha salvata” disse poco prima di morire la beata Maria Lorenza Longo. Quasi 500 anni dopo quel “tantillo” tradotto dal napoletano, un pochino, di fede ha salvato intere generazioni di popoli. Lo sanno bene le monache Clarisse Cappuccine che, dall’altare, attraverso la voce di suor Rosa Lupoli, vicepostulatrice della causa di beatificazione e badessa del monastero di Santa Maria in Gerusalemme hanno donato a tutta la chiesa la gioia di questa beatificazione: «Dalla gioia condivisa di oggi comincia una nuova storia».