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venerdì 24 gennaio 2025
 
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Il cardinale Pizzaballa: «Conoscere la Parola di Dio in una terra dove viene strumentalizzata è importante. A Gaza si soffre la fame»

25/11/2024  Il Patriarca latino di Gerusalemme: «In Terra Santa la strumentalizzazione del testo sacro è anche fonte di divisioni e lacerazioni. Questo è un progetto coraggioso che investe sulla presenza, sempre più esigua, dei cristiani in Medio Oriente. Nella Striscia la gente soffre la fame, noi facciamo quel che possiamo ma la diplomazia internazionale ha fallito e non ci sono spiragli di futuro»

La Bibbia non è solo attuale ma eterna. In questo testo, sacro per l’ebraismo e il cristianesimo e importante per l’islam, affondano le radici anche alcuni conflitti che oggi dilaniano il Medio Oriente. Alla Bibbia non è estraneo l’intreccio incandescente fra religione e violenza e il fondamentalismo, “la lettera che uccide”, un fenomeno che oggi riguarda soprattutto il mondo musulmano, ma che si inscrive anche nella tradizione ebraico-cristiana. «Tutto quello che riguarda il testo biblico e la sua interpretazione non è mai stata secondario in questa terra», afferma il cardinale Pierbattista Pizzaballa, Patriarca latino di Gerusalemme e dal 2004 al 2016 Custode di Terra Santa.

Eminenza, cosa vuol dire pubblicare la Bibbia in lingua araba, corredata da un lavoro di esegesi e commento molto ricco e articolato, in un momento in cui il Medio Oriente è lacerato da un conflitto che tiene il mondo con il fiato sospeso?

«Non è una novità che soprattutto in questa terra la Parola di Dio sia stata in molti casi fonte di lacerazione, anche se oggi le dimensioni dello scontro sono superiori rispetto al passato. Questa nuova versione del testo è molto importante perché rappresenta uno strumento appropriato per i fedeli di questi luoghi dove la Bibbia è stata scritta. Un altro aspetto importante è quello che riguarda la fuga dei cristiani dal Medio Oriente di cui si parla tanto. Questo è un progetto coraggioso che investe sulla presenza dei cristiani in questi territori e che invece di limitarsi a prendere atto di un fenomeno, o di lamentarsi, fa qualcosa di costruttivo perché avere a disposizione uno strumento che aiuta a conoscere e approfondire la parola di Dio, aiuta anche a conoscere e approfondire la propria identità, fede e relazione con gli altri. Tutto questo, nel dramma che stiamo vivendo, è un elemento significativo e da non trascurare».

La Bibbia, ieri come oggi, è sempre stata strumentalizzata per rivendicare diritti e farsi la guerra.

«Soprattutto in questo territorio. Ci sono movimenti messianici ebraici, ad esempio, che la utilizzano per giustificare l'annessione dei territori. Il fatto che il testo sacro venga facilmente strumentalizzato rende ancora più urgente e importante il bisogno di conoscerlo a fondo. Questo vale anche per i fedeli laici e non solo per il clero. L’anno scorso abbiamo iniziato a tenere corsi di formazione biblica in arabo rivolti a laici e sono affollatissimi perché molte persone avvertono il desiderio profondo, al di là delle letture liturgiche, di capire e approfondire in maniera sistematica il testo biblico».

Il cardinale Pierbattista Pizzaballa, 59 anni, durante una celebrazione nella Basilica del Santo Sepolcro di Gerusalemme (Reuters)

Più volte ha detto che in Medio Oriente si fa fatica a vedere il futuro in questo momento. Come si vive oggi?

«La situazione è drammatica. Si parla tanto di escalation, ma almeno qui in Terra Santa, a Gaza e nella West Bank (i territori della Cisgiordania sulla sponda occidentale del fiume Giordano, occupati da Israele assieme a Gaza dopo la guerra dei Sei giorni del 1967, ndr) mi chiedo cosa ci sia da scalare ancora. Nella Striscia di Gaza c’è una situazione gravissima e dal mio punto di vista anche inaccettabile per quello che sta accadendo, soprattutto nel nord, dove la popolazione sta morendo letteralmente di fame. In tanti anni qui ho visto molti problemi ma la fame così, mai».

Cosa si sta facendo?

«Nei giorni scorsi siamo riusciti a introdurre sessanta tonnellate di viveri nel nord di Gaza che abbiamo distribuito a circa quattromila famiglie. La nostra parrocchia della Sacra Famiglia è il punto di riferimento per la distribuzione degli aiuti umanitari. La situazione generale è molto grave, sia per la dimensione della distruzione che per l’ampiezza della violenza che non risparmia nessuno. La gente non si sente al sicuro e non c’è chiarezza sulle prospettive future».

A che punto è la diplomazia?

«Se c'è una cosa evidente è che la comunità internazionale con i vari organismi finora non è riuscita a incidere e ottenere nulla per arrivare non dico a un processo di pace ma almeno a prove di dialogo e di negoziato. Al di là delle dichiarazioni, i fatti vanno in direzione totalmente opposta». Le religioni riescono a lavorare sottotraccia per aprire vie di disgelo? «No. Purtroppo, e sottolineo purtroppo, no. La chiesa locale, la Custodia di Terra Santa, le diverse associazioni stanno facendo tutto il possibile dal punto di vista umanitario ma sono gocce nel mare».

Tra poco più di un mese inizia il Giubileo che papa Francesco ha voluto dedicare al tema della speranza. Come vi state preparando?

«Molto spesso, soprattutto quando si parla di Medio Oriente, si vuol fare coincidere la speranza con la risoluzione del conflitto. Non è così. La speranza cristiana, come l’ha descritta il Papa nella Bolla d’indizione dell’Anno Santo, è un atteggiamento della vita, un modo di stare dentro la realtà, anche affrontando situazioni gravi come la nostra. La speranza non viene da fuori, da cosa gli altri devono fare ma è il modo con cui noi ci poniamo di fronte alla vita. La speranza è figlia della fede. Significa rendere presente nella vita, con pazienza e misericordia, ciò che la fede ha messo nel cuore di ognuno. In questa terra, segnata da tanto odio, se la fede ti porta a fare esperienze di amore, di misericordia e di perdono, bisogna, nella propria vita, essere sempre la voce di quello che si è vissuto. La speranza è qualcosa che si realizza fattivamente, non è attendere qualcosa che arriva dall’esterno».

In questo momento, che cosa personalmente le dà speranza?

«A livello istituzionale e diplomatico è tutto ingessato e paralizzato, ma sul territorio le persone – penso alle nostre parrocchie, ai bambini e ai giovani, ai movimenti e alle associazioni – stanno facendo tanto per aiutare chi è in difficoltà. Ci sono molte voci coraggiose, sia israeliane che palestinesi, che denunciano quello che sta accadendo. Sono voci di verità. Tutto questo mi dice che, nonostante tutto, c'è ancora qualcuno in questa terra martoriata con il quale si può ricostruire».

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