Non hanno paura di porre le domande gli studenti cattolici di Lovanio la Nuova. Nella sede francofona, di più giovane fondazione rispetto a quella storica in cui il Pontefice ha incontrato i docenti, consegnano a Francesco una lunga lettera con molte domande. Una su tutte, partendo dalla Laudato si’ su «cosa significa per la Chiesa cattolica la nozione di “sviluppo integrale”». Chiedono, i ricercatori, se «la Chiesa è pronta a utilizzare questa nozione in una prospettiva intersezionale. In altre parole, tenendo conto delle disuguaglianze di classe, genere e razza». Secondo gli studenti «L’appello allo sviluppo integrale ci sembra incompatibile con le posizioni sull’omosessualità e sul posto delle donne nella Chiesa cattolica. Caro Papa Francesco», scrivono, «dov’è il posto delle donne nell’Enciclica? Le donne sono le grandi assenti della Laudato si’. Lei potrebbe dire che la questione della “cura” della nostra “casa comune”, la Madre Terra, è una sfida diretta alla vocazione femminile. Ma non è forse così anche per gli uomini? Così facendo, non stiamo ancora vivendo in una divisione ingiusta del lavoro in nome di una presunta propensione “naturale” che porta a una divisione sessuale del lavoro? La teologia cattolica tende a rafforzare questa divisione attraverso la sua “teologia della donna”, che ne esalta il ruolo materno e le proibisce l’accesso ai ministeri ordinati. Qual è dunque il posto delle donne nella Chiesa?».
Il Papa, però glissa, come già aveva fatto ieri sull’analoga questione del sacerdozio femminile posta ieri dal rettore dell’Università di Lovanio. E, mentre incoraggia ad «allargare le frontiere, a essere inquieti e a non spegnere la passione per la ricerca», prova a tessere un dialogo con loro. Al termine dell'incontro un durisismo comunicato stampa "deplora" le parole del Papa e sototlinea che, sulla questione degli omosessuali e sul ruolo della donna le posizioni restano distanti.
In mattinata, dopo l’incontro nella Basilica di Koekelberg, recandosi nella cripta reale, sottostante la Chiesa di Nostra Signora di Laeken, dove sono raccolte le tombe di molti membri della Casa Reale del Belgio, fermandosi davanti alla tomba di re Baldovino, ha elogiato apertamente il suo coraggio, quando scelse di «lasciare il suo posto da Re per non firmare una legge omicida». Nel 1992, infatti, aveva abdicato per 36 ore per non firmare la legge che consentiva l’aborto oltre le 12 settimane di gestazione. Il Papa invita i belgi a ricordare quel re in questo momento in cui si fanno strada «leggi criminali». Su alcuni temi però la distanza tra le parole del Pontefice e la società belga è palpabile. Dopo lo scoppio dello scandalo sugli abusi, nel 2010 e via via sempre di più i cittadini hanno cominciato ad allontanarsi dalla pratica religiosa tanto che oggi appena il 22 per cento dei nuovi nati viene battezzato.
Francesco, comunque, non si scoraggia. Anzi, nelle parole dei giovani sente «passione e speranza, desiderio di giustizia, ricerca di verità». Riprende le considerazioni sull’ambiente e sul male «che distrugge l’ambiente e i popoli». Il Papa parla della guerra e «in un Paese che non nomino», spiega, «gli investimenti che danno più profitto sono quelli sulla produzione delle armi».
«La guerra è la sua espressione più brutale; come lo sono anche la corruzione e le moderne forme di schiavitù. A volte questi mali inquinano la stessa religione, che diventa uno strumento di dominio. Ma questa è una bestemmia. L’unione degli uomini con Dio, che è Amore salvifico, diventa schiavitù. Persino il nome del padre, che è rivelazione di cura, diventa espressione di prepotenza. Dio è Padre, non padrone; è Figlio e Fratello, non dittatore; è Spirito d’amore, non di dominio».
Francesco divide il suo discorso parlando di tre atteggiamenti: riconoscenza, missione, fedeltà.
«Riconoscenza, perché questa casa ci è donata: non siamo padroni, siamo ospiti e pellegrini sulla terra. Il primo a prendersene cura è Dio: noi siamo anzitutto curati da Dio, che ha creato la terra – dice Isaia – “non come orrida regione, ma perché fosse abitata”». Il secondo atteggiamento «è la missione: noi siamo nel mondo per custodire la sua bellezza e coltivarla per il bene di tutti, soprattutto dei posteri, il prossimo nel futuro. Ecco il “programma ecologico” della Chiesa. Ma nessun piano di sviluppo potrà riuscire se restano arroganza, violenza, rivalità nelle nostre coscienze anche nella nostra società. Occorre andare alla fonte della questione, che è il cuore dell’uomo. Dal cuore dell’uomo viene anche la drammatica urgenza del tema ecologico: dall’arrogante indifferenza dei potenti, che mette sempre davanti l’interesse economico. Interesse economico, i soldi. Io ricordo sempre una cosa che diceva mia nonna: stai attento nella vita perché il diavolo entra dalle tasche», dice Francesco. «Finché sarà così, ogni appello sarà messo a tacere o verrà accolto solo nella misura in cui è conveniente al mercato. Questa “spiritualità” del mercato. E finché il mercato resta al primo posto, la nostra casa comune subirà ingiustizia. La bellezza del dono chiede la nostra responsabilità: siamo ospiti, non despoti. A questo proposito, cari studenti, considerate la cultura come coltivazione del mondo, non solo delle idee».
Infine la fedeltà, «fedeltà a Dio e fedeltà all’uomo. Questo sviluppo infatti riguarda tutte le persone in tutti gli aspetti della loro vita: fisica, morale, culturale, sociopolitica; e ad esso si oppone qualsiasi forma di oppressione e di scarto. La Chiesa denuncia questi soprusi, impegnandosi anzitutto nella conversione di ogni proprio membro, di noi stessi, alla giustizia e alla verità. In questo senso, lo sviluppo integrale fa appello alla nostra santità: è vocazione alla vita giusta e felice, per tutti».
Ma bisogna scegliere tra l’opzione «tra manipolare la natura e coltivare la natura. A partire dalla nostra natura umana – pensiamo all’eugenetica, agli organismi cibernetici, all’intelligenza artificiale. L’opzione tra manipolare o coltivare riguarda anche il nostro mondo interiore. Pensare all’ecologia umana ci porta a toccare una tematica che sta a cuore a voi e prima ancora a me e ai miei Predecessori: il ruolo della donna nella Chiesa». Il Papa si rivolge alla studentessa che ha presentato la lettera: «Mi piace quello che tu hai detto», insiste. «Pesano qui violenze e ingiustizie, insieme a pregiudizi ideologici. Perciò bisogna ritrovare il punto di partenza: chi è la donna e chi è la Chiesa. La Chiesa è donna, non è il Chiesa, è la Chiesa, la sposa. La Chiesa è il popolo di Dio, non un’azienda multinazionale. La donna, nel popolo di Dio, è figlia, sorella, madre. Come io sono figlio, fratello, padre. Queste sono relazioni, che esprimono il nostro essere a immagine di Dio, uomo e donna, insieme, non separatamente! Infatti le donne e gli uomini sono persone, non individui; sono chiamati fin dal “principio” ad amare ed essere amati. Una vocazione che è missione. E da qui viene il loro ruolo nella società e nella Chiesa». Ma, continua, «ciò che è caratteristico della donna, ciò che è femminile, non viene sancito dal consenso o dalle ideologie. E la dignità è assicurata da una legge originaria, non scritta sulla carta, ma nella carne. La dignità è un bene inestimabile, una qualità originaria, che nessuna legge umana può dare o togliere. A partire da questa dignità, comune e condivisa, la cultura cristiana elabora sempre nuovamente, nei diversi contesti, la missione nella vita dell’uomo e della donna e il loro reciproco essere per l’altro, nella comunione. Non l’uno contro l’altro, questo sarebbe maschilismo o femminismo in opposte rivendicazioni, ma l’uno per l’altro, l’uomo e la donna insieme». E ancora: «Ricordiamo che la donna si trova al cuore dell’evento salvifico. È dal “sì” di Maria che Dio in persona viene nel mondo. Donna è accoglienza feconda, cura, dedizione vitale. Per questo è più importante la donna dell’uomo. Ma è brutto quando la donna vuole fare l’uomo. Apriamo gli occhi sui tanti esempi quotidiani di amore, dall’amicizia al lavoro, dallo studio alla responsabilità sociale ed ecclesiale, dalla sponsalità alla maternità, alla verginità per il Regno di Dio e per il servizio. E non dimentichiamo, lo ripeto, la Chiesa è donna, non è maschio. Voi stessi siete qui per crescere come donne e come uomini. Siete in cammino, in formazione come persone. Perciò il vostro percorso accademico comprende diversi ambiti: ricerca, amicizia, servizio sociale, responsabilità civile e politica, espressioni artistiche...».
Infine chiede di interrogarsi su «come studiare? perché studiare? per chi studiare?». Intanto «come studiare: c’è non solo un metodo, come in ogni scienza, ma uno stile. Ogni persona può coltivare il proprio. In effetti, lo studio è sempre una via alla conoscenza di sé, e degli altri. Ma c’è anche uno stile comune, che si può condividere nella comunità universitaria. Si studia insieme: grazie a chi ha studiato prima di me – docenti, compagni più avanti –, con chi studia al mio fianco, in aula. La cultura come cura di sé comporta una cura vicendevole. Nno c’è la guerra tra studianti e professori, c’è un dialogo, un dialogo a volte un po’ intenso, ma dialogo. Il dialogo fa crescere la comunità studiante».
Secondo: «perché studiare?». C’è «un motivo che ci spinge e un obiettivo che ci attrae. Bisogna che siano buoni, perché da loro dipende il senso dello studio, la direzione della nostra vita. A volte studio per trovare quel tipo di lavoro, ma finisco per vivere in funzione di quello. Diventiamo noi la “merce”, vivere in funzione di lavorare. Non si vive per lavorare, ma si lavora per vivere; è facile dirlo, ma comporta impegno metterlo in pratica con coerenza. Questa parola coerenza è importante per tutti, ma soprattutto per voi studenti. Voi dovete imparare questo atteggiamento della coerenza, essere coerenti».
Terzo: «per chi studiare? Per sé stessi? Per rendere conto ad altri? Studiamo per essere capaci di educare e servire altri, anzitutto col servizio della competenza e dell’autorevolezza. Prima di chiederci se studiare serve a qualcosa, preoccupiamoci di servire qualcuno. Una domanda che uno studente universitario può fare è per chi studio? Per me, per lavorare, per essere utile, per il bene comune? Allora il titolo universitario attesta una capacità per il bene comune».
E parla loro della verità che «è una realtà più grande che ci illumina e ci supera». «Cos’è la verità? Pilato aveva fatto questa domanda. Senza la verità, la nostra vita perde senso. Lo studio ha senso quando cerca la verità, quando cerca di trovarla, con animo critico, per trovarla ci vuole questo atteggiamento di criticità. Lo studio ha senso quando cerca la verità e cercandola capisce che siamo fatti per trovarla.
La verità si fa trovare: è accogliente, è disponibile, è generosa. Se rinunciamo a cercare insieme la verità, lo studio diventa strumento di potere, di controllo sugli altri. Vi confesso che mi rattrista quando trovo nelle diverse parti del mondo università per preparare a guadagnare, ad avere potere. Non serve lo studio senza essere insieme, non serve, ma domina. Invece la verità ci rende liberi. Cari studenti, volete la libertà? Siate ricercatori e testimoni di verità! Cercando di essere credibili e coerenti attraverso le più semplici scelte quotidiane. Così questa diventa, ogni giorno, quello che vuole essere: una Università cattolica! E andate avanti e non entrare nelle lotte o nelle dicotomie ideologiche e non dimenticate la Chiesa è donna e questo ci aiuterà tanto».