«Mi sento un pochino, come dire, stralunato, straniante...». Il cardinale Angelo Giovanni Becciu inizia così una conferenza stampa, convocata a pochi passi dal Vaticano, per raccontare la propria versione della vicenda che ha portato il Papa, ieri sera, a togliergli i diritti legati al cardinalato e farlo dimettere da capo dicastero. Per raccontare, nelle sue parole, «le cose come sono avvenute». Protestare la propria innocenza. Denunciare un «equivoco» sui presunti aiuti a tre suoi fratelli. Contestare l’accusa di conflitto di interessi. E definire «surreale» la situazione che si è creata.
«Mantengo la serenità, rinnovo la fiducia nel Santo Padre. Gli ho promesso fedeltà e in quanto cardinale ho detto che sono pronto a dare la vite per lui: non lo tradirò mai, gli sarò fedele, e sono pronto a dare la vita per lui», ha detto Becciu. «Io non so se sono oggetto di vendetta, è compito vostro – ha detto Becciu ai giornalisti – scoprire se ci sono manovre», ha detto Becciu. Il Papa, gli hanno domandato i giornalisti, a suo avviso si fa manovrare? «Spero di no… oppure gli hanno dato informazioni errate». Il cardinale non si è espresso sull’ipotesi che dietro la motivazione del Papa ci siano anche altre questioni pregresse: «Non lo so, non ho la mentalità del complottista», ha detto. «Certo mi faccio delle domande, ma se non ho prove non accuso nessuno». Durante l’incontro di venti minuti avvenuto ieri sera faccia a faccia, «poverino, lui soffriva a dirmelo. Non mi vedevo ma il colore della mia faccia era bianco, è stato un incontro non molto sereno. Lui era turbato, faceva fatica a dirmi quel che mi stava dicendo». E ai giornalisti che domandavano se abbia l’impressione che il Papa sia un uomo solo al «comando», il cardinale ha risposto: «L’ho trovato in difficoltà, soffriva… ma non lo frequento più come prima, non riesco a percepire il suo vero stato d’animo». Becciu non ha detto di voler incontrare nuovamente il Papa: «Adesso lascio così…». E ancora: «Lascio giudicare al Santo Padre e spero che prima o poi si renda conto che è stato fatto un equivoco». La conferenza stampa convocata all’istituto Maria Bambina è una sfida al Papa? «No, no, assolutamente, non è una sfida al Papa, ho detto che gli manifesto amore e fedeltà, è solo per chiarire: ho avuto una serie di telefonate da parte vostra (dei giornalisti, ndr.), non potevo rispondere ad ognuno, e ho ritenuto giusto che, dato che è diventato un fatto pubblico mondiale, che io esponessi le cose come stanno per aiutare la chiarezza e perché ognuno ha diritto a (protestare, ndr) la propria innocenza». Il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, ha detto Becciu, è stato il primo a chiamarlo questa mattina. E il Papa ha lasciato a Becciu l’appartamento in Vaticano.
«Mi sembra tutto surreale, ma cerco di essere realista», ha detto il porporato, ex Sostituto della Segreteria di Stato, ossia numero tre della catena di comando vaticana. «Fino alle 18.02 di ieri mi sentivo amico del Papa, fedele esecutore del Papa, e poi parlando il Santo Padre mi dice che non ha più fiducia in me. Mi ha raccontato che ha ricevuto una segnalazione dei magistrati che avrei commesso un atto di peculato. Ammetto che il Santo Padre era in difficoltà, soffriva anche lui: io gli dissi, “mi dica, mi dica”. E lui mi ha detto che dalle carte della Guardia di finanza, su richiesta dei magistrati vaticani, risulta che io abbia commesso il crimine o reato di peculato perché quando ero Sostituto ho inviato 100mila euro alla Caritas di Ozieri, poi trasferiti sul conto della cooperativa Spes, di cui è presidente mio fratello. Avrei distratto fondi a favore di mio fratello. Io ho spiegato che 100mila euro è vero che li ho dati alla diocesi di Ozieri, ma è nella discrezionalità del Sostituto usare le somme di un fondo particolare della Segreteria di Stato destinato alla carità. Ricordo che stavo destinando i soldi ai diversi enti, dalla mia diocesi veniva una richiesta di 150mila euro, e io mi sono detto: “In 7 o 8 anni che sono qui non ho mai fatto arrivare un sostegno alla Sardegna”. Nella diocesi ci sono esigenze, problemi di occupazione, ho voluto destinare alla Caritas questo fondo». Il porporato ha ricordato, leggendo il regolamento, che il Sostituto ha la delega per amministrare il fondo della Segreteria di Stato. «Rientrava nella mia discrezionalità. Mi direte: coma mai la tua diocesi? Perché la conoscevo e sapevo che c’erano queste esigenze». Il cardinale ha poi detto: «Conflitto di interessi? Mah, conflitto di interessi, non so: sì, era meglio se non avessi dato i fondi alla diocesi, ma io volevo aiutare la mia diocesi, non tanto mio fratello».
Becciu ha peraltro precisato di non aver ricevuto «alcuna comunicazione» dalla magistratura vaticana: «Io sono pronto a chiarire, tanto più che adesso non c’è più l’obbligo che un cardinale venga esaminato solo dal Papa o da chi egli delega. Sono un cittadino come tutti gli altri, mi chiamino e io sono pronto», ha detto il porporato, che a chi gli domandava se tema di essere arrestato ha risposto: «No perché non penso di aver compiuto alcun reato».
Il Papa ha anche fatto presente, ha riferito Becciu, che c’era una seconda questione, 300mila euro che la Cei ha elargito sempre alla diocesi per aiutare una cooperativa per costituirsi. «Mi si fa debito di aver raccomandato la diocesi. Va bene, avrò telefonato e detto “prendete in considerazione questa che è una bella attività”, dove oggi lavorano 60 operai. Una cooperativa che si dà da fare, ditemi se non potevo spendere una parola in loro favore!».
Becciu ha proseguito il racconto: «Alla fine ho cercato di difendermi. Inizialmente ho avuto un dubbio, “Non è che mio fratello ha speso quei soldi?”. Non ho insistito molto». Dopo l’incontro con Francesco «ho telefonato a mio fratello, al vescovo, e mi hanno detto che “i soldi sono ancora lì nel fondo Caritas, non sono stati utilizzati”. Quindi – ha proseguito Becciu – non capisco come mai vengo accusato di peculato o favoreggiamento ai miei famigliari. Farò sapere al Santo Padre che i soldi sono ancora lì. Forse i magistrati hanno visto movimenti, ma non erano quei fondi. Ma gli ho detto che se non avevo più la sua fiducia mi dimettevo. Lui ha accettato le mie dimissioni e mi ha chiesto di rinunciare anche ai privilegi del cardinalato. Ho detto “va bene”. Poi ho visto che nel comunicato si citando i “diritti e i doveri” del cardinalato, quindi non potrò entrare in Conclave, non potrò partecipare a Concistori e cerimonie… accetto, accetto».
Becciu, rispondendo alle domande dei giornalisti, ha affrontato anche le vicende relative ad altri due fratelli che, stando a notizie di stampa smentite nel frattempo dagli avvocati della famiglia Becciu, avrebbero ricevuto degli aiuti dal cardinale. Nel primo caso si tratta di un fratello falegname, e «la storia – secondo il porporato – è questa: quando ero nunzio in Angola stavo ristrutturando la curia e lì i falegnami erano così così. Allora gli ho detto: fammi due porte e mandamele. Tutto qui. Poi quando ero a Cuba mi misi a ristrutturare la nunziatoria, tutti mi compiangevano perché lì era molto difficile trovare il materiale e i muratori. Il materiale doveva venire dall’Italia. Dissi a mio fratello: vieni dall’Italia. Cosa dovevo fare? E’ conflitto di interessi? Chiesi alla Segreteria di Stato, mi finanziarono.». E ancora: «Dove trovavo un falegname? Avrei dovuto fare il giro per i vari falegnami». Poi «lasciai Cuba e anche il mio successore rimase contento. E il Papa stesso quando venne a Cuba mi chiese “chi ha fatto questi lavori”, e io gli dissi che era stato mio fratello. “Avete un bel San Giuseppe in famiglia”, commentò. Ma qui in Vaticano avevo molte possibilità di fare avere lavoro a mio fratello e non l’ho mai fatto. Quando bisognava ristrutturare il monastero di Benedetto, un ingegnere mi disse: suo fratello è falegname, gli faccia fare gli infissi. E io: “No, qui non entra”». Un ulteriore fratello produce birra. «Ma io cosa c’entro?», ha protestato Becciu. «Me l’ha fatta assaggiare, gli ho detto che era buona, ma non ho fatto propaganda per la sua birra: questa è una boutade offensiva. E’ lui che ha i contatti con la Caritas, se ne ha parlato è stato lui stesso, ma io con la Caritas di Roma non ho nessun contatto. Solo perché è fratello di un cardinale non può farlo? Non gli ho dato un soldo né mio né tantomeno dell’istituzione».
Becciu ha smentito di essere a conoscenza di fondi destinati a fondi off shore in paradisi fiscali: «Chi seguiva gli investimenti erano i miei dell’amministrazione. Non mi dicevano la ramificazione di tutti i movimenti». Il prelato ha poi affermato che sui giornali sono apparse «cose non vere» per le quali il suo avvocato valuta anche la querela. «Scopro che Becciu ha reso ricca la sua famiglia: io non ho reso ricca la mia famiglia, potete venire a Pattada e vedere, quante macchine, quali macchine hanno. La vita è continuata normale. Se ho dato soldi è stato solo per l’istituzione, che doveva rendicontare tutto».
L’ormai ex prefetto delle Cause dei santi ha detto che con il Papa ieri non si è parlato della controversa compravendita di un immobile a Sloane Avenue, a Londra, vicenda sulla quale indaga la magistratura vaticana: «Ieri non ne abbiamo parlato per niente. E il Papa mi ha sempre detto: “Io mai ho pensato che lei avesse fatto qualcosa di interessato, di disonesto”. Certo lì abbiamo fatto un investimento ma negli interessi della Santa Sede, non miei o dei miei collaboratori». E «l’obolo di San Pietro non è stato toccato», ha assicurato Becciu: «La Segreteria di Stato ha un fondo che io dovevo far crescere. E’ capitata questa occasione, è andata come è andata… alla fine è lì. Ma l’Obolo non è stato usato».
Sollecitato dai giornalisti, Becciu ha anche chiarito i suoi rapporti con il cardinale George Pell, prefetto emerito della Sgereteria per l’Economia che oggi ha commentato congratulandosi con il Papa per gli eventi di queste ore. «Con il cardinale Pell c’è stato del contrasto professionale perché noi la vedevamo in un modo e lui voleva applicare leggi che non erano state promulgate. Sapevo che lui ce l’aveva con me e un giorno gli ho chiesto udienza. Lui mi ha ricevuto, ha voluto che fosse presente anche il suo segretario. Mi ha fatto un interrogatorio, se io credevo nella riforma, se ero contro la corruzione, se ero con l’Apsa o con la Segreteria… ci siamo lasciati bene. In un'altra occasione, in presenza del Papa, discutevamo di come usare i fondi della Segreteria di Stato, io davo dei suggerimenti e lui a un certo punto mi ha tacitato: “Lei è un disonesto”, ha detto, e io lì ho perso la pazienza. Gli ho detto che i miei genitori mi hanno insegnato l’onestà e che disonesto è il peggior insulto che mi si poteva fare. Il Papa alla fine mi ha detto “hai fatto bene”. Ma ricordo anche che quando Pell tornò in Australia (per difendersi in tribunale dalle accuse di pedofilia, ndr.), io gli ho scritto un biglietto così: “Cara Eminenza, malgrado i contrasti professionali, soffro per queste accuse e da sacerdote mi auguro che verrà pienamente provata la sua innocenza. La saluto e l’abbraccio”. Se Pell è ancora convinto che io sia disonesto non ci posso fare niente». Quando a Libero Milone, ex revisore generale del Vaticano giubilato improvvisamente alcuni anni fa, «eravamo in rapporti buoni, ma voleva andare oltre le regole, e non gli era concesso. Avevo istruzioni che lui non doveva intervenire su quella parte di soldi che gestiva la Segreteria di Stato».