La legge 22 maggio 1978, n. 194 è la normativa che ha depenalizzato e disciplinato le modalità di accesso all’aborto in Italia. È certamente figlia del suo tempo, un tempo che comprende gli anni di piombo, le manifestazioni femministe per l’emancipazione della donna, le manifestazioni abortiste dei radicali che declassavano il feto a “un grumo di sangue” e non a un essere vivente. Un contesto in cui, come spiega Marina Casini Bandini, non è esclusa l’influenza della sentenza statunitense “Roe vs Wade” rovesciata recentemente dalla Corte suprema dopo oltre 40 anni. «Un contesto complesso», spiega la presidente del Movimento per la vita. «Il terrorismo teneva sotto scacco lo Stato e le istituzioni. Nello stesso tempo i radicali all’indomani del referendum sul divorzio cominciarono a premere, con menzogne e strumentalizzazioni, per introdurre la libertà di aborto attraverso un referendum. Il Parlamento si sbrigò ad approvare la legge 194 che riprende la sentenza statunitense nella disciplina tripartita dell’interruzione volontaria della gravidanza. La differenza è che nella sentenza statunitense è espressamente richiamato il “diritto di aborto” nei primi tre mesi di gravidanza, nella legge italiana questo non si dice».
In quali parti è stata applicata la 194 e in quali parti no?
«L’articolo 16 della legge chiede che il ministro della Salute relazioni sull’applicazione della legge anche con riferimento alla prevenzione. Ma della prevenzione post- concezionale (dopo il concepimento) le relazioni ministeriali non hanno mai dato conto, offrendo solo i dati riguardanti le morti e non le nascite. Eppure nella lettera della legge c’è una “preferenza per la nascita”: è tenue, ma c’è. Evidentemente la prevenzione quando il figlio è nel grembo della mamma non è un obiettivo della legge».
La legge 194 dice di mettere in atto interventi speciali nei confronti delle mamme in gravidanza, per aiutarle a portarla avanti. Succede davvero questo?
«Questo sarebbe ai sensi dell’art. 2 uno dei compiti dei consultori, ma anche su questo le relazioni ministeriali tacciono. Certo, in qualche caso grazie a delle convenzioni con i Cav, dovute soprattutto all’impegno e alla buona volontà dei volontari, questa parte della legge non è caduta nel vuoto. Tuttavia il fatto che le relazioni non ne parlino lascia pensare che ci sono delle parti della legge scritte più per “bellezza” che per convinzione e tra queste anche la parte riguardante gli “interventi speciali”».
Come funzionano i consultori oggi riguardo la richiesta di una donna di abortire?
«Si registra una decadenza dei consultori per il sostegno alla vita nascente. Solitamente quando una donna si rivolge a un consultorio perché di fronte a una gravidanza difficile o non attesa, le viene dato quasi in automatico il documento per accedere all’aborto. È vero che la legge prescrive che venga fatto un colloquio, offerte alternative, proposte soluzioni per rimuovere le cause, ma non sono previsti riscontri a tutto questo e di fatto il clima è quello di assuefazione. In un sistema in cui l’aborto è legale e la legge non è immediatamente modificabile, sarebbe fondamentale attuare la difesa del diritto alla vita attraverso la cultura, l’educazione, il consiglio e la condivisione concreta delle difficoltà che orientano la donna verso l’aborto. In questa prospettiva sarebbe urgente la riforma dei consultori familiari in modo da renderli efficace strumento di tutela del diritto a nascere e di una reale tutela della maternità durante la gravidanza».
L’obiezione che senza la legge molte donne sarebbero morte negli aborti clandestini ha un suo fondamento?
«Questa è una delle tante menzogne che sono state diffuse per avallare la legge. Fu detto e scritto che ogni anno oltre 20.000 donne in età fertile morivano per aborto clandestino, invece l’Istituto Centrale di Statistica riferiva, per esempio, che nel 1974 le donne in età feconda morte per qualsiasi causa (dall’incidente stradale al tumore) furono 9.914 e solo 409 per cause legate alla maternità, non all’aborto provocato».
È auspicabile un dibattito per riformare o cancellare la legge?
«Sì, anche se purtroppo è subentrata una assuefazione alla 194. Ma per cambiarla bisogna prima cambiare la cultura. È necessaria la consapevolezza collettiva che il figlio appena concepito è uno di noi, un essere umano, un soggetto, un uguale in dignità e diritti. Così salviamo vite umane, consolidiamo il coraggio delle donne e ci avviciniamo al cambiamento della legge 194».