Ci sono tutti i soggetti, in questa storia: gli imprenditori, le banche, i politici, i mafiosi veri e propri, la gente comune che fa finta di non sapere, di non accorgersi che la 'ndrangheta è da tempo arrivata in tutte le Regioni italiane. Anche se è in Lombardia che fa più "cassa". Volgendo a suo favore anche la crisi economica che sta devastando il Paese. Non abbiamo imparato la lezione di Carlo Levi quando spiegava che, se non si fosse risolta la questione meridionale, tutto il Paese sarebbe diventato Meridione. Né abbiamo dato ascolto a Sciascia che ammoniva sulla linea della palma (cioè il clima che fa crescere la pianta) che stava spostandosi verso il Nord. Oggi la palma cresce in Lombardia, come dimostrano, senza più ombra di dubbio, le inchieste che quotidianamente ci raccontano di arresti, sequestri di beni, infiltrazioni.
E l’ultima vicenda - il sequestro della banca della ‘ndrangheta, a Seveso (Monza), e le 40 ordinanze di custodia cautelare - mostra ancora di più, se ce ne fosse stato bisogno, che non bastano gli oltre mille chilometri che separano la Calabria dalla pianura Padana per impedire il proliferare dell’organizzazione criminale. Anzi, proprio all’ombra dei silenzi e delle difficoltà ad ammetterne la presenza, la ‘ndrangheta ha fatto quello che le riesce meglio: mimetizzarsi agli occhi del cittadino comune e attaccarsi ai gangli vitali della società e dell’economia. Un’operazione che, per compiersi, ha avuto bisogno di omertà e collusioni, compresi i semplici impiegati delle banche o delle poste . “Tutti gli imprenditori lombardi entrati in relazione con la cosca della 'ndrangheta radicata in Brianza hanno perfetta conoscenza della natura non solo illegale, ma anche mafiosa dell’attività del presunto boss Giuseppe Pensabene e cercano di trarre il maggior profitto dal rapporto illecito che instaurano, contenti di trovare una compiacente sponda ai propri disegni di egemonia economica”, si legge nell’ordinanza firmata dal Gip Simone Luerti su richiesta del pm Giuseppe D’Amico. Agli arrestati la Dda milanese ha contestato l’associazione mafiosa, il riciclaggio, l’usura, l’estorsione, la corruzione, l’esercizio abusivo di credito, l’intestazione fittizia di beni e società. La “banca” sequestrata a Desio, secondo l’accusa, proprio servendosi di questi imprenditori e di impiegati postali e bancari collusi operava per ripulire i proventi di estorsioni e usure. E se una parte di denaro veniva usata per i familiari degli n’dranghetisti in galera, e un’altra veniva fatta transitare verso la Svizzera e San Marino, i fondi più ingenti venivano utilizzati, dicono gli inquirenti, per attività imprenditoriali nel settore edile e per investire in appalti nei lavori pubblici, trasporti, nautica, energie rinnovabili, ristorazione.
In Lombardia si comincia a vedere un film già proiettato in Calabria: una ndrangheta che succhia soldi e potere, che espelle dal mercato le imprese sane, che gestisce fondi e finanziamenti, che strangola l’economia. Per questo l’operazione brianzola ridà un po’ di speranza. Ma non basta il solo impegno delle forze dell’ordine per una guerra che, ormai lo sappiamo, riguarda tutta l’Italia e tutta la società responsabile.