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sabato 15 marzo 2025
 
il racconto
 

I 60 anni della Marcia Perugia-Assisi nel segno di don Milani

09/10/2021  Il tema di quest’anno nasce dall’I care, la provocazione, attualissima, del priore di Barbiana che ha radici nell’impegno per la pace e nella cura del creato come dimostra l’impegno dei ragazzi di Greta. L’organizzatore Flavio Lotti: «Una persona sola che sta male nel corpo e nell’anima non sta in pace, perchè la nostra società ci ha disgregati nella competizione. Fare pace è avere occhi aperti sul mondo ma cominciando da casa propria»

A chi s’affacci a Perugia dal Belvedere Carducci, subito dietro palazzo Cesaroni che ospita la Regione Umbria, nell’aria di vetro di questa giornata tersa e ventosa, la cima tonda del monte Subasio sembra lì a portata di tocco. Assisi è là sotto, ma il controluce del mattino, impedisce di vederla. In linea d’aria a volo d’uccello come negli sfondi del Perugino sembra lì a un tiro. Invece sono 24 chilometri a piedi.

Si torna marciare, anziché limitarsi alla catena umana, distanziata causa Covid nel 2020. Compie 60 anni la marcia da Perugia ad Assisi, per la pace, ideata da Aldo Capitini nel 1961: il tema di quest'anno, dopo lo stop imposto dalla pandemia, prende avvio idealmente da un altro campanile più lontano, dalla strada impervia, nel bosco che tutto mangia, che scende da Barbiana del Mugello sul monte dei Giovi. Là c’è, l’origine dell’I care, scelto come filo conduttore dell’edizione di domenica 10 ottobre. Da lì simbolicamente il 4 settembre giorno della Marcia di Barbiana che ogni anno ricorda don Lorenzo Milani priore di Barbiana, è partita la bandiera arcobaleno, simbolo di pace. Il tema della cura si declina con “I care”. Significa mi interessa, mi prendo cura: I care è tuttora una scritta rossa sulla porta azzurra della piccola stanza che ospitava don Milani a Barbiana, ma pesa molto di più di quel foglietto appeso con le puntine.

Il legame con la pace è attualissimo: ha radici nella lettera ai Cappellani militari, nella Lettera ai giudici, dov’è maturato, quando non era scontato, il valore morale dell’obiezione di coscienza all’uso delle armi, a costo di rischiare carcere e processi. Ma è anche un motto andato lontano: citato quest’anno anche da Ursula Von del Leyen con l’intento di indicarlo, come modello di futuro, a un’Europa che non si volti di là davanti ai problemi che tutti coinvolgono, dal clima alla pandemia. Un messaggio come un testimone da passare ai giovani e al futuro. Tante le questioni sul tavolo del mondo, per cui urge contrapporre un I care ai numerosi me ne frego: nelle tante anime della marcia, da sempre eclettica e colorata, inclusiva, in cui sensibilità affini ma diverse cercano, cosa che a volte implica qualche sforzo, una sintesi nel denominatore comune, corrono tanti pensieri: il ricordo di Gino Strada, scomparso appena prima che i talebani si riprendessero l’Afghanistan; la solidarietà all'ex sindaco di Riace Mimmo Lucano, cui molti riconoscono dietro innegabili pasticci le buone intenzioni, raggiunto da una sentenza draconiana; la mano tesa ai ragazzi scesi in piazza da tutto il mondo a Milano per chiedere il rispetto della Madre terra da cui dipende il futuro e dell’umanità, che tanto stava a cuore a Francesco d’Assisi e al Papa che porta il suo nome non per caso e che nel suo nome chiede dal primo giorno una Chiesa povera poveri.

I Care si salda con il tema della “cura”, punto di arrivo e di partenza della Marcia 2021, che come sempre non si esaurisce in un giorno ma conclude, oltreché una settimana di incontri e convegni, un percorso lungo: il programma “ho cura 3”, per esempio, 3 perché è al terzo anno di vita, che ha coinvolto le scuole in un percorso di educazione civica che mette al centro la responsabilità come fulcro del cittadino di domani (progetto cui è dedicata la mattinata di sabato 9).

«La Marcia», ha spiegato Flavio Lotti che ne è l’organizzatore, «è preventiva: vuole essere una proposta che ci serve a capire o a far capire che se non cambiamo qualcosa nel modo in cui viviamo insieme, se non affronteremo le grandi sfide che abbiamo davanti, pagheremo tutti il costo dell’individualismo, dell’egoismo che ha guidato tante scelte economiche, politiche personali. Dobbiamo cambiare strada e la direzione da prendere è quella della cura reciproca: non ce la si fa da soli e la prova è nei momenti di difficoltà. Quando stiamo bene possiamo pensare di bastare a noi stessi, quando stiamo male no. Il futuro è nella cura: dell’ambiente, dell’economia, dei giovani, del creato.

La marcia Perugia-Assisi 2021 inaugura il “Decennio della cura”: non fermiamoci all’oggi, progettiamo quello che vogliamo essere tra dieci anni, la marcia sia il cantiere dei cantieri. Servono azioni e decisioni, se non vogliamo fermarci a bla bla». «Dobbiamo cucire», conclude, «la parola cura con la parola pace, due parole piccolissime di cui si abusa, perché viviamo in un tempo difficile: ci sono tante guerre dimenticate, ogni tanto ci arrivano persone in fuga e percepiamo che in qualche parte del mondo c’è un problema. È facile sentirsi crescere dentro un senso d’impotenza davanti alla prospettiva di cambiare il mondo. Con la marcia di quest’anno vogliamo prendere coscienza del fatto che c’è qualcosa di importante che possiamo fare anche noi ogni giorno, nel piccolo di ciascuno, per fare pace: questo qualcosa è prenderci cura gli uni degli altri: una persona sola che sta male nel corpo e nell’anima non sta in pace, perchè la nostra società ci ha disgregati nella competizione. Fare pace è avere occhi aperti sul mondo ma cominciando da casa propria. La cura è il nuovo nome della pace, questa è l’idea che vogliamo diffondere: togliamo la pace dal cielo dell’utopia, chiediamoci se c’è o non c’è nella nostra vita e cominciamo a farla da lì. Cerchiamo di essere in tanti per rendere contagiose queste pratiche. La cura non è un’idea: o la si fa o non è».

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