Luisa Minoli, presidente della Nostra Famiglia
O “Bosisiolandia”! Sono tanti i soprannomi che vengono dati a un luogo che prima di tutto è di accoglienza e carità; che mette al centro l’attenzione alla persona. «Voluto dal Beato don Luigi Monza e le Piccole Apostole della Carità 76 anni fa» racconta Luisa Minoli presidente dal 2016 «per prendersi cura dei bambini con disabilità, guidate dal professor Giuseppe Vercelli allora direttore del Besta a Milano. Nel 1937 la prima sede a Vedano Olona (Varese), nove anni dopo l’arrivo di Vera e Umberto i primi due dei 24mila utenti della Nostra Famiglia in 28 sedi di sei regioni diverse d’Italia e nel mondo con Ovci (Organismo di volontariato per la cooperazione internazionale)».
Scopo? «Sviluppare tutte le potenzialità di ognuno di questi ragazzi perché possano trovare una reale integrazione. Non un atteggiamento assistenziale, ma guidato dalla clinica e che li metta al centro. I nostri pazienti vanno riabilitati, ma devono anche assolvere l’obbligo scolastico e acquisire la capacità per entrare un domani nel mondo del lavoro». La proposta? «Percorsi clinici per pazienti in età evolutiva con disturbi neuropsichici e del neurosviluppo che hanno in sé una gamma di patologie molto vasta: dai disturbi del linguaggio, alle paralisi cerebrali infantili, all’autismo, alle patologie disabilitanti acquisite, al disturbo dell’attenzione con iperattività, alle malattie rare. Tutto in convenzione con la regione di riferimento. Siamo stati i primi a essere convenzionati nel 1954 con l’Alto commissario per l’igiene e la sanità pubblica per i bambini discinetici».
Raggiunta la maggior età dei pazienti «abbiamo creato anche dei corsi di formazione professionale e dei centri che li aiutino a inserirsi nel mondo del lavoro. Per alcuni di loro siamo casa e famiglia. Con un approccio sempre scientifico: ecco perché nel 1985 abbiamo dato vita all’Istituto ScientificoEugenio Medea, dal nome del neurologo di fama internazionale che è stato tra le prime figure cliniche a indicare una presa in cura globale dei bambini».
Cosa trovino qui le famiglie... «Prima di tutto un posto accogliente con risposte cliniche ai bisogni, ma anche degli operatori che sono disposti a condividere i loro percorsi di vita. Dei trattamenti scientifici avanzati, una capacità di diagnosi precoce, ma anche un posto in cui appoggiare un po’ la propria fatica. Il risultato più grande non è far camminare un bambino, ma che quel bimbo e quella famiglia trovino l’equilibrio giusto per una vita piena. Intervenire e riabilitare precocemente vuol dire garantirgli un futuro». Ecco allora che è necessario «pensare a come continuare a dare vita alle realtà no profit che si prendono carico della fragilità. E chiedersi che Paese vogliamo essere: il Paese dell’efficienza e del merito o il Paese che non scarta nessuno?».
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