Risuonano, nella notte di Torino, i canoni di Taizé, quelle invocazioni semplici e circolari, che aprono la porta alla preghiera del cuore. Migliaia di giovani, arrivati da ogni parte d’Europa (e non solo) si ritrovano per vivere e condividere la loro fede: alternano il canto a momenti di silenzio, girano, a piccoli gruppi, per il centro cittadino, sulle orme dei santi sociali piemontesi, si fermano davanti alle opere d’arte sacra, si mettono in fila, in Duomo, per sostare un istante davanti alla Sindone (il lenzuolo che, secondo la tradizione, avvolse il corpo di Gesù dopo la deposizione dalla croce e che solo in circostanze particolari viene esposto alla contemplazione dei fedeli). È la “notte bianca della fede”, momento culminante del 44esimo Pellegrinaggio di Fiducia sulla Terra, organizzato a Torino dalla comunità ecumenica di Taizé. Un’edizione “fuori stagione”, visto che di solito gli appuntamenti di questo genere si tengono nel periodo di capodanno. Più volte rinviato a causa dell’emergenza pandemica (inizialmente avrebbe dovuto svolgersi dal 28 dicembre al 1° gennaio 2021), il raduno è stato contenuto nei numeri, ma quanto mai denso di messaggi. Davanti alla tragedia di una guerra nel cuore dell’Europa, 2.500 ragazzi e ragazze (di cui 1.000 giunti dall’estero) hanno dimostrato, nei fatti, che è possibile camminare nella pace e costruire una strada comune, rispettando e valorizzando le diversità. Come nella tradizione di Taizé, all’incontro hanno partecipato esponenti di numerose chiese cristiane: cattolici, ma anche luterani, valdesi (storicamente radicati in Piemonte) e ortodossi di diverse appartenenze.
Per tre giorni (dal 7 al 10 luglio) chiese, piazze, parrocchie e musei torinesi sono stati festosamente invasi dal popolo di Taizé: un’onda gentile, allegra ma con sobrietà, capace, senza retorica, di svegliare domande profonde. Sabato 9 luglio, la serata conclusiva si è aperta nel segno della danza, con una grande “festa dei popoli” a ritmo di musica, nel sontuoso cortile di Palazzo Reale: una carica di energia buona, di quelle che rasserenano e aprono il cuore. I protagonisti erano ragazzi normali, ma portatori di una sensibilità un po’ speciale. Ragazzi capaci di scatenarsi in cerchio, ballando sui ritmi del folklore ungherese, e un istante dopo ammutolire e mantenere un silenzio senza incrinature, quando, dal piccolo palco allestito per l’occasione, la delegazione ucraina (una ventina di ragazze, poiché agli uomini non è permesso di lasciare il Paese) ha chiesto un minuto di raccoglimento per le vittime della guerra, per chi sta combattendo, per chi è rimasto ucciso o ha perso i suoi cari, per chi sta portando aiuto. Festa e riflessione sembravano coabitare, in modo naturale. La gioia e lo stupore di essere a Torino erano leggibili negli occhi celesti di Marika, ragazza di 18 anni arrivata dalla Polonia, per vivere il suo primo raduno con il gruppo di Taizé. «Visitando la casa di don Bosco mi sono molto commossa» ci ha raccontato la ragazza. «Di questi tre giorni, ciò che più mi rimarrà nel cuore sono le preghiere della sera».
La preghiera è stata, in effetti, il fulcro di questa atipica notte bianca. Terminata la festa, i ragazzi hanno preso posto nella chiesa di San Filippo Neri, la più grande di Torino. Lì è iniziata il momento contemplativo, scandito, nello stile di Taizé, da canti e letture plurilingue e da liturgie attinte alle diverse tradizioni cristiane. «La risurrezione di Gesù ha lanciato un ponte tra la morte e la vita, tra la disperazione e la speranza» ha detto, nel corso della preghiera, frère Alois Löser, priore di Taizé (succeduto al fondatore frère Roger Schutz). «Questo ponte, aperto da Gesù, conduce oltre la morte e la violenza». E se è vero che, «siamo pellegrini sulla Terra, poiché la nostra patria è il cielo», è altrettanto vero che «qui e in questo momento siamo chiamati a far buon uso della nostra libertà e a esercitare la nostra responsabilità, per metterci al servizio degli altri e chiederci qual è il posto che Dio ha pensato per noi».
«Se la preghiera è ossigeno per la nostra vita, voi siete un grande polmone» ha detto, rivolto ai giovani di Taizé, l’arcivescovo di Torino, monsignor Roberto Repole. «Una comunità ecumenica è uno stimolo a cercare vie di comunicazione e di comunione. Proveniamo tutti da Cristo e possiamo testimoniarlo se siamo uniti in lui». Oltre che da tutta Europa (Polonia e Ungheria le nazioni più rappresentate) sono arrivate a Torino delegazioni da Egitto, Indonesia, Corea, Stati Uniti, Cina.
Dopo la grande preghiera comune, i giovani, in piccoli gruppi, hanno esplorato alcuni luoghi simbolo della città: chiese, però anche musei come Palazzo Madama e l’Accademia Albertina, dove, per l’occasione, è stata allestita una mostra d’arte sacra. In piena notte, il fiume dei giovani ha raggiunto il Duomo, per contemplare la Sindone (un’esperienza proposta, in modo assolutamente libero, a chi lo desiderava, tenendo conto che le diverse Chiese cristiane hanno sensibilità differenti nei confronti di questa reliquia). Pur senza essere rimosso dalla teca che lo custodisce, il Telo è stato mostrato ai pellegrini da una posizione particolarmente ravvicinata. «Che gioia e che emozione» hanno raccontato i ragazzi egiziani (una ventina in tutto, appartenenti alla chiesa copta ortodossa), tra i primi a passare davanti al lino. «Della Sindone avevamo sentito parlare. Sapevamo che si trova a Torino e che di solito non è visibile, perché deve essere protetta. Ci sentiamo fortunati e privilegiati ad averla potuta contemplare».