Il treno partito da Prato con i medicinali raccolti dalle Acli.
«La voglia di vivere di Leopoli, spezzata dal continuo suono delle sirene d’allarme, che ricorda l’orrore della guerra; ma nonostante ciò, la volontà di ripartire quanto prima a costruire il futuro da parte di tutti coloro che non vogliono lasciare una terra martoriata. La voglia d’Europa di questa gente, ma anche il rischio di risentimenti nazionalistici che fatalmente aggrediranno le coscienze delle giovani generazioni che hanno visto la guerra».
Questi sono solo alcuni dei sentimenti che Emiliano Manfredonia, presidente nazionale delle Acli, porta nel cuore dopo il viaggio a Leopoli effettuato la settimana scorsa assieme all’arcivescovo di Cagliari e vicepresidente della Cei Giuseppe Baturi e il direttore di Caritas italiana don Marco Pagniello. Una missione di solidarietà ed esplorativa per meglio comprendere le reali necessità della popolazione ucraina e di Leopoli in particolare.
«Abbiamo trovato una città viva – dice il presidente della Acli - ma con tantissimi, enormi problemi: immaginatevi 300-400 mila persone sfollate da ogni parte del Paese in poche settimane e stanziate tutte qui, in attesa di andare chissà dove. Leopoli è una città complessa, che ha subito anche bombardamenti. Eppure stanno pensando già al futuro, a come supportare l’economia. Le autorità locali e regionali ci hanno detto: “Aiutate le imprese che sono a Leopoli e vogliono rimanere”. In città ci sono tanti cantieri che la guerra ha fermato, perché gli operai sono andati a combattere. Cercano manodopera per riaprire. Chiedono case prefabbricate. Loro pensano alla vita».
La missione, partita in pulmino il 2 aprile da Roma, ha potuto rendersi conto delle reali necessità della popolazione. Ha incontrato le autorità civili e religiose della regione. E poi visitato il St. Luca’s Hospital e l’ospedale pediatrico, il secondo più grande del Paese e il primo in funzione oggi. In quest’ultimo le condizioni di lavoro e sopravvivenza sono all’insegna della precarietà assoluta: i bunker, racconta Manfredonia, sono ricavati dai sottoscala. «Abbiamo capito che servono farmaci specifici, come i sulfamidici per i bambini prematuri. Serve poi un’ambulanza pediatrica per soccorrere i neonati nelle zone più colpite dalla guerra. Caritas s’è presa l’impegno di allestire l’ambulanza, coinvolgendo anche le Misericordie della Toscana».
A Leopoli la delegazione ha potuto visitare anche la sede del Patronato Acli, l’unico presente nel paese, per esprimere la vicinanza di tutta l’associazione alle lavoratrici e ai lavoratori che anche in queste settimane continuano ad operare svolgendo un compito fondamentale per garantire diritti previdenziali ai tanti ucraini e alle tante ucraine che hanno lavorato nel nostro paese. Il patronato è aperto con cinque operatori ucraini (uno dei quali ora è in Italia a supporto del lavoro di traduzione con gli sfollati) e solo nel mese di febbraio ha avviato le pratiche per 300 pensioni in Ucraina.
«Al ritorno abbiamo accompagnato anche quattro profughi in italia: due donne del Donbass, e una madre col figlio di Odessa, un’imprenditrice che ha un figlio adolescente che voleva arruolarsi per andare in guerra», dice il leader aclista. «Abbiamo potuto comprendere - continua - che la macchina umanitaria per lo smistamento dei profughi è complesso e farraginoso. C’è sì un sistema di controllo, ma nelle maglie del quale si insinua anche la malavita organizzata: la settimana prima del nostro viaggio l’Interpool aveva fermato un noto trafficante di organi con alcuni minori».
«Ma questo Paese crocifisso avrà soprattutto bisogno di riconciliazione perché morte, torture ed eccidi di questa guerra causeranno fatalmente la rinascita di forti risentimenti nazionalistici, l’odio antirusso e ciò potrà avvelenare le giovani generazioni testimoni di questi orrori. Certo, ci sarà da individuare gli autori delle atrocità e dei crimini, ma intanto resteranno le ferite sanguinanti nelle coscienze di chi è scappato, sopravvissuto. Certo ci interroga il tema della resistenza di questo popolo aggredito. Ma noi, lo ribadiamo, vogliamo portare un aiuto diverso dalle armi per costruire la pace. E lavorare per la riconciliazione», conclude Manfredonia.
Intanto dal viaggio a Leopoli è scaturito un primo aiuto concreto alle popolazioni ucraine consistente in un carico di medicinali acquistati dalle Acli nazionali, con la collaborazione delle Acli toscane e grazie alla raccolta fondi attivata da Acli e Ipsia Acli. Questo primo carico è una fornitura di farmaci salvavita per il reparto di cardiologia del St. Luca’s Hospital a Lviv, nel distretto di Leopoli. Si tratta di circa 25mila farmaci che sono stati acquistati, grazie ad un accordo con la Regione Toscana, al prezzo ottenuto tramite la centrale d’acquisto Estav per un totale di spesa di circa 20 mila euro.
Le medicine sono partite dall’Interporto di Prato con un treno speciale: 27 vagoni carichi di farmaci, generi alimentari di ogni tipo, acqua, prodotti per l’igiene personale, latte e pannolini per i bambini, alimenti per animali domestici e coperte. L’iniziativa è nata grazie al sostegno delle Regioni Toscana, Veneto e Friuli Venezia Giulia, dell’Interporto della Toscana Centrale, del Gruppo Fs italiane, alla Croce Rossa Italiana e di tante associazioni che, come le Acli, hanno avviato delle raccolte fondi. Una rete di solidarietà che si è mossa unita per aiutare i profughi che stanno fuggendo e chi è costretto a resta in Ucraina.
(Nella foto di copertina: Emiliano Manfredonia (a destra) con la sua delegazione a Leopoli).