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martedì 08 ottobre 2024
 
La speranza della Pasqua
 
Credere

Don Luigi Verdi: nella notte del mondo fidiamoci del Risorto

09/04/2020  «Il Vangelo di Pasqua, con i discepoli chiusi in casa impauriti, ci dice che solo chi ama riuscirà a credere all'impossibile», dice il fondatore della Fraternità di Romena

La pieve di Romena è stata costruita in tempore famis, in un periodo di carestia e sofferenza collettiva, nel 1152. Così è scritto su uno dei capitelli di nuda pietra di questa chiesa romanica adagiata sui colli del Casentino, in provincia di Arezzo. Romena da quasi trent’anni è una fraternità, un luogo che emana bellezza. Don Luigi Verdi, nato 61 anni fa a San Giovanni Valdarno (Ar), ha cominciato il suo cammino di prete a Pratovecchio, il paese a valle della pieve. Nel 1991, dopo un periodo di crisi personale e spirituale, ha chiesto al vescovo di Fiesole di poter iniziare un’esperienza nuova, riaprendo l’antica chiesa romanica che nel Medioevo era luogo di sosta per i pellegrini in cammino verso Roma. Da allora, Romena è tornata a essere crocevia di incontri per migliaia di persone in cammino, verso una qualità di vita più autentica e un tessuto diverso di relazioni. Un luogo dove tutti, credenti o meno, possono sostare. «La fraternità che spesso sogno», si legge all’ingresso, «è qualcosa di molto semplice: un’oasi di pace dove possano riposare Dio e l’uomo». Gli incontri, i weekend e le settimane di vita condivisa, i corsi e i convegni che negli ultimi anni hanno popolato Romena si sono fermati con il Coronavirus. Ma almeno due volte alla settimana brevi video di don Gigi e altri amici e collaboratori di Romena arrivano via mail a chi lo desidera, e sono pubblicati sul sito www.romena.it. Come una segnaletica sul sentiero, difficile, che tutti stiamo percorrendo. Per la prima volta sarà una Pasqua solitaria ed essenziale quella che don Luigi, per tutti Gigi, celebrerà a Romena. «Cercherò di non riempire il vuoto», dice. «Ho cercato di vivere una Settimana Santa fatta di piccoli gesti: spezzando il pane il giovedì, inchinandomi alla croce il venerdì e celebrando la veglia della risurrezione nella pieve. La cosa bella è questo cristianesimo finalmente nudo: essere spogliati di celebrazioni, liturgie, incontri, dove capisci che l’essenziale non erano i riti, ma poter sentire l’incarnazione come dono. Credo sia stato bello per ognuno provare a vivere la Settimana Santa in questa nudità fatta di pochi gesti, in questo silenzio interiore. Sono giorni in cui ti accorgi di aver vissuto tutto con avidità, correndo, mentre la vita vera era tutta da un’altra parte».

Come legge la crisi che stiamo vivendo?

«Ci troviamo a lottare con i nostri dubbi, le nostre identità precarie, ci chiediamo chi siamo senza ciò che avevamo prima. Ma sono anche giorni in cui possiamo vivere una “precisione” dell’amore. Per me, una mamma che rimbocca il lenzuolo al suo bambino che si addormenta malato è come se si prendesse cura di tutto il cielo stellato. È come se ognuno di questi gesti buoni o positivi potesse impedire al mondo di rotolare verso l’abisso. Ci salva la dimensione degli affetti, della tenerezza verso chi vive ma anche verso tante persone che muoiono attorno a noi. Questa pieve ci dice che in tempo di carestia può nascere il meglio, che è possibile tirar fuori bellezza, dignità e umanità vera da una situazione difficile».

A Romena lei segue il gruppo Nain, di cui fanno parte genitori che hanno perso un figlio. In questi giorni sono invece i figli a seppellire i genitori, senza neanche il conforto di salutarli per l’ultima volta…

«Nain è il luogo in cui Gesù risuscita l’unico figlio di una madre vedova, e la cosa che mi piace di più di quell’episodio evangelico è che Gesù si avvicina a questa donna e, senza nessuna parola, tocca la bara del bambino morto. Mi sembra attuale in giorni in cui non puoi toccare nemmeno la bara di chi se n’è andato. Io mi sono allenato in questi anni a non dare risposte ma ad “abitare” le domande della gente, anche quelle impossibili, perché magari non ci capisci nulla ma ti permettono di camminare. Gesù non è venuto a spiegare il dolore ma a riempirlo della sua presenza, a starci. Anch’io non riesco a trovare le parole, a mettermi lì a fare troppa consolazione. Del tipo: “Andrà bene, fra un po’ tutto torna come prima”. Non è vero che tutto tornerà come prima. È vero che le persone stanno male e quel dolore è crudo, perché perdere una generazione di anziani ma anche di amici giovani, come mi è capitato in questi giorni, è straziante».

A Romena c’è una Via della risurrezione. Perché?

«Amo molto i luoghi simbolici, in cui non c’è bisogno di troppe spiegazioni. Romena è così: c’è un angolo con i mandorli piantati dai genitori che hanno perso un figlio, c’è un angolo perché ognuno possa dare uno sguardo d’amore a chi soffre, un altro per pregare. Chi arriva trova il suo luogo. La Via della risurrezione è nata perché da trent’anni siamo in ascolto delle ferite delle persone. In giro ci sono tante via crucis, abbiamo troppo dolore. Allora ho pensato a una via che è invece risurrezione. Sono otto tappe con otto parole da cui ripartire: umiltà, ‚fiducia, libertà, leggerezza, perdono, fedeltà, tenerezza, amore. Umiltà viene da humus, terra. Ogni inizio – di una vocazione, di una storia d’amore – è umile. Dopo questa crisi toccherà ripartire da qui, dall’umiltà. E dalla tenerezza. Forse, anche nella Chiesa, dovremo tornare a fondare le nostre comunità non tanto sul fare, sui progetti, ma sulla tenerezza e le relazioni».

Che risurrezione possiamo vivere?

«Il Vangelo della Pasqua è di un’attualità impressionante: i discepoli che se ne stanno chiusi in casa impauriti, che hanno visto Gesù morire, che sono fermi nel buio, nella disperazione, nella paura dell’ignoto…  Anche a loro, come a noi, tocca fidarsi di questa notte silenziosa, dove solo chi ama riuscirà a credere all’impossibile. È bello anche il fatto delle donne che vanno al sepolcro all’alba. Queste donne che non riescono a vederlo, Gesù. Diranno: “Non c’è più nulla”. E tutto ciò che sembrava solido crolla, gli ideali sono un cumulo di parole, questo vuoto… ecco questo vuoto è un’altra caratteristica del tempo che viviamo. Ma anche loro sentono che non può‚finire così. E in fondo anche noi come gli apostoli siamo creature fragili, cui qualcuno però ha rubato il cuore, e continuano a credere un po’».

Cosa resterà?

«In questo periodo ho perso due amici cari, è stato durissimo. Ho fatto una promessa a loro e a Dio. L’amore, in fondo, è una promessa che ci facciamo reciprocamente, ed è questa: “Il nostro amore vincerà, nemmeno la morte lo butterà giù” e “Non ti lascerò mai solo”. Credo che, dopo questo periodo, torneremo tutti nei posti che ci sono mancati, che desideriamo più ardentemente ritrovare. È questa, in fondo, la risurrezione. Ricordate Gesù? “Io vado a prepararvi un posto”. Dopo l’attesa potrai tornare a dare un bacio a un ritmo più lento, a essere sensibile, a guardare negli occhi, a gioire delle piccole cose. A... finalmente, dire grazie».

Una zona intrisa di spiritualità

Romena si trova nel comune di Pratovecchio Stia (Arezzo), immersa nel verde del Casentino, una zona intrisa di spiritualità, fra Camaldoli e La Verna. Da più di otto secoli la pieve accoglie pellegrini: oggi la si può raggiungere in auto, pullman o treno, passando da Firenze o Arezzo.

Un pensiero al giorno

  

In questo tempo in cui siamo chiamati a stare in casa, Romena resta aperta e pubblica ogni giorno pensieri e riflessioni su www.romena.it, «sperando che dentro questi giorni di fragilità si stiano preparando germogli di futuro». Inoltre Wolfgang Fasser, custode dell’eremo di Romena a Quorle, è a disposizione di chiunque voglia contattarlo: dal lunedì al sabato, dalle 17 alle 19, lo si trova al 348 22.07.913.

 
 
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