Nelle sale da oggi il film I bambini di Gaza, diretto dal regista italo-americano Loris Lai, e tratto dal romanzo di Nicoletta Bortolotti Sulle onde della libertà (Mondadori). Ambientato durante la seconda intifada del 2003 nella Striscia di Gaza, racconta l’amicizia in apparenza impossibile tra un bambino ebreo e uno palestinese, che hanno in comune la passione per il surf. Se pensate che l’idea che il surf possa aiutare due popoli così divisi a comunicare sia solo una bella favola, dovete proprio conoscere la vera storia che ha ispirato il racconto dell’autrice. Nicoletta Bortolotti lavora nella redazione della casa editrice Mondadori, e non aveva ancora pensato di dedicarsi essa stessa alla scrittura. Fino a quando, nel corso di una ricerca per l’editing di un libro di sport, si è imbattuta in un trafiletto in cui si parlava di Doc Paskowitz, un allenatore di surf che, già molto anziano, che arrivò nella striscia di Gaza per far surfare i ragazzi. Questa era la storia che voleva raccontare...
Dorian Paskowitz è nato il 3 marzo 1921, a Galveston, Texas, Stati Uniti d’America, figlio di emigranti ebrei russi, Louis e Rose Paskowitz. Cavalcò la sua prima onda a 12 anni. Dopo essersi trasferito a San Diego, ha lavorato come bagnino a Mission Beach. Nel 1946 si è laureato alla Stanford Medical School. Successivamente ha fondato la Paskowitz International Surf School, la Paskowitz Surfing Psychiatric Clinic, il Paskowitz Surfing Camp e il progetto Surfing For Peace.
Doc sarà ricordato anche per aver vissuto il vero spirito del surf, quando decise di abbandonare la carriera di medico per imbarcarsi in un viaggio di vent’anni a bordo di un camper di 7 metri e crescere i suoi nove figli viaggiando lungo le coste degli Stati Uniti, soggiornando in parcheggi, strade e dune incontrate lungo la strada, ma passando ogni giorno in mare e condividendo con la famiglia i suoi valori di stile di vita sano e genuino. La sua famiglia è passata alla storia come la prima famiglia di surfisti. Molti dei figli di Paskowitz hanno raggiunto un livello competitivo nel surf, vincendo gare e guadagnando dalle sponsorizzazioni. Il figlio Isreal "Izzy" Paskowitz è stato il campione statunitense di longboard nel 1989.
La sua vita è stata documentata in un documentario dal titolo Surfwise: The Amazing True Odyssey of the Paskowitz Family (www.surfwisefilm.com). Nell'agosto 2007, Paskowitz ha lanciato il progetto Surfing For Peace per fornire tavole da surf alla piccola comunità di surfisti di Gaza. Paskowitz ha dovuto persuadere il governo israeliano a lasciargli consegnare le tavole da surf perché dopo che Hamas ha preso il controllo di Gaza nel giugno 2007, Israele ha consentito solo l'ingresso di forniture umanitarie essenziali. Paskowitz ha fondato Surfing For Peace insieme a suo figlio David Paskowitz, nonché ad Arthur Rashovan e Kelly Slater, dopo aver letto un articolo sul Los Angeles Times che evidenziava la mancanza di tavole da surf a Gaza. Surfing For Peace ha collaborato con OneVoice Movement, un'organizzazione pacifista pro israelo-palestinese, per consegnare con successo le tavole da surf e tenere un successivo concerto di beneficenza a Tel Aviv nell'ottobre 2007. Il successo della consegna delle tavole da surf ha attirato l'attenzione internazionale sul Surfing For Peace e ha lanciato un comunità globale di surfisti e sostenitori che mirano a utilizzare l'esperienza di navigazione condivisa per la pace a Gaza. Paskowitz è morto a 93 anni il 10 novembre 2014, Newport Beach, California.
Nel film l'allenatore di surf è un giovane americano in crisi dopo un incidente, che va a Gaza dove la sorella, un'attivista di origine ebrea, era morta tempo prima,
«Lui veniva un po’ dal mondo Hippie», racconta Nicoletta Bortolotti, «aveva percorso tutta la costa americana alla ricerca dell’onda perfetta e i diceva ai ragazzi di Gaza “Non fate la guerra, fate il surf”. Si adoperò per far arrivare delle vere tavole da surf forzando il blocco militare e facendole passare attraverso i tunnel sotterranei dove transitavano aiuti umanitari ma anche armi, dove la gente viveva, si sposava, apriva negozi. Ho subito pensato che questa storia fosse meravigliosa da raccontare e il primo dialogo che mi è venuto in mente e quello dei due ragazzini sulla spiaggia (il padre del bambino palestinese è stato ucciso dai soldati ebrei, la madre del bambino ebreo dalle milizie di Hamas):
«Mia madre mi ha proibito di parlare con gli ebrei».
«Mio padre mi ha proibito di parlare con gli arabi».
«E allora perché stiamo parlando?»
«Nel 2012 gli occhi del mondo non erano puntati sulla Striscia di Gaza come oggi», continua l’autrice del libro «e io ho scritto questa storia non con l’intento di raccontare il conflitto arabo-israeliano, che è presente, inevitabilmente, ma con l’intento di raccontare una storia di amicizia, che all’epoca era possibile perché c’erano ancora gli insediamenti israeliani a Gaza. L’amicizia nasce da un’impossibilitò, da uno scandalo, la vera rivoluzione che gli adulti con lo sguardo velato dai pregiudizi reciproci ostacolano. L’amicizia nasce con diffidenza, ma poi si arriva a scoprire che quel ragazzo diverso ha molte cose in comune con me, non è un nemico».