Grande successo sta riscuotendo la serie in sei episodi su Netflix La legge di Lidia Poët , la storia romanzata della prima donna avvocato in Italia, interpretata da Matilde De Angelis nei panni di una giovane laureata in legge a Torino che per non può esercitare l’avvocatura in quanto donna e che fa da assistente al fratello, anch’esso avvocato, rivelando doti da detective e risolvendo in ogni episodio un giallo per scagionare dall’accusa di omicidio i clienti che il fratello deve difendere. Sicuramente nella serie ci sono molti elementi di fantasia, e la protagonista è tratteggiata come una donna emancipata e libera, dedita al turpiloquio e con una vita sentimentale molto disinvolta. Ma la storia che ha ispirato la fiction è vera, e Lidia Poët ha combattuto una lunga battaglia per vedere affermato il suo diritto a svolgere la professione di avvocato battendosi poi anche per il voto alle donne.
Lidia Poët, era nata in val Germanasca in un’agiata famiglia valdese il 26 agosto 1855 . Adolescente, si trasferì a Pinerolo dove già risiedeva il fratello maggiore Giovanni Enrico, titolare di uno studio legale avviato. Studio per diventare maestra, una delle poche professioni concesse alle donne nell’Ottocento, ma il suo sogno era un altro. Dopo la morte del padre conseguì la licenza liceale e si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza di Torino, unica donna, Si laureò in giurisprudenza il 17 giugno 1881 dopo aver discusso una tesi sulla condizione femminile nella società e sul diritto di voto per le donne.Nei due anni seguenti fece pratica legale a Pinerolo presso l'ufficio dell'avvocato e senatore Cesare Bertea e assistette alle sessioni dei tribunali. Svolto il praticantato, superò in modo brillante, con il voto di 45/50, l’esame di abilitazione alla professione forense e chiese l’iscrizione all’Ordine degli Avvocati e Procuratori di Torino. Inizialmente le fu concessa poi Il procuratore generale del Regno mise in dubbio la legittimità dell’iscrizione e impugnò la decisione ricorrendo alla Corte d'Appello di Torino. L'11 novembre 1883 la Corte di Appello accolse la richiesta del procuratore e ordinò la cancellazione dall’albo. Malgrado il ricorso di Lidia, la sentenza fu confermata l’anno successivo. Tra le motivazioni anche l’inadeguatezza del carattere delle donne a un tale ruolo, la conferma che le donne dovevano dedicarsi ad altro, ovvero la famiglia e i figli, e anche un riferimento al bizzarro abbigliamento femminile che mal si conciliava con l’austerità della toga.
Lidia Poët non poté quindi esercitare a pieno titolo la sua professione, ma collaborò con il fratello Giovanni Enrico e divenne attiva soprattutto nella difesa dei diritti dei minori, degli emarginati e delle donne, sostenendo anche la causa del suffragio femminile. Partecipò anche ai diversi Congressi Penitenziari Internazionali dove ricoprì ruoli di rilievo per ben trent’anni. Il governo francese, invitandola a Parigi, la nominò Officier d'Académie, onorificenza tributata per i lavori svolti al Congresso Penitenziario Internazionale di Parigi del 1895.Ssi adoperò per l’emancipazione femminile aderendo al Consiglio Nazionale delle Donne Italiane (CNDI) fin dalla sua fondazione, avvenuta nel 1903 rivendicano diritti per le donne che saranno riconosciuti solo decine di anni dopo come il diritto al voto, al divorzio, l’equiparazione tra figli naturale i legittimi, servizio civile per le ragazze.
Solo nel 1920 Lidia Poët, all'età di 65 anni, entrò i finalmente nell'Ordine degli avvocati, divenendo ufficialmente la prima donna d'Italia ad esservi ammessa. Morì a Diano Marina all'età di 94 anni il 25 febbraio 1949 e venne sepolta nel cimitero di San Martino (Perrero), in Val Germanasca.
Per approfondire ulteriormente la sua figura segnaliamo la biografia di Cristina Ricci Lidia Poët Vite e battaglie della prima avvocata, pioniera dell'emancipazione femminile, edito da Graphot.