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domenica 06 ottobre 2024
 
parliamone insieme
 

Le coppie senza figli e l'accoglienza della vita

13/01/2022  ll 5 gennaio Francesco ha affrontato il tema doloroso delle coppie che non possono avere figli invitandole – sull’esempio di San Giuseppe – ad aprirsi a un orizzonte più ampio per vivere la propria genitorialità

Cari amici lettori, nei giorni scorsi hanno richiamato l’attenzione dei media le parole del Papa sulle tante coppie che «non hanno figli perché non vogliono o ne hanno soltanto uno perché non ne vogliono altri, ma hanno due cani, due gatti» (udienza del 5 gennaio). Le parole di Francesco si inseriscono in un contesto di riflessione più ampia sulla paternità/genitorialità (e sulla “orfanezza” che caratterizza i nostri tempi) a partire dalla figura di san Giuseppe, a cui era dedicata la catechesi (la sesta sul tema) di quel giorno.

Il Pontefice aveva già denunciato giorni prima l’«inverno demografico» che affligge in particolare l’Italia (Angelus del 26 dicembre, festa della Santa Famiglia) e nell’udienza ha parlato dell’egoismo che non di rado si nasconde dietro questo rifiuto della paternità/maternità, privando la nostra società di una grande ricchezza. Dei diversi spunti del suo intervento, merita una ripresa anche il tema delle coppie che non possono avere figli, a cui il Papa ha dedicato uno spazio particolare. Sappiamo che si tratta di una delle sofferenze più acute nella vita di una coppia, una ferita che tocca la carne ma anche lo spirito, una ferita talmente profonda proprio perché frustra uno dei desideri più profondi dell’umano e che ha bisogno di essere rielaborata quasi come un lutto.

Una sofferenza spesso acuita dalle domande inopportune di amici e parenti («Allora, a quando un figlio?») o da facili consigli, che ignorano il carico di sofferenza di queste coppie. Una sofferenza che richiede uno specifico accompagnamento perché si possa superare quel “blocco” doloroso e favorire l’elaborazione e l’apertura verso altri orizzonti in modo da vivere diversamente la maternità/paternità. Come sottolineava Francesco, la genitorialità non è solo una dimensione biologica: «Padri non si nasce, lo si diventa. E non lo si diventa solo perché si mette al mondo un figlio, ma perché ci si prende responsabilmente cura di lui». Ecco le parole-chiave di un’autentica genitorialità. È in questo contesto che Bergoglio ha citato – con senso di ammirazione – «tutti coloro che si aprono ad accogliere la vita attraverso la via dell’adozione, che è un atteggiamento così generoso e bello».

E ha indicato san Giuseppe come modello: il “padre putativo” di Gesù «ci mostra che questo tipo di legame non è secondario, non è un ripiego. Questo tipo di scelta è tra le forme più alte di amore e di paternità e maternità». Un legame che nasce dall’accoglienza nel cuore, dallo spirito, prima che dalla carne». Una via certo non facile, ha riconosciuto, che comporta anche «il “rischio” dell’accoglienza». Ma rischio più grande per una società è il rifiuto stesso della genitorialità. Abbiamo raccontato in più occasioni sulla nostra rivista storie di accoglienza di bambini, tramite l’adozione o l’affido. Storie che hanno trasmesso un senso di generosità, di accoglienza, di amore puro e disinteressato che va oltre il biologico. Mi auguro possano incoraggiare quanti vivono una storia segnata dalla sofferenza di non poter generare figli, aiutandoli ad aprirsi a orizzonti nuovi.

 
 
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