Cari amici lettori, che bella la cerimonia di apertura dei Giochi Paralimpici! La sera del 28 agosto, facendo distrattamente zapping in una Tv ancora noiosamente ripetitiva, mi sono imbattuto nel momento in cui sfilavano gli atleti paralimpici. Uno spettacolo gioioso, con volti sorridenti, persino fieri, che trasmettevano la sensazione di una dignità riconosciuta e accolta. Quanta acqua è dovuta passare sotto i ponti prima di dare dignità e visibilità a questi nostri fratelli e sorelle atleti in qualche modo feriti nel corpo e spesso anche nell’anima, ma che hanno saputo reagire, lottare, rialzarsi e – letteralmente – rimettersi in pista. Una lezione di resilienza, di speranza, di coraggio per tutti.
Ho pensato istintivamente ai “piccoli” del Vangelo, gli emarginati, i disprezzati, i feriti dalla vita che in quella bella serata si sono trovati messi nei “posti d’onore”, in un ribaltamento di ruoli che ricorda un po’ la parabola evangelica dei “servi”, cioè gli ultimi, che si ritroveranno serviti dal Signore! Che differenza con lo spettacolo di inaugurazione delle Olimpiadi: quello, uno spettacolo pomposo, con messaggi non sempre chiari e con cedimento un po’ alle solite mode; qui invece dignità, misura, discrezione. Un balletto elegante eseguito dal sudafricano Musa Motha, la tedofora d’eccezione Bebe Vio, un volto che comunica di suo la speranza e l’ottimismo e tanti altri volti che ci hanno commosso.
La società, nel giro di qualche decennio, ha fatto tanti passi per essere inclusiva verso le persone con disabilità: dai marciapiedi alle metropolitane, per dire, ma anche attività, associazioni sportive, iniziative che promuovono l’inclusione sociale. C’è ancora strada da fare, ma la sensibilità è cambiata e l’attenzione è più concreta. Rischiamo però di pensare le persone “diversamente abili” semplicemente come destinatarie di iniziative di bene. Ma esse sono anche soggetti, protagonisti e hanno da dare alla società.
Papa Francesco ha colto bene questo aspetto nel Messaggio della giornata delle persone con disabilità del 2022, quando ha parlato di «magistero della fragilità»: esso, ha detto, «è un carisma del quale voi – sorelle e fratelli con disabilità – potete arricchire la Chiesa». «La vostra presenza», ha spiegato, «può contribuire a trasformare la realtà in cui viviamo, rendendole più umane e più accoglienti. Senza vulnerabilità, senza limiti, senza ostacoli da superare, non ci sarebbe vera umanità». Quanta verità in queste parole, un insegnamento ancora attualissimo.
La mia memoria corre a tre persone con disabilità che hanno accompagnato periodi diversi della mia vita, arricchendola: una bambina che faceva uso di carrozzina, con cui giocavo da bambino; un compagno di classe con la sindrome di Down, che mi era e a cui ero affezionato; un ragazzo autistico con cui interloquisco oggi ogni tanto via WhatsApp.
Bellissima poi la presenza in mezzo agli atleti con disabilità del presidente Mattarella, sempre attento a cogliere la valenza umana e sociale degli eventi sportivi, con le sue parole di riconoscimento a questi “piccoli” evangelici che ha ringraziato «per essere qui, per quello che avete fatto per raggiungere le Paralimpiadi, per i sacrifici, per gli impegni realizzati e per quello che farete in questi giorni».