Elie Wiesel diceva che il contrario dell’amore non è l’odio ma l’indifferenza. Alla luce di questo pensiero si capisce anche meglio l’amarezza di Liliana Segre davanti all’astensione dei senatori di Lega, Fdi, e Fi, che hanno deciso di non decidere sulla mozione che chiedeva di istituire una Commissione straordinaria per monitorare comportamenti improntati all’odio razziale e il dilagare delle parole che veicolano odio e ammorbano il linguaggio della Rete. La Commissione è approvata a maggioranza, ma almeno contro l’odio la senatrice a vita si aspettava l’unanimità.
E invece no, è arrivata l’astensione di 98 senatori. Si sono astenuti, dicono, per timore che di qui in poi un bavaglio cali sulle opionioni, di un grande fretello orwelliano, ma se davvero temevano che dalla Commissione scaturisse un vulnus alla libertà di espressione, perché non prendere a due mani il coraggio per votare contro anche rischiando l'impopolarità? Forse perché sanno che la Commissione, composta da tutte le forze politiche, non avrà il potere di sanzionare nessuno, dovrà tenere d’occhio un problema almeno per conoscerlo, per non essere travolti dal suo dilagare, senza avere saputo o capito per tempo.
È già accaduto che l’odio seminato a parole contro un bersaglio razziale, abbia prodotto un raccolto di violenza fisica, fino alla Shoah nel mezzo dell’Europa. Ne è sorta una guerra dalla quale il mondo è uscito a pezzi e l’Italia con esso. Da quelle macerie è nata una Repubblica le cui regole comuni sono scritte nei principi fondamentali di una Costituzione nata dalla faticosa mediazione di forze politiche e idee diverse, con l’obiettivo di dare al Paese istituzioni democratiche durature e di mettere un argine al rischio di derive antidemocratiche. Uno degli argini più solidi è l’articolo 3, non per caso messo tra i principi fondamentali: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».
È il principio della pari dignità. E sui principi fondamentali, come ha ricordato il segretario di Stato Vaticano Parolin «bisogna stare uniti» per una questione morale, per restare umani, ma anche per una questione civile, perché trattandosi di principi fondamentali anche per la Costituzione, occore affermarli per non infradiciare le fondamenta delle istituizioni.
La Costituzione, è vero, è piena di diritti da bilanciare, perché vanno a volte in contrapposizione tra loro: c’è un principio fondamentale che sancisce la pari dignità contro ogni discriminazione e c'è la libertà di espressione che va tutelata, ma che per la Costituzione non è assoluta ma ha limiti di legge, perché non può essere usata come alibi per la pretesa di un diritto all’insulto, all’offesa, alla discriminazione verbale.
L’istituzione della Commissione si propone di rispondere a un problema pratico: la Rete per la sua pervasività e per il suo essere immediatamente pubblica, viaggia a una velocità di cui il diritto, le leggi e la giustizia faticano a tenere il passo. La Commissione Segre non avrà il potere da sola di mettere in piedi chissà quali censure, ma servirà a monitorare la piena dell’inciviltà prima che ci travolga impreparati e a proporre idee per arginarla.
Liliana Segre sa che finché ci sarà lei con il suo numero tatuato, con la sua storia e con la sua testimonianza, la si dovrà guardare in faccia e non si potrà dimenticare. Ma sa che il tempo dei testimoni non è infinito, che bisogna trovare il modo di educare alle parole civili, prima che qualcuno possa tornare a negare. Perché ci vuole un attimo, in assenza di testimoni, come ha ricordato Mattarella, a «riscrivere la storia». Tocca alla Repubblica rimuovere gli ostacoli al principio della pari dignità. Non è un compito facile di per sé, lo è di meno se una parte di chi è chiamato ad assumerselo si astiene.