ALBINO B. - Ho difficoltà ad accettare la formulazione di alcune preghiere liturgiche che sembrano attribuire a Dio la positiva volontà di infliggere il supplizio della croce al proprio Figlio come riscatto per il peccato dell’uomo.
La domanda ci fa immergere nell’insondabile mistero dell’incontro tra la volontà di Dio e la libertà dell’uomo. Mistero di un mondo “altro” dove i nostri concetti di tempo e spazio non sono più adeguati. Le preghiere liturgiche riprendono il linguaggio biblico che si fonda sul corretto presupposto che Dio è l’unico principio dal quale tutto dipende. Come il suo disegno si compia comunque nell’intreccio con la nostra libertà resta per noi un mistero. La più antica preghiera eucaristica che si trova nella Tradizione Apostolica di Ippolito (220 circa) e che oggi si trova nel Messale Romano come seconda, recita: «Egli (Gesù) offrendosi liberamente alla sua passione...». Gesù ha portato a compimento il disegno del Padre liberamente. Se la teologia medievale ha interpretato la morte di Gesù soprattutto come “riparazione” per i nostri peccati (soddisfazione vicaria nel linguaggio teologico), Giovanni Paolo II ha precisato che il Verbo si è fatto carne ed è morto in croce per «rivelare l’amore che è più grande del peccato» e sollecitare la nostra conversione (cfr. Redemptor hominis, 9; cfr. anche M. Flick, Croce in Nuovo dizionario di teologia).