Se guardassimo soltanto al divario delle retribuzioni medie delle donne rispetto a quelle degli uomini, dovremmo dire che l’Italia è uno dei Paesi virtuosi, con un divario inferiore al 10% contro una media Ue (allargata a 28 Paesi) del 16%. Ma il dato non dice tutto e soprattutto non dice che uno dei principali problemi dell’Italia, per il quale siamo maglia nera secondo i dati diffusi da Eurostat lo scorso anno e relativi al 2013, è che in troppi casi alla disparità salariale non si arriva neanche, perché in Italia troppe donne a guadagnarsi uno stipendio proprio non ci arrivano: se sono 64 su cento (contro una media europea del 69,4%) gli uomini dai 15 ai 64 che hanno un lavoro, le donne sono appena il 47% (media Ue 58,8%), il dato dell'occupazione femminile è tra i più bassi d’Europa, e non depone a favore della parità, anche se non impatta sul divario retribuitivo.
Non solo, giusto qualche giorno fa l’Istat, diffondendo i dati sulla distribuzione del lavoro a casa, tra cura dei figli e faccende domestiche, ne rilevava l’impatto sull’occupazione delle donne: la nascita dei figli, fa notare l’Istat, rappresenta una fase delicata rispetto alla permanenza sul mercato del lavoro delle donne. Negli ultimi anni è cresciuta la percentuale delle donne che in corrispondenza di una gravidanza hanno lasciato o perso il proprio lavoro (dal 18,4% nel 2005 al 22,3% nel 2012 ma la percentuale arriva al 29,8% nel Mezzogiorno). Quasi una donna su due ha dovuto accettare rinunce sul piano lavorativo per conciliare l'impiego con gli impegni familiari (il 44,1% a fronte del 19,9% degli uomini).
Se è vero che da un lato le donne si affacciano, a fronte di un maggiore successo negli studi, sempre di più ai mestieri ritenuti a lungo appannaggio degli uomini è vero che, fanno mediamente più fatica dei colleghi maschi a progredire in carriera e dunque in retribuzione. Anche nei lavori in cui sono le donne sono in netta maggioranza, come nella scuola, i pochi uomini presenti, una ventina su cento, misurando a spanne, sono spalmati in prevalenza tra i docenti delle scuole secondarie superiori e la dirigenza, i ruoli in cui le retribuzioni sono migliori. Anche se con gli ultimi concorsi le dirigenti donne sono aumentate e l'età media è diminuita. Mentre all'università prevalgono gli uomini, sempre più numerosi man mano che si sale: tra i rettori le donne sono 5 su 78 (Miur, 2013).
In qualche caso, quando si parla di retribuzioni medie, le donne italiane scontano anche il debito di anzianità, dovuto al ritardo in entrata in professioni considerate maschili: il caso più significativo è la magistratura, l’ultima tra le professioni pubbliche, ad accogliere le donne nel 1965: le prime entrate, otto sull’intero organico, sono andate in pensione da poco. Da qualche anno sono più donne che uomini a vincere il concorso e le donne magistrato sono ormai la metà dell’intero organico, ma nelle posizioni apicali sono ancora poche, anche perché hanno un’anzianità mediamente più bassa dei colleghi. Per non parlare delle donne nei corpi diplomatici, pure loro entrate da appena 50 anni: in Italia sono appena il 20% dell'intero corpo, pochissimissime ai vertici.