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Benessere

Maculopatia, una nuova cura salva la vista

22/12/2015  Superati i 50 anni, è molto comune avere i primi segni di questa malattia che, se non riconosciuta in tempo, può portare alla cecità. Oggi, però, c’è un’opportunità in più: un’innovativa molecola rallenta la progressione.

E' ormai un dato di fatto: i continui progressi scienti  ci hanno aumentato le aspettative di durata della vita media della popolazione. Allo stesso tempo, però, questa “estensione” corrisponde a una maggiore possibilità di contrarre patologie tipiche della fascia più anziana della popolazione. Pensiamo, ad esempio, alle malattie dell’occhio, come la degenerazione maculare legata all’età (Amd), una grave forma di maculopatia, che colpisce prevalentemente le persone di età superiore ai 50 anni. Oggi ci sono importanti novità terapeutiche: il professor Andrea Cusumano, ospite della trasmissione Il mio medico ci spiega proprio le nuove cure che presto arriveranno anche in Italia.

Che cos’è la degenerazione maculare legata all’età?

«Con questo nome, identi  chiamo una grave patologia oculare che colpisce la parte centrale e più importante della retina, cioè la macula, quella che ci permette di vedere nitidamente il mondo che ci circonda, di riconoscere le persone, di leggere e di guidare. Esistono due forme della malattia, una chiamata atrofica, e una di tipo essudativa. La prima si associa a una progressiva alterazione anatomica di alcune strutture retiniche – l’epitelio pigmentato e i fotorecettori (coni e bastoncelli) – localizzate proprio al centro della macula. I fotorecettori, in particolare, sono capaci di tradurre gli impulsi luminosi provenienti dal mondo esterno in un impulso elettrico, che poi viene elaborato e trasmesso attraverso le vie ottiche  fino alla corteccia cerebrale: una loro alterazione può determinare una signi ficativa riduzione della capacità visiva. Invece, il tipo essudativo è caratterizzato dalla formazione, al di sotto della retina, di neovasi patologici, con conseguenti fenomeni emorragici che poi provocano la deformazione delle immagini. Se non si interviene rapidamente, il rischio è quello di un’irreversibile perdita della visione centrale».

Quali sono i segnali tipici che ci permettono di riconoscerla?

  

«Nella fase iniziale della degenerazione maculare di tipo atro  co, il paziente può percepire i seguenti sintomi: necessità di aumentare la luce per leggere, difficoltà nella visione notturna o in condizioni di scarsa illuminazione, riduzione della sensibilità al contrasto e della percezione dei colori, difficoltà nella lettura di un libro o di un giornale, progressiva riduzione della visione centrale. Nella fase più grave e avanzata, denominata atrofia geografia, non si riesce più a distinguere i volti delle persone e, talora, si percepiscono delle immagini “fantasma” che vengono erroneamente interpretate come fenomeni di allucinazione. Già nelle prime fasi, spesso subdole e non adeguatamente considerate, è essenziale rivolgersi al proprio oculista per effettuare un’attenta analisi del fondo oculare con esami strumentali non invasivi, quali l’Oct (Tomografia a coerenza ottica) oppure anche un’angiografia a fluorescenza (Fag) e con verde indocianina (Icg), eseguiti con speciali mezzi di contrasto».

Nel caso di una perdita improvvisa della visione centrale, occorre recarsi in pronto soccorso?

«Quando il paziente, che talora è già affetto da una degenerazione maculare di tipo atro  co, presenta un’improvvisa distorsione delle immagini o una perdita della visione centrale, è probabile che ci si trovi in presenza della forma essudativa. In tal caso, la rapidità del trattamento, che deve essere il più tempestivo possibile, farà la differenza tra il mantenimento della capacità visiva o la possibile evoluzione in una vera e propria forma di cecità».

La maculopatia essudativa si può curare, o c’è il rischio di diventare ciechi?

  

«Se diagnosticata tempestivamente e trattata adeguatamente, esistono concrete aspettative di mantenimento della visione. Recentemente, è stata introdotta una nuova terapia, che abbiamo voluto denominare farmacochirurgia, che consiste nell’impiego di farmaci che bloccano l’azione di un fattore vaso-proliferativo endoteliale (chiamato Vegf ), il quale stimola la crescita dei neovasi patologici e ne promuove lo sviluppo, determinando la progressione della malattia. Questi farmaci, denominati anti-Vegf, derivati direttamente dalla biologia molecolare, vengono iniettati all’interno dell’occhio nella cavità vitreale, in anestesia locale e senza il minimo dolore. Hanno la proprietà di rallentare e talora interrompere l’evoluzione della maculopatia essudativa, consentendo l’impiego di concentrazioni terapeutiche minime ed eliminando gli effetti collaterali che si potrebbero manifestare in seguito alla loro somministrazione per via sistemica. Purtroppo, nella maggior parte dei casi, questa terapia deve essere ripetuta nel tempo, pena una possibile recidiva della malattia. (Su questi farmaci, come abbiamo evidenziato nel numero di settembre della nostra rivista, è comunque in corso una polemica: l’Organizzazione mondiale della sanità, infatti, ha messo in luce un forte rischio di controindicazioni legati all’assunzione di alcuni di loro, ndr.)».

E per quanto riguarda le terapie, a che punto siamo?

«Fino a oggi, i pazienti che erano affetti dalla Amd atrofica potevano contare esclusivamente sull’assunzione di alcuni integratori, per rallentare la progressione della malattia. Negli ultimi anni, un importante studio multicentrico, denominato “Areds II”, ha portato a un cambiamento nella formulazione di questi integratori e a una pur lieve implementazione degli effetti terapeutici attesi. Recentemente, e per la prima volta in assoluto, una nuova molecola iniettata nella cavità vitreale con le stesse modalità utilizzate per la terapia della forma essudativa ha dimostrato di potere rallentare la progressione della forma atrofica. Tale molecola, denominata anti-factor D, a quanto pare può ridurre la progressione della malattia addirittura nel 44 per cento di pazienti che presentano una predisposizione genetica. Se questi dati, come pure la sicurezza e l’efficacia dell’anti-Factor D, verranno confermati da uno studio internazionale attualmente in corso, avremo per la prima volta la certezza di disporre di un’arma efficace per il trattamento di questa grave e invalidante malattia».

Rimane fondamentale la prevenzione: quali esami devono essere fatti, e a quale età?

  

«Innanzitutto, al di sopra dei 50 anni è opportuno sottoporsi a una visita oculistica annuale con esame del fondo oculare. Quando invece esiste una familiarità, è opportuno effettuare anche un Oct maculare e, in alcuni casi, in cui si sospetta la presenza di una membrana neovascolare coroideale, è necessario completare l’iter diagnostico mediante l’esecuzione di una angiografia a fluorescenza o con verde indocianina che ne permettono una migliore identificazione e quantificazione».

Possiamo dare dei consigli per prevenire le malattie degli occhi?

«Una corretta alimentazione, ricca di beta-carotene, vitamina C ed E, zinco, luteina, zeoxantina e Omega3 può ridurre l’incidenza della degenerazione maculare legata all’età e della cataratta. Allo stesso modo, l’eliminazione del fumo, una dieta povera di grassi e una protezione attenta e prolungata dagli ultravioletti (Uva, Uvb e Uvc) può contribuire in modo diverso al raggiungimento di un significativo effetto preventivo. Nei pazienti particolarmente a rischio, è utile effettuare un test genetico attraverso un semplice prelievo di saliva. Una volta acquisiti i risultati, è fondamentale valutarli attentamente, insieme a tutti gli altri fattori di rischio esistenti, con un genetista per valutare – laddove necessario – di modificare alcuni stili di vita e lavorativi se essi possono costituire un significativo aumento di rischio nel contrarre la malattia».

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