Conciliaboli notturni in alberghi romani, in cui membri del Consiglio superiore della magistratura titolati a occuparsi di nomine di magistrati in ruoli apicali avrebbero parlato di queste nomine con persone non titolate a occuparsene, ma interessate (politici ed ex consiglieri del Csm, alcuni dei quali indagati). Emergono dall'indagine perugina che sta facendo tremare il Csm. A quanto se ne sa non sarebbero incontri penalmente rilevanti, ma fanno ugualmente strame del motto simbolo dell’indipendenza della magistratura ordinaria: sine spe ac metu, senza speranza e senza timore.
Perché proprio di questo, stando a quanto si evince dagli atti di incolpazione che hanno fatto scattare l’avvio dei procedimenti disciplinari, là dentro si parlava: di mettere «paura» a qualcuno – tramite dossier – per «togliere di mezzo» (ma là lo si diceva con un “francesismo”) dalla corsa a un posto un nome sgradito; di dirigere voti per scongiurare alcune nomine in sedi in cui persone presenti agli incontri stanno sotto indagine. A determinare gli spostamenti, a quel che si comprenderebbe leggendo le parole volate, criteri funzionali a interessi personali, e dunque alle speranze, di alcuni.
Fossero anche state soltanto chiacchiere, ora che sono visibili a occhio nudo, nessuno può più fare finta di niente. Perché ci diciamo da quando esiste la Costituzione che l’indipendenza della magistratura non basta, occorre salvarne anche l’apparenza. E con ogni evidenza in questo suk l’apparenza è andata a rotoli. Tra l’altro esiste una possibilità che non siano state solo parole che si porta il vento, perché almeno in Commissione alla fine i voti per la Procura di Roma (prima che lo scandalo congelasse tutto) sono andati proprio nella direzione che sarebbe stata auspicata in quei consessi, con parole molto dirette, da un deputato indagato proprio a Roma: uno come minimo fuori posto e come minimo in conflitto di interessi. Che siano andati in quella direzione per caso oppure no, l’ombra del sospetto rimane.
Occorre un sussulto di dignità e di responsabilità da parte delle istituzioni tutte, magistratura in primis, perché si è andati oltre il “così fan tutti” di cui tanti hanno parlato nei giorni scorsi. Un cittadino può forse afferrare – pur senza apprezzarla – quale fosse la logica delle appartenenze, di cui ci si lamentava da tempo, che faceva intendere che in Consiglio superiore potessero entrare, tra i componenti di nomina parlamentare, membri scelti più per l’appartenenza partitica che per il curriculum. E che le nomine degli uffici giudiziari potessero contemplare, tra i criteri ufficiosi, anche la spartizione in base all’appartenenza alle correnti. Una lottizzazione deprecabile in entrambi i casi, ma di cui si capisce il significato, benché in base ad argomenti non dei più nobili e neanche giustificabili.
Spiegare invece a un cittadino quale sia la logica secondo cui esponenti della corrente considerata più a destra nell'Associazione nazionale magistrati, trovassero una convergenza sulle nomine con esponenti politici, pure indagati, di un partito di sinistra, è parecchio arduo: come minimo ne ricaverà l’impressione che qualsiasi funzione, dalla rappresentanza politica, al ruolo consiliare, alla funzione magistratuale possa soccombere davanti agli appetiti privati.
Nessuno ne esce bene, non il Csm, non la politica, non la magistratura, quest’ultima meno di tutti perché la sua indipendenza è il bene di tutti e perché l’arbitro sulle regole ha doveri maggiori. È ad essa dunque che si deve chiedere un sussulto di dignità, di orgoglio, di senso delle istituzioni che si traducano in un chiaro e profondissimo sforzo autoriformatore in direzione della trasparenza, della prova dell’indipendenza, per allontanare anche solo il minimo sospetto che sul dovere prevalga qualsivoglia interesse di bottega, personale o di corrente.
È un debito morale e civile nei confronti della cittadinanza perché l’indipendenza della magistratura, come ci hanno ripetuto a ragione, non è un privilegio suo ma un diritto nostro, la nostra garanzia di una legge uguale per il potente e per l’ultimo di noi. In questo clima da periferia dell’impero c’è il pericolo, concreto, che – nel discredito generale - se questo intervento riformatore non arriva con urgenza da dentro, qualcun altro vi provveda da fuori, magari cogliendo l’occasione per regolare conti mai del tutto nascosti, per mettere in discussione proprio l’istituto dell’indipendenza come disegnato dalla Costituzione. Sarebbe una toppa peggiore del buco nero che le carte di Perugia scoperchiano, perché sortirebbe l’effetto di istituzionalizzare il buco.